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Benghéle

Benghéle s.m. = Bengala, Razzo

Fuoco d’artificio dai colori vivaci; razzo luminoso usato per segnalazioni e, in operazioni belliche, per individuare i bersagli di notte; significa anche cilindro fumogeno, usato per segnalazione, e qualche volta allo stadio con fumi variamente colorati.

In dialetto ha assunto una valenza negativa perché definisce qlcu lungo e fessacchiotto.

Si diceva, per esempio: Sì pròprje accüme a ‘nù benghéle, tutte füme… = Sei proprio come un bengala, tutto fumo…

Oppure ad uno molto alto e snello, in modo accrescitivo: (clicca→) Bengalöne

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Bèrefàtte

Bèrefàtte agg. = Bello, avvenente

Che attrae, gradevole per armonia, perfezione formale, grazioso, elegante, curato, dandy.

Etimo: Ben fatto, bello fatto.

Anche questo termine è spesso usato un’antìfrasi (come per esempio che furbo! detto al posto del contrario che sciocco!).

Angöre mo’ ce sté arreteranne ‘u bèrefatte! = Solo adesso si sta rincasando il bellimbusto.

Al femminile, giustamente, fa bèrafatte = ben fatta, ben formata.

Sarcasticamente: quand’jì berafàtte, jèsse! = Come è bella, lei!

La frase va pronunciata indicando platealmente il soggetto con la mano e rivolgendosi agli astanti, come per dire: “guardatela, ma che razza di richiesta sta facendo? Costei è sfacciata ed esosa!”

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Besugne (avì a)

Besugne (avì a) loc.id = necessitare, occorrere, abbisognare

A volte viene pronunciata avì de besùgne = avere bisogno di

La locuzione descrive la necessità o il desiderio di avere qualcosa, di materiale (cibo, vestiti, ecc.) o immateriale (affetto, comprensione, compatimento, ecc.).

Mattöje ne jève a besugne de nesciüne perché ce le sépe sbrugghjé da süle. = Matteo non necessita di nessun aiuto perché sa vedersela da sé.

‘Mbàrete ‘nu mestjire, ca po’ quanne jéve a besùgne te pöte sèrve. = impara un mestiere, perché dopo, quando sarà necessario, ti può servire. Insomma, come dicevano gli antichi: “impara l’arte e mettila da parte”.

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Bettöndomàtece

 

Bettöndomàtece s.m. = Bottone automatico, bottone a pressione

La consueta capacità di sintesi del nostro dialetto.

Al plurale suona: ‘i bettündomàtece.

Il bottone automatico è costituito da due dischetti metallici che si incastrano l’uno nell’altro per pressione. Si abbottonano facilmente e altrettanto agevolmente si sbottonano. Vengono cuciti su due lembi contrapposti di tessuto o su altri supporti per tenerli uniti.

Esistono di varie misure, a seconda dell’uso cui sono destinati. Quelli piccoli per camicette di bambini; quelli medi si usano in pelletteria per calzature, borsette e giubbotti; quelli più grandi per tasche, borsoni, giacconi e stivali.

Praticissimi, si lavano insieme all’indumento. Ora vengono spesso sostituiti dal moderno Velcro®.

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Bezzùche

Bezzùche agg. e s.m.. = Bigotto

Bigotto, devoto, pio, timorato di Dio

Al femminile fa Bezzöche.

Il termine femminile ha assunto una valenza negativa, non perché le donne frequentassero spesso la Chiesa e tutte le funzioni.

Le donnette molto bezzöche erano ritenute chiacchierone, tagghja-tagghje, e nenie viventi.

In effetti anche i più bei canti gregoriani in bocca a loro sembravano nenie strascicate talmente tanto da far addormentare i bimbi.

Non parliamo poi della storpiatura del latino!
Et anticum documentum.. diventava com’è antico lu cunvento

Tutto un programma.

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Bianghjatöre

Bianghjatöre s.m. = Imbianchino

Operaio, artigiano che esegue lavori di tinteggiatura.

Siccome anticamente la tinteggiatura si eseguiva solo a calce, è ovvio che si parlasse di bianco, come il termine imbianchino, del resto.

Le case venivano imbiancate anche all’esterno con grassello di calce diluito in acqua.

Con linguaggio moderno si dice anche Pettöre nel senso di tinteggiatore, non di chi fa i quadri.

Pe’ refrešké ‘a chése agghje chiaméte ‘u bianghjatöre = Per rinfrescare la casa ho chiamato l’imbianchino.

 

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Bianghjé

Bianghjé v.t.= Imbiancare,tinteggiare

Coprire con uno strato di tinta bianca, spec. pareti, soffitti o infissi.

Nel sud Italia e della Spagna per secoli si è usato tinteggiare le case a calce.

Si diluiva la calce spenta in acqua e si davano due mani di bianco sulle pareti e sulla volta con un pennello innestato in cima ad una canna di palude.

L’operaio addetto a questo servizio era ‘u bianghjatöre = l’imbianchino.

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Biése

Biése n.p. = Biagio

Da noi, a causa della lunga permanenza a Manfredonia dei dominatori Angioini, è rimasta l’influenza della lingua francese. Infatti i Francesi tuttora dicono Blaise (leggi blees’) per questo nome.

Biagio deriva forse dall’osco blaesus, “balbuziente”, preso dal greco blaisos, “storto”, diventato in epoca romana nome gentilizio, poi soprannome e quindi nome personale.

L’onomastico si festeggia il 3 febbraio in onore di san Biagio vescovo, martire in Armenia nel 306.

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Bófele

Bófele s.m. soprann. = Bufalo.

Mammifero da latte che si è ambientato nella nostra zona grazie alla presenza di numerosi acquitrini.
Molto ricercata la mozzarella derivata dal latte di bufala.

Riferito a un uomo lo identifica come un tipo grande, grosso e gran mangione (‘u bófele = il bufalo).e si pronuncia con la ó stretta.

Al femminile indica una donna grossa e lattifera come una bufala (‘a bòfele = la bufala) e si pronuncia con la ò larga.

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Böje 

Böje s.m. = Boia

Epiteto rivolto affettuosamente nel linguaggio familiare, ai bambini che fanno birbonate e marachelle.

Mado’, ccùme àgghja fé pe ’stu bböje? Ne la fenèsce méje… = Madonna, come (ho da) devo fare con questo boia? Non la finisce mai

Significato letterale = boia, carnefice, esecutore di condanne a morte.

Pensate che coraggio doveva avere costui: mettere il cappio intorno al collo del condannato, e azionare la botola o issarlo a braccia sulla forca, sospendolo finché non sopraggiungeva la morte. Oppure, nei tempi più antichi, calare manualmente la mannaia sul collo del malcapitato poggiata sul ceppo e troncarla di netto. Con la rivoluzione francese la ghigliottina gli ha risparmiato questa incombenza: ma era sempre il boia ad issare la lama e a farla calare.

Chissà se era retribuito bene!

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