Capacchjöne

Capacchjöne agg. = Testone, testardo

Il soggetto che ha dato origine al soprannome o aveva una testa di considerevole stazza, o semplicemente era testardo, cocciuto.

Significa anche caparbio, ostinato nelle proprie convinzioni. Nessuno riesce a farlo desistere, nemmeno di fronte all’evidenza.
Insomma, in altri termini, può definirsi chépe de mentöne = testa di montone, di ariete.

il ‘u Capacchjöne per antonomasia era diventato spregiativamente il fondatore del Fascismo, Benito Mussolini, capacchjöne onorario.
All’epoca molti ritenevano che il suo testone contenesse un cervello dotato di una intelligenza eccezionale. Altri lo immaginavano pieno di “fumiero”, e mi fermo qui perché non parlo di Politica in questo sito.

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Canzìlle

Canzìlle s.m. = Incardellato canoro

Uccellino molto melodioso ibrido, nato per incrocio in cattività fra una canarina (‘na canàrje) ed un cardellino (‘nu cardìlle).

Canta incessantemente in diversi toni rincorrentisi, come una “fuga” di Bach. Fino a sera, se non si copre la gabbietta con un drappo, fa rintronare la casa dei suoi trilli.

Dà grosse soddisfazioni all’allevatore. Si racconta di un Napoletano che per ottenerlo, in cambio diede un maiale adulto! Ci credo.

Sto pensando, curiosamente, all’origine del nome: come il mandarancio è un ibrido di mandarino e arancia, così potrebbe essere can- (radice da canarje) e -zìlle desinenza da cardìlle)…Ma è solo la mia fantasia, senza alcun basamento scientifico-etimologico.

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Canzéne 

Canzéne n.p. = Canzano.

Nome di un Comune del Teramano.

E’ anche un Cognome diffuso in Campania e in Abruzzo.

Da noi è diventato un soprannome.

Ricordo un certo Matteo Canzano, un tipo bonaccione, che per pochi spiccioli andava a riempire una “quartara” d’acqua per conto di persone anziane..

Camminava per le strade fischiettando una unica monotona nota. Le donne, quando lo sentivano, uscivano e chiedevano:”Mattöje, me vu jègne l’acque?” = Matteo, mi vuoi riempire l’acqua?

Era molto buono, sempre sorridente… fino a quando qualche farabutto gli ha insegnato a bere il vino e a fumare. Tutti i suoi guadagni li spendeva alla cantina

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Ciambotte

Ciambotte s.f. = Zuppa di pesce (del Golfo).

I Potentini, che sono montagnari, chiamano pomposamente ciambotta una volgare zuppa di verdure….

Per un integralista come me sentire questo soave nome dato a dei semplici vegetali è una vera eresia.

La ciambotte nostrana si prepara con una nutrita specie di pesci: tràcene, sparrüne, cechéle, tèste, lucèrne, scròfele, sambjitre, caccjüne, siccetèlle, scàmpe, rùnghe, ecc. (eh, eh, mi sembra la formazione di una squadra vincente ai campionati gastronomici mondiali!).

È veramente squisita sia versata sugli spaghetti al dente, sia usata come intingolo per ammollarvi il pane duro, vecchio di qualche giorno, oppure in versione più aggiornata, dei crostini di pane abbrustolito.

Un piccolo segreto rende la ciambotte di Manfredonia un po’ speciale rispetto al cacciucco livornese, o alla bouillabasse di Marsiglia, o alla zuppa di pesce di Termoli o di Taranto o di San Benedetto del Tronto (tutte molto buone, per carità…).

Quella fetta di peperone, possibilmente verde, che le nostre mamme pongono nel sughetto è la mossa vincente!

Altro che Vissani, lo chef che si fa vanta di conoscere tutti i segreti della cucina….Vissa’, vàtte cùleche!

Quelli che dicono ‘a zóppe ‘u pèsce = la zuppa di pesce, sono Manfredoniani parlanti un dialetto geneticamente modificato. Si deve dire ‘a ciambòtte!

Scherzosamente nel dire facjüme ciambòtte si usa un parlare figurato. Non si prepara la zuppa di pesce, ma si combina qualcosa di intimo, di delizioso, ma in coppia…

L’amico Ettore Don mi ha fornito l’etimologia di ciambotte.
«Si racconta che i marinai francesi usassero questo termine durante i periodi di scarsità…il significato tradotto dal linguaggio arcaico francese vuol dire : prendiamo ( mangiamo ) tutto quello che abbiamo a bordo»

Stranamente i Baresi coniugano al maschile, il “ciambotto” e al femminile le “scagliozze”…

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Cechéle

Cechéle s.f. = Canocchia

Crostaceo marino (Squilla Mantis) di piccole dimensioni, apprezzato per le sue carni; è detto anche cicala di mare.

Dà profumo e sapore alla nostra prelibata ciambòtte.

Durante il periodo della riproduzione, per effetto della cottura, la parte centrale della cicala si coagula, e forma il cosiddetto “cannùle” = cannelletto, di colore arancione e di consistenza più dura della restante polpa bianca, cannello che è ugualmente commestibile.

Per curiosità riporto le denominazioni regionali (dal web):
DENOMINAZIONI REGIONALI

* Abruzzo: Canocchia.
* Campania: Pannocchia, Spernocchia, Sparnocchia, Šcrefìce
* Friuli-Venezia Giulia: Canocia, Canoccia, Canocchia, Pannocchia.
* Liguria: Balestrin, Sigà de maa, Sighea.
* Marche: Cannoccia, Cannocchia, Panocchia, Nocchia.
* Puglia: Cannocchiella, Cecala, Caraviedde, Canocia.
* Sardegna: Càmbara de fangu, Solegianu de mari.
* Sicilia: Astrea, Cegala de mari, Schirifizu.
* Toscana: Canocchia, Pannocchia, Cicala di mare.
* Veneto: Canocia, Canoccia, Canòcchia, Panocchia.

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Cannùle

Cannùle s.m. = Ghiaccio

Ghiaccio artificiale a blocchi, ottenuto attraverso il congelamento dell’ acqua in appostiti contenitori a sezione quadrangolare di cm 25 x 25 e di circa 70 cm. di altezza

Usati in marineria, dopo grossolana tritatura, per conservare per qualche ora il pesce fresco, durante il trasferimento dal peschereccio ai paesi vicini.

La colonnina di ghiaccio ha avuto il suo auge al tempo delle granite (grattamarjànne) preparate al momento del consumo.

Si vendeva a pezzi di circa mezzo chilo, quando non c’erano i frigoriferi domestici, e d’estate si voleva ottenere una bevanda fresca.

Un giovane intraprendente girava per le vie di Monticchio con una carrellino sul quale trasportava il suo ghiaccio, coperto di paglia per isolarlo dall’afa, e lo vendeva agli angoli delle strade: ‘u ghiacce, u ghiacce, u ghiacce de Fogge! Accattàteve ‘u ghiacce de Fogge, uhé! = Il ghiaccio, il ghiaccio, il ghiaccio di Foggia! Acquistate il ghiaccio di Foggia, ohé!…

Come se il ghiaccio di Foggia fosse migliore di quello locale!

Comunque aveva fretta di vendere altrimenti lo perdeva sgocciolando per le strade.

Mamma mi dava una moneta: Tonino, mamme, va’accàtte djice lüre de ghiacce ca mò vöne papà. = Tonino, bello di mamma, va a comprare dieci lire di ghiaccio ché fra poco viene papà.

Con il termine cannùle si indica anche la parte interna delle canocchie (Squilla mantis) che si coagula durante la cottura.

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Cannótte

Cannótte s.m. = Fauci

Fauci spalancate, intese sia nel senso di fauci fameliche e sia come jàrze da urlatori come i bannajule .

Quanne je so’ arrevéte addu jìsse, cuddu desgrazzjéte m’ho gredéte pe tande ‘nu cannotte japirte = Quando sono arrivato da lui, quel disgraziato mi ha urlato con tanto di fauci aperte.

Deriva da “condotto, tubazione”

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Cannöle

Cannöle s.f. = Candela

Asta cilindrica di cera, di varia grossezza e lunghezza, con un’anima di fili di cotone o di lino intrecciati, detta “lucignolo” o “stoppino”, che s’accende per illuminare.

Con l’avvento della corrente elettrica la candela è usata solo per usi liturgici.

Scherzosamente ‘a cannöle indica, il muco pendente dal naso dei bimbi mocciosi.

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Cannarùzze

Cannarùzze s.m.= Cannerozzo, pasta alimentare

Formato di pasta alimentare, corta.

Etimo deritavo dal loro formato, come di un canna spezzettata

Quelli di diametro più piccolo si chiamano cannaruzzètte o tubbettïne = Tubicino

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Cannarüte

Cannarüte agg. = Famelico, vorace, goloso

Deriva da “canna”, il tubo dell’esofago che porta il cibo dalla bocca allo stomaco, evidentemente ben funzionante.

Il termine, alla lettera, significa dotato di ottima canna, intesa come la “gola” del goloso.

Cannarüte è riferito al mangione nel senso di famelico, ingordo, insaziabile.
Per i golosi di dolciumi esiste un aggettivo specifico: Cianguljìre

Le nostre mamme bonariamente asserivano che noi monelli avevamo la “canna longhe accüme ‘i scöpe felìnje“.
Tuttavia ci assecondava, giustificando il fatto che avevamo la “canna lunga” (nel senso di essere insaziabili), paragonando la dimensione della nostra “canna” a quelle palustri, che producono quel pennacchio usato per fabbricare le scope morbide, adatte a raccogliere le ragnatele.
Potenza di sintesi del nostro dialetto!

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