Categoria: L

Làvede-e-lìvede

Làvede-e-lìvede s.m. = Laudano del Sydenham

Sostanza medicamentosa a base di oppio, tintura di zafferano e morfina, usata come sedativo.

Si acquistava in farmacia a gocce e si propinava tranquillamente mediante clistere ai bambini col mal di pancia.

Se non li calmava l’oppio!

Il termine forse deriva dal fatto che la seconda parte del nome del Làudano del Sydenham era ostica ad un orecchio non avvezzo a termini strani.

Quindi si nominava solo Làvede e… in attesa che venisse in mente Sydenham.

Qualche geniaccio ha pensato di completare il nome con un termine inventato che fa ottima assonanza con làvede: lìvede!

Era di uso comune dal 1700 al 1960. Poi ci fu una regolamentazione farmacologica sulla vendita degli stupefacenti ed il prodotto – ammesso che sia ancora in produzione – non è certamente classificato come medicinale da banco, ossia a libera vendita come l’Aspirina, a causa del suo contenuto di oppio.

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Lazzarèlle

Lazzarèlle s.f. = Azzeruolo

Trattasi di un frutto della pianta (Crataegus azarolus ) della famiglia delle Rosacee, originaria dall’Asia Minore, diffusa in tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo.
Praticamente dello stesso genere del biancospino (Crataegus monogyna). Legno duro e dalle spine lunghissime.

Per secoli fu coltivata come pianta ornamentale come albero alto fino a 4/5 metri. Infatti ha fiori bianchi, fogliame verde e frutti rossi vivi (a maturazione) che le conferiscono un aspetto gradevole.
Allo stato spontaneo si presenta in cespugli o arbusti.
Da ragazzi ne facevamo incetta nelle zone pedemontane (Macchia o Sotto Pulsano) perché i suoi piccoli frutti sono molto dolci e contengono pochi semi.

Nomi locali:
Lazaret – Lombardia
Nzalori o Lanzaroli – Sicilia
Lazzerini – Emilia
Natola – Liguria
Lazzarolo – Lazio, Abruzzo e Campania.

Nota scientifica:

«L’azzeruolo è una delle fonti naturali più importanti di vitamina C. Le azzeruole hanno la caratteristica, se consumate fresche, di essere dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive; la polpa, nello specifico, ricca di vitamina A, ha proprietà antianemiche ed oftalminiche.»

(fonte Wikipedia)

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Lazzaréte

Lazzaréte agg. = maloconcio, malridoitto

Qualcuno pronuncia anche lazzariéte. 

Si descrive una persona con numerosi segni di percosse, con di abiti sbrindellati,

Ma che jì succjisse?Sté tutte lazzaréte = Ma cosa ti è accaduto? Sei proprio malmesso!

L’aggettivo deriva sicuramente dal racconto di Gesù quando parlava del ricco Epulone e del mendico Lazzaro, immaginato pieno di stracci e di ferite leccate dai cani.

A volte si usava la locuzione: Sté accüme a Sante Làzzere per descrivere lo stato miserevole di qualcuno male in arnese.

Ringrazio Amilcare per il suggerimento.

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Lazzaröne

Il sostantivo in un contesto serio descrive persone che compiono azioni esecrabili.
Finalmènde ànne ‘ngarceréte a códdu lazzaröne = Finalmente hanno arrestato quel farabutto.

Insomma “lazzarone”, ormai riconosciuto anche in lingua italiana, deriva dal napoletano, ed è sinonimo di mascalzone, furfante, manigoldo, lestofante, farabutto, gaglioffo (rendo l’idea?).

L’aggettivo fa riferimento alle azioni negative compiute da questo genere di persone .
Mattöje jì pròprje ‘nu lazzaröne = Matteo è proprio un farabutto.

Queste sfumature grammaticali – aggettivo/sostantivo –  forse non interessano nessuno, ma mi corre l’obbligo di chiarirle.

Nel nostro dialetto è pronunciato sempre in tono scherzoso, specialmente rivolto ai frugoletti che hanno compiuto una monelleria.
Ma quànde sì lazzaröne! = ma quanto sei furbetto!

Al plurale suona lazzarüne.
Ce sò accucchjéte ‘sti quatte lazzarüne: evògghje a fé ammujüne! (scusate l’involontaria rima)= Si sono riuniti questi quattro bricconcelli: non si stancheranno di far baccano!

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Lèbbre

Lèbbre s.m. = Lepre

La lepre (Lepus europaeus), è un animale selvatico, ambito dai cacciatori, simile al coniglio ma più grande e molto veloce. In presenza di pericolo di blocca tentando di mimetizzarsi con l’ambiente. In caso il potenziale nemico si avvicinasse troppo balza di colpo e fugge velocemente.

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Lècca-cüle

Lècca-cüle s.inv. = Adulatore, accolito.

In italiano si dice anche leccapiedi, per usare un eufemismo, o anche lecchino/a.

Chi è servile in modo spudorato con persona ricca o influente, con la mira di trarne vantaggio per sé o per la sua cerchia,

Persona viscida come certi giornalisti televisivi di cui è meglio tacere il nome.

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Legnasànte

Legnasànte s.f = Loto, caco

Albero originario dell’Oriente (Diospyros kaki) con foglie coriacee lanceolate e frutto polposo a bacca, arancione, commestibile.

Letteralmente il nostro termine significa i “legna santa” e questi frutti erano chiamati in tal modo fino a pochi anni fa.

Vorrei dare una spiegazione plausibile: forse perché il legno di questa pianta è inattaccabile dai tarli, ed è particolarmente duro (appartiene infatti alla famiglia delle ebanacee) ed usato per farne utensili molto robusti (mazze da golf, attrezzi sportivi).

Un’altra spiegazione deriva dalla figura biancastra (detta placenta) visibile tagliando il frutto longitudinalmente, immagine che ricorda Cristo in croce.   Per questo in spagnolo, oltre a kaki, è detto palo santo. (Fonte “Vesuviolive.it”)
(clicca→) https://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/95968-in-napoletano-cachi-si-dice-legnasanta-ecco-perche/

Questi frutti autunnali ora sono comunemente denominati “cachìzze“, derivato forse dal nome scientifico (Diospyros kaki) col plurale esotico cakis.

Mio padre diceva che questo frutto ha fatto la sua comparsa a Manfredonia solo nel dopoguerra, ossia dopo il 1946. Prima non lo conosceva nessuno, forse perché coltivato solo fuori della Capitanata.

In quell’epoca il commercio cominciava a prendere vie più estese e le derrate avevano una gittata maggiore. Allora noi cominciammo a conoscere anche il formaggio Bel Paese, lo Stracchino e l’Asiago.

Da pochi anni è arrivata sulle nostre tavole una nuova varietà di loto (DOP “Ribera del Xùquer”), meglio conosciuto come Caco-mela o “Persimon®”, a polpa dura, senza semi e commestibili anche appena raccolti.

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Lègne

Lègne  s.f. = Legna da ardere

Per lègne si intende solo quella da bruciare nel caminetto o nei falò.

Bellafè, m’ ‘u dé ‘na lègne a San Gesèppe? = Signora, mi vuoi dare un pezzo di legna per consentirci di accendere il falò la sera della vigilia di San Giuseppe?

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Lènghe-Négósse

Lènghe-Négósse s.f. = Lecca-lecca

Grossa caramella piatta inserita in cima a un bastoncino per poterla tenere in mano.

Il lecca-lecca, chiamato a Manfredonia Lènghe-Négósse = Lingua di Negus, aveva sapore, colore e odore di liquirizia, e lasciava ad ogni leccata una scura colorazione nella bocca dei bambini che si potevano permettere di comprarlo.

Forse questo nome era diffuso anche in altre parti d’Italia, tenuto conto che in quell’epoca c’era in cima ai pensieri espansionistici dell’Italia fascista la conquista dell’Etiopia, e perciò l’Imperatore legittimo di quel Paese, Hailé Selassié (gli spettava il titolo nobiliare etiope di Negus neghesti, il Re dei Re), doveva essere ridicolizzato, perché era negro e ritenuto selvaggio ed estremamente bisognoso della grandiosa civiltà del Fascismo.

Tutte stronzate che ora ci fanno ridere. Nel fu così nel 1936 purtroppo.

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Lènze

Lènze s.f. = Benda, lenza

1) Lènze = Benda. Fettuccia di tela bianca, larga cm 8 e lunga cm 80, con uno dei capi piegato a triangolo, dal cui vertice si dipartono due laccetti.  Era usato al posto della garza per bendare piccole ferite o i foruncoli in “maturazione” sugli arti.

2) Lènze= Lenza. Come in italiano, indica il filo sottilissimo e trasparente a un’estremità del quale sono fissati o uno o più ami da pesca.

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