Pandaške

Pandaške s.f. Tozzo

Specificamente indica una parte del pane, cotto o crudo, strappato con le mani o per mangiarlo avidamente o per formare una pagnottella più piccola o una focaccina da infornare.

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Pandanjire

Pandanjire s.m. = Pantaniere

Al femminile si dice: pandanöre

Proprietario terriera o persona abitante in una area dell’agro sipontino in cui erano presenti i pantani, terreni paludosi nella zona sud, in massima parte bonificati a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, dove oggi sono gli Sciali.

Nelle acque stagnanti prospicienti il golfo pescavano, tra l’altro, anguille e anche rane (ranògne), con le quali si preparava un gustoso ragù o una eccellente frittura, di cui si è quasi perduta memoria.

Le paludi, quantunque malsane, fornivano molte risorse ai “pantanieri”, che ricavavano giunchi per fare cesti, cime di canne per farne scope, altri tipi di vegetali per farne paglia specifica per le “seggére” (donne che confezionavano i fondi delle sedie).
Qualcun campava la famiglia raccogliendo le sanguette, ossia le mignatte (Hirudinea medicinalis), le sanguisughe utilizzate come rimedio empirico nei casi ove fosse richiesto un “salasso”.
Leggi quello che scrive Wikipedia

Ringrazio Matteo Borgia per avermi graziosamente suggerito il termine.

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Palummèlle ‘nanz’a l’ùcchje (I)

Palummèlle ‘nanza l’ùcchje loc.id. = Fosfeni

Si definiscono palummèlle ‘nanz’a l’ùcchje quei fenomini visivi che si manifestano sotto stress o sotto sforzo, o anche per ipertesione oculare, che producono lampi di luce, puntini luminosi sfuggenti o altre forme di annebbiamento della vista.

Alla lettera significa farfalline davanti agli occhi, ossia come se vedessimo questi puntini luminosi danzare davanti a noi. Invece si manifestano all’interno dell’occhio.

Metaforicamente si dice che si hanno queste “visioni”, ‘i pallummèlle ‘nanz’a l’ùcchje o nella pancia quando si è digiuni da troppo tempo.

Insomma uno non ci vede più dalla fame. Ha le visioni. La pubblicità suggerisce uno snack.

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Palummèlle

Palummèlle s.f. = Farfalla, farfallina.

Anche in napoletano si dice palummella per indicare la farfallina. Ricordate i versi di Salvatore di Giacomo “palummella, zompa e vola….vattènne a loco, vattenne pazziella….io m’abbrucio ‘a mana pe te ne vulé caccià (dalla fiammella della candela).

Anche le falene, molte specie di farfalle crepuscolari o notturne, sono chiamate palummèlle.

Pure le farfalline che si levano dai cereali lungamente conservati in ambiente non idoneo.

Quando uno dice di avere le palummèlle nella pancia vuol dire che è affamato..

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Palóscene

Palóscene s.f. = Muffa

Strato di peluria biancastra o verdognola di odore acre, costituito da funghi microscopici, che si sviluppa spec. su cibi e su prodotti vegetali o animali in decomposizione.

Qlcu pronuncia anche palójene. Accettato da tutti perché ugualmente comprensibile.

Ma’, ‘mbàcce ‘i pemedöre c’jì fàtte ‘a palójene!= Mamma, sui pomodori si è formata la muffa!

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Palómme

Palómme o palómbe s.m. = Colombo, piccione; girandola.

1 – Palómme s.m. -Uccello di media grandezza (Columba livia), robusto volatore, dotato di becco leggermente ricurvo in punta e rigonfio all’apice, zampe corte; è detto anche piccione. Parente stretto del colombaccio (Columba palumbus).

Il termine palómme (si pronuncia con la ó stretta, quasi una u) deriva dallo spagnolo la paloma = la colomba (al femminile).
Il loro rifugio è detto ‘u palummére = colombaia, piccionaia. Attenti a non confondere palummére con palumbére = palombaro.

Esiste anche il diminutivo palummjille per indicare quelli piccoli che cominciano appena a volare.

Era quasi obbligatorio somministrare alle puerpere un brodino di carne di palummjille allo scopo di rinfrancarle dopo la fatica del parto e di far aumentare loro la montata lattea.

Era usato in casa dei facoltosi per preparare un brodino leggero. Le puerpere di estrazione più povera ricevevano il brodo ottenuto dalla cottura dei ceci. Forse conteneva meno proteine ma certamente più sali minerali, utilissimi al neonato perché passavano nel latte materno.

Il sostantivo palummjille = colombino, indica metaforicamente anche qlcu alle prime armi che vuole cimentarsi in un’attività impegnativa, in antagonismo con i marpioni: quindi un probabile soccombente, agnello tra i lupi.
Attenzione! Al femminile palummèlle non ha nulla a che vedere con il pennuto fin qua descritto.  Infatti indica una farfalla notturna (la falena).

A volte quando si è indeboliti o affamati si usa l’espressione: Tènghe i palummèlle ‘nnanz’a l’ucchje = Ho un annebbiamento della vista.

2 – Palòmme s.f. = Girandola di carta.
Questa, al femminile, si pronuncia con la ò larga (‘a palòmme = la girandola)

È un giochino di carta, semplice da costruire, che diverte molto i bambini. L’abbiamo fatta tutti, anche quando non avevamo le puntine da disegno per fissarla all’asticciola.

Nell’espressione jìrecìnne ‘mpalòmme si manifesta uno stato di grazia o di soddisfazione, gongolarsi, rallegrarsi, come dire andar col vento in poppa.

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Palme

Palme s.f. = Palma

1 Pianta tipica dei paesi caldi, in Italia è coltivata solo a scopo ornamentale.

2 Pianta della mano o dei piedi, come in italiano

3 Ramo d’olivo che viene benedetto e distribuito nella domenica precedente la Pasqua, per commemorare l’ingresso di Gesù a Gerusalemme.

A Manfredonia le future nuore avevano la consuetudine di portare questo segno di pace alle proprie suocere.

Sicuramente ricevevano in cambio un oggettino d’oro. Si usa ancora?

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Paljéje

Paljéje v.t. = Percuotere, malmenare

Oltre al trisillabo paljèje (pa-ljé-je) si può ricorrere anche al bisillabo paljé (pa-ljé)

Colpire qlcu. violentemente, con le mani o con un oggetto, malmenare, picchiare.

Forse perché l’oggetto con cui si percuote è un paletto?   No! è una reminiscenza del verbo spagnolo apalear = battere, percuotere.
Vi consiglio di cliccare qui→(paliatone) per saperne di più.

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Pàlje

Pàlje s.m. = Pallio

Pallio 1 – Striscia bianca di lana di agnello, con sei crocette (tre per parte, allineate su ciascuna delle due metà) e con le frange nere e veniva conferita dal Papa al Vescovo all’atto della nomina espiscopale.

Il Presule la indossava per rappresentare la sua dignità di Vescovo e la sua sottomissione al Papa, e simboleggiare quindi quella del popolo di Dio alla Sua Chiesa.

Pallio 2 – Stoffa drappeggiata come un sipario semi-aperto, per accogliere ornare e decorare – su una mensola, su un ripiano, o su un palchetto – una statua o un’immagine sacra.
In questo senso ricordo una canzoncina che cantavamo all’Asilo:

«La Madonne de lu Resàrje
oh, quant’jì bèlle sott’a lu palje!

      E la jéme a vesetéje,
      oh che bèlla grazzje ca ce uà féje!

E la grazzje l’amm’avüte
e San Gesèppe ce l`ho recevüte (?)

    San Gesèppe e San Frangìsche
    so’ cainéte (?) de Gése Crìste!»

Le mie orecchie  non capivano bene certe parole, e le ho inserite trascritte, palesemente errate, così come sono rimaste in memoria.

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Paliatöne

Paliatöne s.m. = Scarica di percosse

Il sostantivo  «paliatone», usato in tutto il Sud Italia, indica l’atto di picchiare  lungo una persona e in maniera piuttosto violenta.

Deriva dal verbo palià, di origine Gallo-italico  che indica l’azione di separare il grano dalla paglia usando la pala. Il movimento abbassa-alza-abbassa-alza della pala tra le mani è eloquente.
Un’altra origine plausibile è conducibile allo spagnolo apalear che significa proprio randellare, battere, percuotere, passato attraverso il napoletano palià, di cui paliatone è l’accrescitivo..

Se le percosse sono numerose e memorabili, l’azione dicesi Paljatöne a nómere jüne = Botte a numero uno, cioè in cima ad una ipotetica classifica delle sberle.

Sinonimi:

  • Paliéte s.f. = Legnata
  • Pandummüne s.m.= Pestaggio movimentato
  • Mazzjatöne s.m.= Pestaggio con l’ausilio di un bastone, bastonatura
  • Škaffjéte = Schiaffeggiamento
  • Taccariéte = Legnate col bastone da spighe (‘u taccarijlle)
  • Zeghegnéte = Serie di pugni sugli zigomi o sulle arcate sopracciliari.

Circonlocuzioni:

  • Frechéte de mazzéte = Scarica di legnate (mazze  = manico di scopa)
  • Menéte de cazzuttüne = Gragnuola di pugni
  • Mustaccéte de sanghe = Pestaggio facciale. Il sangue colato dalle narici disegna un paio di baffi (mustazze)
  • Scàreche de taccaréte = Gragnuola di bastonate  inferte col taccarjìlle.
  • Abbuttéte de fàcce = Gonfiata di faccia (per i pugni)
  • Stengenéte de cùste = Incrinatura di costole
  • Menéte de škaffe = Serie di schiaffi
  • Menéte de recchjéle = Schiaffoni a mano aperta diretti a colpire guancia e orecchia.

Altri tipi di percosse inflitte, per lo più in ambito domestico a scopo “pedagogico” erano (dico erano perché ora sono cadute in disuso):

  • A botte de chjanjille = a colpi di ciabatta
    Valido mezzo da lancio che serviva per colpire, in genere alla schiena, le simpatiche canaglie in fuga. Il preciso lancio dei chjanjille (ciabatte in genere pesanti) veniva preceduto da urla tipo: ca te vonn’acciüde, ca te vonna sparé. ‘stu bböje, ‘stu malazziunande, ecc.
  • A botte de ratavjille= a colpi di ramazza.
    Il deterrente migliore che usavano le mamme per domare le piccole pesti della famiglia.
    Il rataviello era una specie di spazzolone per lavare a terra. Non era come l’attuale morbido “mocio vileda”, ma aveva attaccato al lungo manico un pesante tocco di legno rettangolare. Usato con abilità, produceva grossi bernoccoli sulla capoccia dei monelli.
  • A botte de zùcchele = a colpi di zoccolo [di legno]
    Questo era un sistema “volante”, ed era davvero sconsigliabile da usare, in quanto, se colpiva il bersaglio, comportava  una successiva corsa in ospedale per mettere i punti di sutura a una testa spaccata.

Questi sono termini molto più immediati ed efficaci dei corrispondenti in lingua! (busse, percosse, botte). Ne esci sempre molto malconcio, ma… vuoi mettere?

Mi piace qui riportare una composizione del mio amico Leonardo Trotta intitolata:

 “NEN DANNE RÈTTE A SUNNE”

Finalmènde ‘i cöse ce so’ aggiustéte!
Finalmènde ‘a gonne
c’jì ngiunecchjéte annanze ‘i vréche!
Finalmènde c’jì capïte
ch’jì ca cumanne ‘nda ‘sta chése!

L’agghje fatte ‘na frechéte de mazzéte!…
Mò, abbaste ca fazze ‘nu cènne,
E sóbbete ce ‘nginocchje e avasce ‘a chépe.
Abbaste ca jàveze ‘nu dïte
e fé tutte quèdde ca jü dïche….

Po’ so škandéte,
e me so respegghjéte!
È fatte pe ‘uardàrme  au spècchje
e tenöve i guance rosse
e n’ucchje ammappéte.

Nóneme bbunàneme deciöve:
“Nepö’,  statte attjinte ai sunne!
Spìsse so tutte ‘u cuntrarje
de cume ti l’ha sunnete!”

Oooh,  ‘u vidì ca stu sunne
l’agghje méle ‘nterpretéte
e ‘u paliatöne nen l’agghje fatte jü
ma me lu so abbuškete?.

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