Autore: tonino

Chiànghe 

Chiànghe s.f. = Basolo

La chianche o anche chianghe è un blocchetto di pietra, di dimensioni anche notevoli, usata per pavimentazione stradale.

Può essere di pietra lavica (basaltico) o di pietra calcarea o di porfido, tutte rocce con notevole resistenza all’usura.

Tuttora, quantunque realizzate in calcestruzzo e non più in pietra, lo sbalzo del balcone è chiamato, al femminile: ‘a chiànghe ‘u balecöne.

Al plurale diconsi chiànghere o chiangre, forse per un influsso del tardo latino. A Monte per esemprio il plurale di ‘a chése = la casa è ‘i càsere = le case.

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Chiàcchjere-mòrte

Chiàcchjere-mòrte loc.id. = Sciocchezza

Locuzione usata sempre al plurale per significare:parole senza peso, inutili, sciocche.

Argomento senza importanza.

Anche riferito a fatti concreti ma trascurabili, senza rilevanza.

Che te mange jògge? Quacche cusarèlle, robbe de chiàcchjere-morte = Cosa mangi oggi (di buono)? Qualche cosina, niente di speciale.

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Chiàcchjere

Chiàcchjere s.f. = Chiacchiera, Alterco

Accettabile anche la versione chjàcchjere, più vicina alla reale pronuncia.

Oltre al significato specifico di chiacchiera cioè: parole inutili, pettegolezzo, maldicenza, nell’espressione di fé chiàcchjere il nostro dialetto intende alterco, lite, bisticcio, diverbio.

Giuanne ne vé chió dalla sogre: hanne fatte chiacchjere = Giovanni non va più dalla suocera: hanno avuto un alterco.

Per sminuire la portata del diverbio, causato da futili motivi (tifo calcistico, critica su giocata di carte, rimprovero per un ritardo, ecc.)  si usa dire che i contendenti hanno fatto una chjacchjarèlle, come dire che hanno fatto una “chiacchieratina”… un  po’ animata.

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Chiacchjarèlle

Chiacchjarèlle s.f. = Litigio

Piccolo diverbio facilmente risolvibile.

Hanne fàtte ‘na chiacchjarèlle e ce so’ ammusséte = Hanno avuto un diverbio e sono un po’ risentiti.

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Chetògne

Chetògne s.m. = Mela cotogna

La frutta, come la mela cotogna è linguisticamente parlando, sempre al femminile (la pera, la banana, la pesca, l’albicorra, la ciliegia, ecc.) In dialetto invece è maschile ‘u chetògne. Al plurale la ‘ó’ ha un suono acuto ‘i chetógne.

Il cotogno, qui inteso come pianta (Cydonia oblonga) appartiene alla famiglia delle Rosaceae

La polpa del frutto, che è praticamente immangiabile anche in fase di maturità, pochissimo dolce, dura, e piuttosto acre, subisce con la cottura, una trasformazione drastica degli zuccheri “a lunga catena” contenuti ( quindi “poco dolci”) in zuccheri decisamente “dolci”, con uno spiccato profumo di miele.

‘I chetógne erano nominati in una sorta di filastrocca che si recitava per fare la conta (al posto di “Ah, nghi. ngò, tre civette sul comò…):
Chépe chetógne
‘u möse d’ajóste
e la cucchjére
e la furcjüne
e la scu-tèl-la.

Il bambino che faceva la conta, sillabava la filastrocca toccando con la punta delle dita – ad ogni accento tonico –  gli altri disposti in cerchio. Ogni sillaba ad un bambino. Le ultime tre sillabe venivano pronunciate rallendando il ritmo in modo che chi era toccato per ultimo con la sillaba -la di scutèlla era il designato.

Ah stavo dimenticando la traduzione: Testa di mela cotogna, il mese di agosto, e il cucchiaio, e la forchetta e la scodella.

Quel chépe chetógne può significare “una delle più grosse mele cotogne”, o anche “una delle prime che cadono dalla pianta”.

Comunque non c’è alcuna logica nelle filastrocche.  Difatti quale logica ci sarebbe nell’accertare che le tre civette sul comò facevano l’amore con la figlia del dottore?

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Chessò

Chessò cong. = Che, che cosa, che sono (io o essi)

Chessò ca vù? = che cosa è che vuoi?

Chessò ‘sti cöse? = che cosa sono queste cose?

Te fazze vedì che ssì tó e chessò jüje = Ti faccio vedere chi sei tu e che cosa sono io!

In italiano si dice con arroganza: “Lei non sa chi sono io!”

La risposta la diede mirabilmente il grande Totò: Lei è avvocato? Ma mi faccia il piacere!

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Chésecavalle

Chésecavalle s.m. = Caciocavallo

ll caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell’Italia meridionale di forma tondeggiante, a “sacchetto”, prodotto con latte particolarmente grasso di mucche podoliche, con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale.

Mio padre lo chiamava chésecavadde, come cepodde, martjidde, curtjidde, passarjidde jaddüne, e tutte le parole che in italiano contengono la doppia elle, specie come desinenza. La lingua si evolve perché certe pronunce erano ritenute rozze.

Torniamo a noi: questo formaggio viene detto così perché, per la stagionatura, legato in coppia, viene posto “a cavallo” di una pertica orizzontale. Se la stagionatura supera i dieci mesi il formaggio assume una sapore leggermente piccante, apprezzatissimo dai buongustai.

Curiosamente esiste un formaggio largamente usato in Turchia e nei Paesi balcanici (Bulgaria, Macedonia, Serbia, Romania), chiamato quasi come il nostro chésecavalle, il Kaşkaval кашкавал ma prodotto con latte di pecora e consumato dopo una brevissima stagionatura.

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Chése-recòtte

Chése-recòtte s.m. = Cacioricotta

Il Cacioricotta è un formaggio tipico del Sud Italia. Prodotto ibrido della lavorazione del latte.

È usato come pietanza e anche grattugiato sui maccheroni al sugo.

Io preferisco la ricotta dura grattugiata col sugo di pomodori freschi al basilico.

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Chése 

Chése s.m. e s.f. = Cacio, casa

1) Chése s.m. (dal latino càseus): latte di pecora, di capra, di mucca o di bufala cagliato, salato, cotto e preparato nelle forme, da cui dicesi anche formaggio. Curiosità i tedeschi dicono Käse (pron. chése, come la nostra).

2) Chése s.f. = edificio di muratura che serve da abitazione.

A chése = a casa mia. Infatti l’agg. mia è sempre sottinteso. Se voglio dire a “casa tua” dico: a càste.

Jüje a chése e tó a càste = Io a casa mia e tu a casa tua.

Al plurale gli articoli ‘u ‘a diventano ‘i, mentre il sostantivo resta invariato.

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