Autore: tonino

Bófele

Bófele s.m. soprann. = Bufalo.

Mammifero da latte che si è ambientato nella nostra zona grazie alla presenza di numerosi acquitrini.
Molto ricercata la mozzarella derivata dal latte di bufala.

Riferito a un uomo lo identifica come un tipo grande, grosso e gran mangione (‘u bófele = il bufalo).e si pronuncia con la ó stretta.

Al femminile indica una donna grossa e lattifera come una bufala (‘a bòfele = la bufala) e si pronuncia con la ò larga.

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Biése

Biése n.p. = Biagio

Da noi, a causa della lunga permanenza a Manfredonia dei dominatori Angioini, è rimasta l’influenza della lingua francese. Infatti i Francesi tuttora dicono Blaise (leggi blees’) per questo nome.

Biagio deriva forse dall’osco blaesus, “balbuziente”, preso dal greco blaisos, “storto”, diventato in epoca romana nome gentilizio, poi soprannome e quindi nome personale.

L’onomastico si festeggia il 3 febbraio in onore di san Biagio vescovo, martire in Armenia nel 306.

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Bianghjé

Bianghjé v.t.= Imbiancare,tinteggiare

Coprire con uno strato di tinta bianca, spec. pareti, soffitti o infissi.

Nel sud Italia e della Spagna per secoli si è usato tinteggiare le case a calce.

Si diluiva la calce spenta in acqua e si davano due mani di bianco sulle pareti e sulla volta con un pennello innestato in cima ad una canna di palude.

L’operaio addetto a questo servizio era ‘u bianghjatöre = l’imbianchino.

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Bianghjatöre

Bianghjatöre s.m. = Imbianchino

Operaio, artigiano che esegue lavori di tinteggiatura.

Siccome anticamente la tinteggiatura si eseguiva solo a calce, è ovvio che si parlasse di bianco, come il termine imbianchino, del resto.

Le case venivano imbiancate anche all’esterno con grassello di calce diluito in acqua.

Con linguaggio moderno si dice anche Pettöre nel senso di tinteggiatore, non di chi fa i quadri.

Pe’ refrešké ‘a chése agghje chiaméte ‘u bianghjatöre = Per rinfrescare la casa ho chiamato l’imbianchino.

 

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Bezzùche

Bezzùche agg. e s.m.. = Bigotto

Bigotto, devoto, pio, timorato di Dio

Al femminile fa Bezzöche.

Il termine femminile ha assunto una valenza negativa, non perché le donne frequentassero spesso la Chiesa e tutte le funzioni.

Le donnette molto bezzöche erano ritenute chiacchierone, tagghja-tagghje, e nenie viventi.

In effetti anche i più bei canti gregoriani in bocca a loro sembravano nenie strascicate talmente tanto da far addormentare i bimbi.

Non parliamo poi della storpiatura del latino!
Et anticum documentum.. diventava com’è antico lu cunvento

Tutto un programma.

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Bettöndomàtece

 

Bettöndomàtece s.m. = Bottone automatico, bottone a pressione

La consueta capacità di sintesi del nostro dialetto.

Al plurale suona: ‘i bettündomàtece.

Il bottone automatico è costituito da due dischetti metallici che si incastrano l’uno nell’altro per pressione. Si abbottonano facilmente e altrettanto agevolmente si sbottonano. Vengono cuciti su due lembi contrapposti di tessuto o su altri supporti per tenerli uniti.

Esistono di varie misure, a seconda dell’uso cui sono destinati. Quelli piccoli per camicette di bambini; quelli medi si usano in pelletteria per calzature, borsette e giubbotti; quelli più grandi per tasche, borsoni, giacconi e stivali.

Praticissimi, si lavano insieme all’indumento. Ora vengono spesso sostituiti dal moderno Velcro®.

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Bèrefàtte

Bèrefàtte agg. = Bello, avvenente

Che attrae, gradevole per armonia, perfezione formale, grazioso, elegante, curato, dandy.

Etimo: Ben fatto, bello fatto.

Anche questo termine è spesso usato un’antìfrasi (come per esempio che furbo! detto al posto del contrario che sciocco!).

Angöre mo’ ce sté arreteranne ‘u bèrefatte! = Solo adesso si sta rincasando il bellimbusto.

Al femminile, giustamente, fa bèrafatte = ben fatta, ben formata.

Sarcasticamente: quand’jì berafàtte, jèsse! = Come è bella, lei!

La frase va pronunciata indicando platealmente il soggetto con la mano e rivolgendosi agli astanti, come per dire: “guardatela, ma che razza di richiesta sta facendo? Costei è sfacciata ed esosa!”

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Benghéle

Benghéle s.m. = Bengala, Razzo

Fuoco d’artificio dai colori vivaci; razzo luminoso usato per segnalazioni e, in operazioni belliche, per individuare i bersagli di notte; significa anche cilindro fumogeno, usato per segnalazione, e qualche volta allo stadio con fumi variamente colorati.

In dialetto ha assunto una valenza negativa perché definisce qlcu lungo e fessacchiotto.

Si diceva, per esempio: Sì pròprje accüme a ‘nù benghéle, tutte füme… = Sei proprio come un bengala, tutto fumo…

Oppure ad uno molto alto e snello, in modo accrescitivo: (clicca→) Bengalöne

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Benedüche

Benedüche loc.id. = Benedico!

Va bene anche scritto benedïche essendo le vocali ï e ü omofoni.

Nulla a che vedere con la benedizione del rito cristiano…

Si tratta di una formula consolatoria, di compiacimento o augurale rivolta verso qlcu per rassicurarlo che non si parla per invidia.  Come se significasse: bene dico, non dico male.

Mattöje, da quanda tjimbe ca nen te vöte. Sté proprje belle, benedüche! =Matteo, da quanto tempo non ti vedo! Stai proprio in forma, davvero!

Ha’vìste ‘a crjatüre de Lucjètte? Quant’jì bèlle, benedüche! = Hai visto la figlioletta di Lucia? Quant’è bella, proprio bella!

Le credenze popolari spiegavano che in omissione di benedüche la frase assumeva un carattere di sordida invidia, e perciò il soggetto osservato veniva pegghjéte ad ùcchje = “preso ad occhio”, ed era esposto a malori, a rovesci di fortuna ecc.

Ora su queste cose tutti sorridiamo, ma vi assicuro che tuttora – non è vero ma…–  qlcu dice ostentatamente la parola magica benedüche, proprio per farsi sentire dall’interlocutore…

Scherzosamente si declama benedüche! quando si vede una persona o un oggetto di dimensioni superiori alla norma: non si sa mai, dovessi causarne il deperimento!

Sempre scherzando, se si assiste ad una emissione di un sonoro rutto scappato ad un frugoletto, si commenta con un simpatico benedüche! perché da un minuscolo essere non si aspettava un grande numero di decibel. Non sia mai dovesse calare di tono!

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Benedìtte

Benedìtte s.m. = Benedetto

Non ha nulla a che vedere con la liturgia cristiana.

Il “Benedetto” è una pietanza che trae il nome dall’epoca in cui si prepara, ossia nel periodo di Pasqua.

‘U Beneditte contiene cardi, salumi affettati, caciocavallo, uova sode. Una vera bomba di calorie, adatta ai deperiti, bisognosi di una alimentazione ipercalorica.

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