Fenèsce a fjite

Fenèsce a fjite loc.id. = Finire male, e fig. guastarsi, degenerare,

Alla lettera significa concludersi a puzza.

Un’avventura senza risultato, un affare andato a male, un progetto non realizzato, una discussione sfociata in rissa, un sodalizio spaccato, ecc.

Similmente si dice anche. ‘u fàtte ce affetìsce = Il fatto diventa puzzolente, prende una brutta piega.

 

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Fenanghe

Fenanghe avv. = Anche, perfino, pure, altresì.

Avverbio bellissimo. Mi sembra un po’ antico, ma è molto gradevole sentirne il suono inserito opportunamente nel corso della frase.

Vogghje venì fenanghe jüje = Voglio venire anche io.

Stöve fenanghe Mattöje = C’era perfino Matteo (chi lo avrebbe immaginato?).

Mò te déche ‘na mulèlle, ‘nu purtjàlle, döje mènele e fenanghe na fèlle de melöne = Ora ti dò una mela, un’arancia, due mandorle e pure (perfino, in aggiunta) una fetta di melone.

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Felumöne

Felumöne n.p. = Filomena

Deriva dal greco Philomenes, composto con le radici del verbo philein, “amare” e menein, “restare”, con il significato di “che resta affezionato, fedele all’amore e all’amicizia”.

L’onomastico è tradizionalmente festeggiato il 5 luglio in memoria di santa Filomena, vergine delle Marche.

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Fèlle

Fèlle s.f. = Fetta.

Si tratta di un trancio di vario spessore separato con un taglio da un elemento intero.  Come: fetta di pane, di salame, di melone, ecc.

Questo sostantivo ha avuto una storia un po’ articolata….
In origine, diciamo fino al 1950, in dialetto si diceva fèdde, molto più convincente perché di suono simile a “fetta”.  Difatti fèdde o fèdda tuttora usata in tutta la Puglia e in Basilicata.

Era convinzione generale che tutti i termini che terminavano in -dde, fossero “rustici” e perciò venivano man mano e quasi automaticamente  “ingentiliti” tramutandone la desinenza in -lle.

Ad esempio mio padre, classe 1901, diceva cavàdde, cepòdde, martjidde, curtjidde = cavallo, cipolla, martello, coltello, fetta.   Ma noi, bambini alfabetizzati, passavamo  a: cavàlle, cepòlle, martjille, curtjille.
Perciò per lo stesso motivo – a torto però – fèdde è diventato fèlle.

Per imbottire un panino usiamo qualche fèlle de murtadèlle o de presótte.
Però in macelleria, per preparare gli involtini o per la cottura alla piastra, chiediamo ‘i fettüne = le fettine…(di pollo o di vitello) .
Addirittura dallo scaffale dei negozi scegliamo ‘i fètte bescuttéte. = le fette biscottate.

Come ogni lingua viva anche il nostro vernacolo subisce nel tempo una naturale evoluzione.

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Felìppe

Felìppe n.p. = Filippo

Deriva dal nome greco Philippos, latinizzato in Philippus, formato da philo da philein, “amare”, e hippos, “cavallo”, quindi “che ama i cavalli, le corse dei cavalli”.

L’onomastico ricorre il 26 maggio in memoria di san Filippo Neri.

Il diminutivo è Peppócce = Filippuccio.

Al femminile è sempre associato a Maria, Marüjafelìppe = Maria-Filippa.

Mi hanno raccontato di una tizia con questo nome che negli anni ’40 – in epoca in cui i telefoni li avevano solo i Carabinieri e il Sindaco – si guadagnava qualche soldino portando messaggi, ambasciate, notizie e inviti da un capo all’altro di Manfredonia.

Quando nasceva un bimbo, lo portava amorevolmente in braccio – non esistevano nemmeno le carrozzine – a farlo conoscere ai parenti del neonato, lucrando l’inevitabile mancia.

Indimenticabile il ‘nostro’ Delfino Filippo, che dal 1998 scelse di vivere nelle acque del nostro Golfo… Impossibile dissociare questo nome dal delfino ‘manfredoniano’. (Foto Giovanni Simone).

Secondo me, gli fu attribuito il nome Filippo per l’assonanza con  Flipper, un delfino protagonista di una fortunata serie televisiva americana degli anni ’60.

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Felìnje

Felìnje s.f. = Fuliggine, ragnatela

1) Fuliggine = deposito nerastro di particelle carboniose residuo della combustione che si forma spec. sulle pareti o nei condotti di scarico di camini, stufe;

2) Ragnatela = tela costituita dai fili sottilissimi che il ragno secerne per catturare gli insetti di cui si nutre.

Per togliere le ragnatele dalle pareti, le nostre nonne usavano una scopa specifica chiamata Scöpe-felìnje fatta con le infiorescenze delle canne di palude.

Si può dire anche felìjeneflìnje, o, come i nostri nonni, flìscene e felìscene

Fé ‘a felìnje = Togliere le ragnatele. Ovviamente con la scöpe felìnje

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Feletüre 

Feletüre s.m. = Tappo, turacciolo.

Tappo di sughero usato prevalentemente per bottiglie di vino, fiaschi, damigiane, barilotti.
Nel Barese e nel Materano lo chiamano similmente “fuldùr”.
Si intendono tutti i turaccioli che si inseriscono nel collo della bottiglia., della damigiana, e di qualsiasi contenitore per liquidi.

Per turare il “cìcino” invece del tappo di sughero, si adoperava il rocchetto vuoto di legno, quelli su cui veniva avvolto il filo di refe ad uso di sarti e calzolai. Però si chiamava sempre feletüre.

Il Prof. Michele Ciliberti, che ringrazio sentitamente, mi ha fornito l’etimologia di feletüre. Riporto testualmente:
«Deriva dal latino fultorium, a sua volta da fulturus, participio futuro di fulcio, che significa sostenere, chiudere, turare, quindi turacciolo».

Questo spiega anche il contrario sfulecé  = sturare, sgrumare specificamente il cannello della pipa o altro dispositivi di scolo.

Il termine tende a scomparire, soppiantato da tàppe, più rapido da pronunciare… Con questo termine si intendono.oltre a i tappi di sughero, anche quelli a corona usati per le bottiglie di birra, o quelli a pressione di plastica colorata per le damigiane..

Figuratamente mètte ‘u feletüre indicava l’atto sessuale. Ormai è in disuso (solo il termine feletüre, non l’attività sessuale, per fortuna….).

La stessa frase, a seconda del contesto, è detta in modo un po’ spregiativo, per indicare l’azione di un uomo che sposa una ragazza dalla vita sentimentale piuttosto turbolenta.
Jì arrevéte jìsse è ho mìsse ‘u feletüre = È arrivato lui (ignaro o consapevole) ed ha messo il tappo, ha messo fine al comportamento disordinato della pulzella.

In lingua si potrebbe dire, in caso di consapevolezza: “costui ci ha messo una pietra sopra” (sul passato della sua sposa).   Ha sorvolato sui precedenti di lei, ha preferito non pensarci e guardare al futuro.

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Feletöje

Feletöje n.p. = Filoteo, Filotea

Nome invariato anche femminile, andato ormai in disuso, Filoteo/a come Teofilo, proviene dal greco e significa: ‘che ama Dio’.

Nella versione Amadeo e Amedeo (in dialetto Amédöje) deriva dal latino qui amat Deum che significa ugualmente “colui che ama Dio”, documentato a partire dall’XI secolo nella forma latinizzata di Amadeum.

Il significato in epoca più recente è stato reso in italiano quale Amodio = amo Dio.

L’onomastico è tradizionalmente festeggiato il 28 gennaio in memoria del beato Amedeo IX di Savoia morto nel 1472.

Se non ricordo male Amedeo Del Vecchio (chiamato da tutti don Amédöje) fu il medico condotto del Comune di Manfredonia, reponsabile della salute pubblica. Credo che eseguisse personalmente tutte le vaccinazioni ai bambini di età scolare.

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Felére

Felére s.f. = Fila

Serie di cose o persone allineate una accanto all’altra (allineamento) o una dietro l’altra (successione).

Felére de bettüne = fila di bottonio

Felére d’àreve = Fila d’alberi

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Feleppüne

Feleppüne s.f. = Vento freddo, Spiffero

Non è un’abitante delle Filippine, né il diminutivo di Filippo/a….
Si tratta di un vento secco di tramontana o più semplicemente di uno spiffero freddo e pungente, che provoca una sgradevole sensazione di gelo tra capo e collo.

Sono certo che quasi tutti i dialetti del Sud Italia usino questo termine.
Non so se il nome ha origine dalle Isole Filippine, ove soffiano gli impetuosi Monsoni.
Il termine, a prescindere da questo, è molto simpatico.

Qualcuno asserisce che si tratti di un prestito Lucano.  A Tursi (comune collinare della provincia di Matera, patria del grande poeta Albino Pierro)
con riferimento al vento particolarmente pungente che spira colà dal rione della Chiesa di San Filippo Neri, il punto più alto della cittadina, sia stato coniato  il termine fələppinə. 

Ahó! Chiudüte quedda pòrte, ca möne ‘na feleppüne! = Ehi, chiudete quell’uscio, ché arriva uno spiffero!

Il verbo soffiare, spirare, come azione del vento si traduce con vutté = spingere (vòtte ‘u vjinde) o mené = colpire, lanciare, scagliare (möne ‘u vjinde).

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