Categoria: L

Làrde

Làrde s.m. = Lardo

È un termine quasi simile all’italiano.

Definisce lo strato di grasso sottocutaneo del maiale, che, asportato dal dorso e dall’addome, viene salato e talvolta affumicato, per essere consumato o usato come condimento.

Ora va di moda il lardo di Colonnata, venduto a caro prezzo perché DOP. Ma sempre grasso è, con tutto il suo carico di colesterolo: non capisco la differenza con quello fatto a Monte Sant’Angelo.

Per estensione si riferisce al grasso, all’adipe degli umani (obesi).

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Lardechèlle

Lardechèlle s.f. = Anemone di mare, Attinia, ortica di mare

Animale marino della fam. degli Attinidi (Anemonia viridis o Anemonia sulcata) dal corpo polipoide molle, con decine di piccoli tentacoli urticanti, detto anche anemone di mare e in alcune zone Capelli di Venere.

Il nome deriva dal Latino “urticula” da “ùrere”, bruciare. Presumo che sia anche la corruzione di (clicca→) l’ardüche = l’ortica. La dimensione minore, rispetto all’ortica terrestre, richiama all’orecchio l’ardechèlle = l’ortichella. Poi l’articolo si è fuso con il sostantivo, ed ecco ‘a lardechèlle.

Ho sentito, per contropartita, che qlcu si è comprato “l’oculo” al camposanto invece che “il loculo”: carenza di orecchio o di istruzione…

Non tutti sanno che in cucina le lardichèlle infarinate e fritte sono una prelibatezza. Una volta raccolti con una forchetta (attenzione che sono peggio delle meduse) si sciacquano in abbondante acqua corrente, si sbattono con il sale grosso e si lasciano dentro uno scolapasta per far perdere l’acqua e la loro micidiale forza urticante.

Dopo si infarinano e si friggono in olio abbondante. Questo piatto anche in Sardegna è ritenuto una prelibatezza e viene chiamato orziadas, e in Spagna ortiguillas (si pronuncia ortighiglias quasi lardichèlle)

Il sapore del mare è evidente al primo assaggio.

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Lardüse

Lardüse agg. e s.m. = Sozzo. Presuntuoso

1) Lardüse = sporco, untuoso, pieno di macchie di grasso.

2) Lardüse = Presuntuoso. Credo che ‘lardo’ possa essere l’origine plausibile anche di lardüse: (pres)untuoso (untuoso come il lardo), quindi non gradevole.

Definizione di lardüse: Chi (sost.), o che (agg.) dà un senso di fastidio per il suo modo di agire da sbruffone, saccente, smargiasso, gradasso.

Lui vuole stare sempre al centro dell’attenzione.
Nen danne avedènze a códdu lardüse = Non dar retta a quello sbruffone.

Si dà delle arie e ritiene che tutti gli altri abitatori della Terra siano suoi inferiori e subalterni.
Códde jì proprje ‘nu lardüse = Costui è proprio uno sbruffone.

In fondo è patetico, perché non si rende conto della sua stronzaggine (la sua prerogativa ad eleggersi “cilindro di merda”, e scusate il neologismo).

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Làrje

Làrje agg. e s.m. = Largo

Làrje, inteso come aggettivo, si riferisce a qlcs di esteso nel senso della larghezza.

Quant’jì làrje ‘stu corridöje = Com’è largo questo corridoio!
Quèsta stréte jì làrje = Questa strada è larga.

Quando è inteso come sostantivo si intende il mare lontano dalla riva o uno spazio esteso.

Ce vedüme ammjizze ‘u làrje d’a chjisa grànne = Ci vedremo in mezzo al largo della Chiesa Grande (Chiesa Madre=Cattedrale). Ossia ci diamo appuntamento in Piazza Duomo, ora Piazza Papa Giovanni XXIII. Bastava anche dire soltanto ammjizze ‘u làrje per capire che, per antonomasia, si intendeva quello della Duomo.

Il concetto “al largo” può essere anche figurato:

Va chéche au làrje = Gira al largo. Sta lontano da me.

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Larjüne

Larjüne s.m. = Largo, piazza

Larjüne indica uno spazio urbano di forma variabile, più o meno ampio, circondato da caseggiati.

Non è una piazza (‘u làrje) nel senso che intendiamo generalmente con questo termine perché è di ampiezza relativamente piccola.

Anche perché ‘a chjàzze, che somiglia all’italiano piazza, da noi significa specificamente tutto il Corso Manfredi, la strada a traffico limitata, quasi un’isola pedonale, destinata da generazioni alla passeggiata serale dei cittadini.

Quindi larjüne è uno slargo, una piazza di dimensioni ridotte.

Faccio qualche esempio: quella antistante l’ingresso sud della Chiesa di San Francesco è detto ‘u larjüne Sambrangìsche; quello nei pressi della chiesa Stella Maris è conosciuto come ‘u larjüne d’a Stèlle; quello un po’ più avanti la Chiesa di Santa Maria delle Grazie (‘u larüne Sanda Marüje); quello davanti al fabbricato della Stazione Campagna è ‘u larjüne ‘a stazzjöna cambàgne. Se vogliamo trovare l’etimologia, ammesso che sia corretto, dovrebbe essere un po’ come l’italiano “larghino” o “larghetto”.

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Làschere

Làschere s.f. = Lastrico solare.

Söp’a làschere = Sul terrazzo.

Come quasi tutte le case del sud Italia, la copertura piana degli edifici è ampiamente praticabile.

Molte massaie vanno tuttora a sciorinarvi il bucato.

Quando eravamo ragazzi era diventata una discoteca privata in funzione nelle sere d’estate.

Bastava un mangiadischi portatile, da poggiare sul muretto, una presa di corrente e una lampadina.

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Lasse e pìgghje

Lasse e pìgghje loc. verb. = Alternare, agire saltuariamente

Una locuzione che si traduce alla lettere “Lascia e prendi” o meglio “riprendi” perché si tratta di una interruzione.

Interrompere spesso un lavoro e riprenderlo successivamente. Ora si dice fare “coffee break” = pausa caffè.

Non è dato sapere l’intervallo di tempo che intercorre tra l’interruzione e la ripresa. Può essere breve o lungo.


Accade ad esempio che un lavoro donnesco (ricamo, rammendo, ecc.) non essendo prioritario, viene eseguito a tratti nei ritagli di tempo.

A me succede quando costruisco i presepi. Dopo aver montato un pezzo, devo lasciar asciugare la colla, e perciò chiudo il garage e vado altrove. Magari lo riprendo nello stesso pomeriggio o dopo due giorni… tanto fino a Natale c’è tempo!
Insomma faccio lasse e pìgghje fino a quando avrò finito il manufatto.
Penso che la stessa cosa accade per l’Arte: pittura, scultura, architettura, musica, narrativa, ecc.

Certamente le Opere non vengono fatte di getto, iniziate e finite senza interruzioni!

Il mio dentista fa innumerevoli intervalli, lasse e pìgghje, per una sola otturazione! Avrà bisogno dei tuoi tempi tecnici. Forse anche la sua “colla” deve far presa.

Anche Manzoni impiegò anni a “sciacquare i panni in Arno”!

Solo la partoriente non può permettersi di fare alcun break, per sgranchirsi le gambe…

Succedeva una volta anche nei fidanzamenti, nelle convivenze o addirittura nei matrimoni: la famosa “pausa di riflessione” che il più delle volte la “pausa” diventava definitiva.


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Lattüche de mére

Lattüche de mére s.f. = Lattuga di mare

Trattasi di un’alga (Ulva lactuca) molto comune anche nel nostro mare. Era usata dai pescatori, quando non esistevano sistemi refrigeranti, per coprire le cassette dei pesci allo scopo di tenerli umidi e così prolungarne la freschezza.
Ho letto che nei Paesi nordici (Scozia, Danimarca, Irlanda, Scandinavia) e in Indonesia viene mangiata come l’insalata orticola.
(Foto Amilcare Renato)

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Latùrne

Laturne (o Latune) s.m. = Lagna, petulanza, lamentela, mugugno.

Lamento prolungato e fastidioso proprio delle prefiche, donne che dietro compenso, nel mondo antico (Egitto, Grecia, Roma) venivano ingaggiate per piangere su di un cadavere.

Accettabile anche nelle forme latune e, per metatesi, talurne.

Uh, e chi jì ‘stu laturne! = Uh, e cos’è questa lagna!

Per estensione dicesi laturne anche un discorso ripetitivo, irritante, tedioso, lungo e insopportabile.

Mo’ ccumènze pe ‘stu laturne! = Ora comincia con questo piagnisteo!

Nota fonetica: la ù va pronunciata lunga, come se fosse la contrazione del dittongo  = uu 

Figuratamente è una persona lamentosa, noiosa, fastidiosa.

Uaglió, ma sì proprje ‘nu laturne = Ragazzo, ma sei proprio una lagna!

Ipotesi sulla origine del nome.

a) probabile derivazione per assonanza dal vocabolo italiano paturna (o paturnia) che significa malinconia, mestizia, disappunto o anche stizza, dal latino Pati = sofferenza (patire, patema, patetico)

b) Siccome nella  Puglia salentina è pronunciata “latuèrnu” probabilmente deriva da “ratuèrnu “ = ritorno, perché descriveva il pianto delle donne pagate per piangere ai funerali.

c) quelli che hanno studiato asseriscono che derivi dal latino latrans -antis = gemito, lamento.

Nella Puglia piana e in Basilicata detta latuorne proprio nel significato di piagnisteo, lamentela, suono noioso, seccatura  

Nel napoletano per metatesi linguistica, dicesi  taluorno, Proverbio campano  “Ogne gghiuorno è taluorno”, ossia “ogni giorno ha la sua pena.

Facilmente deriva dal latino latrans -antis = gemito

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Làure

Làure s.m. = Alloro

L’Alloro (Laurus nobilis) appartiene alla fam. delle Lauraceae. E’ un albero perenne sempreverde, ad arbusto o alberello, alto fino a 8 metri.

Le foglie, oblanceolate o ovali, coriacee, verde scuro, hanno pagina superiore lucida; quando sono schiacciate emettono un profumo dolce e aromatico.

Le foglie sono molto impiegate per dare aroma a vari piatti di carne e pesce.

Servono per insaporire verdure e funghi sott’olio e sott’aceto.

A Manfredonia si usano ‘i fronne ‘u laure = le foglie dell’alloro anche per profumare il capitone arrostito alla brace e le castagne sbucciate e lesse. Ma una foglia, anche secca, di alloro non sfigura nel brodetto di mormore “in bianco”, con prezzemolo, aglio e olio.

Proprietà terapeutiche: tonico-stimolanti, digestive, aperitive, espettoranti, carminative e diuretiche.

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