Autore: tonino

Bubbüje 

Bubbüje s.f. = Bua, ferita

Nel linguaggio infantile indica il dolore fisico, un’escoriazione, o una contusione.

Uuuh!, quedda fìgghje, c’jì fatte ‘a bubbüje! Tèh, tèh, dàlle mazzéte alla pòrte! = Uh, quella figlia si è fatta la bua! Tiè, tiè, colpisci lo stipite della porta che ha causato il dolore!

Insegnamento edificante sulla necessità di ricorrere alla vendetta: occhio per occhio, dente per dente.

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Buàtte

Buàtte s.m. = Scatola.

Scatola di latta usata per conservare cibi.

Si tratta del termine francese boîte che si pronuncia allo stesso modo, ma è femminile in quella lingua (la boite, pronuncia: la buàtte). In napoletano si dice proprio ‘a buàtte.

In francese è usato per indicare anche scatole di legno o di cartone per riporre scarpe, camicie, cioccolatini, vino e per imballaggio in genere.

Durante il periodo dell’Esistenzialismo di Sartre e Camus, era chiamato boîte anche il locale dove si riunivano i giovani seguaci di questa corrente filosofica, di moda negli anni ’50.

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Cazzemarre

Cazzemarre (o Marres.m. = Marro, cazzomarro, marretto

Non esiste un termine appropriato in italiano, e si ricorre a forme dialettali..
Il nostro marro usa esclusivamente le interiora di agnello o di capretto condite con aglio, prezzemolo, formaggio pecorino e pepe..  

È della stessa natura del più diffuso (clicca→) turcenjille, ma di dimensioni ben più grandi e dalla forma grossa e allungata che ricorda un mostruoso fallo, da cui il nome cazzemarre, un po’ triviale ma che suscita sorrisini.  Il nome deriva dal verbo “cazzare” usato nelle zone murgiane col significato di schiacciare. e dal latino “marra” che vuol dire mucchio. Si ricorre spesso alla forma breve: ‘ Màrre per evitare qualsiasi imbarazzo.

Il Cazzomarro è stato catalogato nei “prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipici della Basilicata”(PAT),  ma è  diffuso anche in tutta la Puglia, nell’Alto Sannio, in Irpinia, in Abruzzo e nel Molise,  regioni dedite prevalentemente all’agricoltura ed alla pastorizia, molto simili alle nostre in fatto di abitudini alimentari a causa della secolare transumanza.
Ovviamente nelle varie zone assume nomi differenti: marretto, abbuoto, torcinello, mazzette, treccetelle  mugliatiello, cazzimarro,  ecc.

Viene cotto generalmente al forno contornato dalle patate e/o lampascioni. Ottimo anche alla brace.

Un piatto simile è in uso in Sicilia col nome di “stigghiola” e in Grecia  “kokoretsi” (κοκορέτσι) e similmente “kokores” (kokoreç) in Turchia   [da Wikipedia].

I nostri  pescatori chiamano cazzemarre  – forse per la forma allungata – quel groviglio di alghe che, per effetto dello strascico, si ritrovano nelle reti.
Può essere che sia avvenuto il contrario, cioè dal nome dell’ammasso di erbe si è passati al nostro  saporito Cazzemàrre.

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Bruzzöne 

Bruzzöne s.m. = Giaccone pesante e privo di qualsiasi ricercatezza.

In effetti si tratta di un giaccone, talvolta senza maniche, ricavato dal vello degli ovini cucito grossolanamente.

Usato dai pastori che menano al pascolo le loro greggi. Utilissimo a questa gente che doveva restare tutto il giorno al’aperto, sotto i rigori del freddo invernale.

Era confezionato con la pelle all’interno e la lana all’esterno.

Siccome i pastori nella Puglia piana, per l’antichissima consuetudine della transumanza – ossia lo svernamento delle pecore, condotte attraverso i tratturi, dalle zone montuose innevate al Tavoliere delle Puglie – erano abruzzesi, presumo che l’indumento fosse tipico di quella gente. Ecco perché si chiama bruzzöne, come per dire di foggia abruzzese.

Più tardi, e questo lo ricordo bene, è passato a designare qls indumento pesantissimo che tenesse caldo.

Te sì mìsse ‘nu sorte de bruzzöne! = Ti sei messo (addosso) cotal tabarro!

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Brótte 

Brótte agg.,= Brutto, sgradevole

Riferito a situazioni, soggetti, oggetti, tempo meteorologico, cibo guasto o disgustoso, ecc. ecc.

Esisteva molti anni fa una certa Nannüne ‘a brótte, brutta per antonomasia. Non era certamente Miss Italia.

C’era anche un soprannome, valido sia al maschile, sia al femminile

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Brendesüne

Brendesüne agg. = Brindisino

Nativo, originario di Brindisi

Era il soprannome del fioraio Tasso.

L’aggettivo brendesüne si riferisce anche a un tipo di melone giallo.

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Brasciöle

Brasciöle s.f. = Involtino

Il termine somiglia al sostantivo italiano ‘braciola’.

Nelle altre parti d’Italia se uno ordina al ristorante una braciola, si vede portare una fetta di carne di bue, di vitello o di maiale cotta sulla brace o alla griglia.

In Puglia ha un’altra connotazione. Si tratta di carne di vitello o di cavallo tagliata a fette, condita e arrotolata, e tenuta stretta con del filo bianco di cotone, oppure con alcuni stecchini.

L’interno è condito con aglio (o noce moscata grattugiata per quelli che hanno lo stomaco delicato), prezzemolo, uva passa, pinoli, pecorino grattugiato, prosciutto cotto, ecc… La fantasia non manca alle massaie pugliesi.

Dopo aver preparato le brasciöle le nostre massaie le cuociono al ragù per condire le orecchiette.

Nessuna si sognerebbe di farle ai ferri!

Brasciöle è anche un soprannome locale. Evidentemente il nomignolo è stato affibbiato a qualcuno che le vendeva o le gustava particolarmente.

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Brachessüne 

Brachessüne s.m. = Mutanda da donna

Indumento “scandaloso” usato dalla ventenni sfacciate nell’immediato dopoguerra.

Era di cotone, ovviamente bianco, e, udite udite, sgambato, e con un merlettino rosso o giallino lungo il bordo inferiore.

Le ragazze fino ad allora avevano adoperato mutande lunghe fino al ginocchio, come i calzoncini dei calciatori: figuratevi cosa dicevano le loro mamme.

Fino agli anni ’50 le mutande da donna, erano confezionate in casa uguali ai box degli uomini, con tanto di gambetta, più o meno lunga a seconda della stagione.

Poi sono arrivate sulle bancarelle dei mercatini le prime mutande di cotone già confezionate, sgambate,con l’elastico largo in vita, chiamate slip.

Gli slip da uomo con l’apposita apertura, e quelli da donna intere, a triangolo, erano tutte in cotone filato bianco a coste.

Siccome fino ad allora le mutande si chiamavano tutte vréche = “braghe” (= Ciascuna delle gambe di pantaloni o mutande da uomo) qualcuno pensò che quelle femminili si dovessero chiamare vrachèsse = “braghesse”, (come dottorèsse).

Ovviamente il passo successivo venne da sé. Da vrachèsse a brachèsse e quindi brachèssüne per la loro dimensione ridotta rispetto a qelle maschili.

Notate l’influenza spagnola già evidenziata, tra la b e la , come spiegato nella “Fonologia e ortografia”.

C’era una canzonaccia che circolava tra gli studenti dell’epoca, ora tutti attempati pensionati: cominciava come la famosa canzone napoletana ” ‘A cammesella” e poi naturalmente finiva con…e ljivete ‘u brachessüne!

Ora esiste una mutandina da donna, tipo file interdentale, chiamato perizoma.

Un amico veneziano ha sentenziato: “na olta par vedar el cul se spostaa le mudande, adesso par vedar le mudande se sposta el cul”. C’è bisogno della traduzione?

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Boss

Boss s.m. = Dirigente, Manager, Capo squadra, Intestatario di Azienda, ecc.

Il termine inglese è giunto tale e quale qui da noi per merito degli emigrati in America. L’ho visto incluso addirittura nel vocabolario della lingua italiana come acquisito.

Per la sua brevità il sostantivo, volto soltanto al maschile, ‘u Boss, è accattivante, si ricorda facilmente, e dà un senso di familiarità e viene citato anche con una sottile ironia. Ecco giustificato il suo successo.

In ambiente domestico si intende indicare il Capo famiglia. In ambito lavorativo il Direttore della scuola, il Capo mastro, il Responsabile dell’Ufficio, il Direttore, ecc.

Un termine che ha diffusione anche nel linguaggio malavitoso. Il Boss è il Capo di associazioni mafiose. E questo boss non è detto in modo ironico ma in maniera maledettamente seria fin dai tempi di Al Capone.

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