A cècere a cècere ce jègne ‘a pegnéte

A cècere a cècere ce jègne ‘a pegnéte = un cece per volta riempie la pignatta.

L’amico Sandro Mondelli mi fa notare che – derivando dal verbo anghjì = riempire – si deve dire ce jènghje e non  ce jègne.   Giustissimo!
Tuttavia ho usato la seconda versione solo perché la velocità dell’enunciato rende più facile la pronuncia.

Sempre per rispettare la corretta dizione si dovrebbe scrivere col raddoppiamento della consonante iniziale, ma mi sembra troppo macchinoso: A ccècere a ccècere ce jènghje ‘a pegnéte. Ma vanno bene tutti e due i modi di scriverli.

Come tutti i proverbi è un invito alla prudenza, alla moderazione, alla previdenza:
Se quello che possediamo ci pare scarso, serbiamolo ugualmente, perché in seguito ci potrà sempre servire. Insomma un po’ per volta si riuscirà a realizzare qualcosa.

In Terra di Bari dicono: Péte péte se fasce ‘u parété = Pietra su pietra sei fa (si erige) la parete.

I Montanari dicono: ogni pìcche aggióve = Ogni “poco” giova, è utile.

Una botta di previdenza e di ottimismo.
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La carne jì morte e ‘u bröde ce jètte a li chéne

La carne jì morte e ‘u bröde ce jètte a li chéne

La carne è morta e il brodo si butta ai cani.

I più anziani pronunciano: A carne jì morte e ‘u bröde ce scètte ai chéne.
Essi usano il verbo scètte, dall’infinito scetté, più simile al francese jéter

Questo proverbio indica una situazione molto triste.
Succede spesso che al decesso di una persona i familiari si contendano i suoi beni, ancorché divisi secondo la legge o secondo il testamento eventuale. C’è sempre chi non è soddisfatto, ritenendosi leso nei propri interessi.
Così passa in secondo ordine la persona e si mettono in primo piano le cose.  Ormai il poveretto è morto, e non è degnato nemmeno di un senso di gratitudine, tanto conta solo quello che ha lasciato…

Conosco casi in cui, tra contestazioni e liti giudiziarie, l’eredità si è dissolta per pagare gli avvocati e le spese giudiziarie, così come è scomparso l’affetto fraterno.

Lo studioso mattinatese Francesco Granatiero intende così lo stesso proverbio: “Morto un familiare, si dimenticano i parenti acquisiti tramite lui”.  Secondo me sono calzanti e valide entrambe le interpretazioni.

Nota linguistica:
Molti termini si sono evoluti, diciamo che si sono “ingentiliti”, perché erano ritenuti troppo cafoneschi:
Scetté = gettare, buttare è diventato jetté
Desciüne = digiuno, si è mutato in dejüne
Furciüne = forchetta, ora è furchètte
Cavadde = cavallo, cavalle
ecc.

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La fèmmene jì accüme ‘a castagne, quanne ‘a jépre truv’a majagne.

La fèmmene jì accüme ‘a castagne, quanne ‘a jépre truv’a majagne.

La donna è come la castagna. Quando la “apri” trovi la magagna.Cioè solo dopo averla conosciuta a fondo trovi dei difetti, perché  ben dissimulati o ben protetti dal suo aspetto attraente.

Ma per fortuna non è sempre così.
Ci sono delle fanciulle solari, belle, aperte, come sono fuori sono dentro. Viva le donne!

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Mangiajòrze

Mangiajòrze s.m.. = Approfittatore.

Epiteto spregiativo che definisce colui che approfitta dalla fiducia altrui.

Quando in una bottega artigianale i lavoranti ricevevano una mancia, ponevano il denaro raccolto in comune e poi, successivamente lo dividevano in parti uguali a fine settimana.

Capitava spesso che qualche furbo si portava via una parte del malloppo..Ecco perché si definiva mangiajòrze, colui che mangiava anche la parte altrui.

Jurgé = guadagnare; jòrze = guadagno

Sinonimo di Tranganére

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Manghe

Manghe avv. = Nemmeno, sinistra, mancino

1) Manghe avv. = Nemmeno, neanche

À truéte i spàrge’ – Manghe jüne = Hai reperito degli asparagi selvatici per i campi? Nemmeno uno!

Jü nen sò stéte – Manghe jü = Io non sono stato – Neanche io!

Manghe li chéne = Non lo auguro nemmeno ai cani!

2) Manghe agg. = Mancino, situato a sinistra.

‘A ména manghe = La mano sinistra, o anche a sinistra

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Mangé péne e curtjille

Mangé péne e curtjille loc. id. = Mangiare solo pane

Una locuzione fantasiosa per dire che si vive in ristrettezze.

È un parlare figurato. Quando non si ha nemmeno il companatico, si taglia una fetta di pane a bocconcini e lo si gusta un pezzo per volta, masticandolo a lungo e sperando che riesca a calmare la fame.

Ho sentito racconto di prigionieri di guerra perennemente affamati, nutriti quel tanto per non farli morire di inedia. La fame è una brutta bestia. Noi che badiamo alle diete non abbiamo nemmeno l’idea di che cosa significhi patire la fame.

Ringrazio la Redazione di GreenVision Production per il suggerimento.

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Mangé ‘u cüle d’a jallüne

Mangé ‘u cüle d’a jallüne loc.id. = Protestare, brontolare, borbottare

Alla lettera significa: Mangiare il culo della gallina.

È una domanda ironica che si rivolge a colui che è sempre scontento e trova da ridire in continuazione.

Statte ‘nu pöche cìtte! E che t’ha mangéte, ‘u cüle d’a jallüne? = Sta un po’ zitto! Che hai mangiato, il culo della gallina?

Ritengo che l’origine di questo detto, riferito al bisbetico, vada ricercata intorno al desco, allorquando la madre ha suddiviso le porzioni della gallina in brodo tra i membri della sua famiglia.

Infatti le cosce sono andate al papà e al figlio grande, perché devono sopportare i lavori gravosi in mare o nei campi; il petto alla sorella gracile e delicata di salute; le ali alla mamma perché hanno poca polpa; e la parte meno pregiata al figlio minore, tanto poi in casa troverà qualcos’altro per compensarsi…

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Mandràcchje

Mandràcchje s.m. e top. = Mandracchio

Credevo che fosse un toponimo di Manfredonia, riguardante la spiaggetta Diomede, poi ho scoperto che esiste anche a Livorno e a Napoli, ossia in località litoranee munite di porto.

Le ricerche mi hanno portato al Vocabolario della lingua italiana di De Mauro: “settore ben riparato di un porto usato come darsena per piccole imbarcazioni “.

Non contento ho consultato vocabolario etimologico alla voce mandracchio.

Allora lo classifico sia come sostantivo, sia come toponimo, così non sbaglio.

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Manderüne

Manderüne s.m. = Mandarino

Conosciutissimi (Citrus madaurensis) sono dei frutti simili all’arancia ma più piccoli, di sapore dolce e ricchi di succo (e di semi!).

In questi ultimi decenni sono comparsi diversi ibridi: mandarancio, clementine, marzaioli. Tutti eccellenti!

Il dialetto segue la parlata di quelli che non sanno l’italiano e che dicono manderino anziché mandarino.

Il nome deriva dalla città di Madaura (nella Numidia degli antichi, l’odierna Algeria) che è riportato nel nome scientifico (madaurensis, ossia madaurinese o madaurino, ammesso che si possa dire così).

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Mànde

Mànde s.m. = Vello, mantello

1) ‘U mande = Il vello degli ovini tosato intero, ultilizzato per imbottire i materassi si una volta. Se la lana era a tosata a bioccoli aveva un valore decisamente inferiore di quella tosata “a mande

2) ‘U mande = Il mantello, specialmente usato nella locuzione sté ‘nu mande de sedöre, o ‘nu mande d’acque.. Madido di sudore, coperto di sudore, inzuppato di acqua per l’abbondante traspirazione, come un manto, per tutto il corpo.

Stéje ‘nu mande de sedöre! Fàtte ‘na refreşkéte! = Sei madido di sudore, datti una rinfrescata!

Mettume tutte cöse sòtte ‘u mande ‘a meserecòrdje = Mettiamo ogni cosa sotto il manto della misericordia divina (ossia, mettiamoci una pietra sopra e non ne parliamo più). Per dimenticare un’offesa o un credito inesigibile.

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