Djasìlle s.f.= Dies irae
La solita storpiatura del latino da parte di orecchie non avvezze.
Si tratta di una famosissima sequenza latina. Veniva declamata in chiesa durante le orazioni funebri.
Specialmente nel periodo di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti, un sacerdote (io ricordo don Furio e don Cuccia) con la cotta bianca, con la stola viola e un libro nero in mano, accompagnato dal chierichetto che gli reggeva il secchiello dell’Acqua Santa e l’aspersorio, girava nel cimitero, pregando e salmodiando davanti ai loculi questo canto pietoso, come una nenia straziante in tonalità “minore”.
Lo chiamavano i familiari di qualche morto fresco e lo invitavano a recitare qualche orazione vicino alla tomba del congiunto.
Il prete cantava ovviamente in latino (mi riferisco all’epoca pre-conciliare, e la lingua locale non era ancora entrata nella liturgia ufficiale) il Libera me Domine o il Dies Irae.
Il primo verso Dies irae, dies illa era difficile da ricordare, ma non il dies-illa che invece è rimasto nella memoria, da cui viene la richiesta di cantare la djasille.
La djasìlle è anche sinonimo di tiritera, discorso lungo e noioso in cui si ripetono sempre le stesse cose.
Mò l’uà fenèsce per ‘sta djasìlle? = Ora la finisce con questa tiritera?
Ah Madònne, mò accumènze arröte pe ‘sta diasjlle! = O Madonna, ora ricomincia daccapo con questo discorso assillante e insopportabile.
Siccome mi piace andare in fondo alle questioni, ho trovato in rete il testo del “Dies irae”. Sono parole solenni che nel corso dei secoli sono state messe anche in musica da grandi artisti come Verdi, Pizzetti, Dvorak, Berlioz, Cherubini, Mozart, ecc.
Ecco il testo biblico: Libro di Sofonia 1,15-16
Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos.
Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d’allarme sulle fortezze e sulle torri d’angolo.
È diventato sinonimo di latùne, lagna tediosa, lunga, deprimente.