Mese: Maggio 2018

Feleppüne

Feleppüne s.f. = Vento freddo, Spiffero

Non è un’abitante delle Filippine, né il diminutivo di Filippo/a….
Si tratta di un vento secco di tramontana o più semplicemente di uno spiffero freddo e pungente, che provoca una sgradevole sensazione di gelo tra capo e collo.

Sono certo che quasi tutti i dialetti del Sud Italia usino questo termine.
Non so se il nome ha origine dalle Isole Filippine, ove soffiano gli impetuosi Monsoni.
Il termine, a prescindere da questo, è molto simpatico.

Qualcuno asserisce che si tratti di un prestito Lucano.  A Tursi (comune collinare della provincia di Matera, patria del grande poeta Albino Pierro)
con riferimento al vento particolarmente pungente che spira colà dal rione della Chiesa di San Filippo Neri, il punto più alto della cittadina, sia stato coniato  il termine fələppinə. 

Ahó! Chiudüte quedda pòrte, ca möne ‘na feleppüne! = Ehi, chiudete quell’uscio, ché arriva uno spiffero!

Il verbo soffiare, spirare, come azione del vento si traduce con vutté = spingere (vòtte ‘u vjinde) o mené = colpire, lanciare, scagliare (möne ‘u vjinde).

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Felatjille 

Felatjille s.m = Spaghetti o vermicelli.

Accettabili anche le versioni  felatjidde, falatjille e falatjille
Varietà di pasta alimentare lunga, secca e filiforme.

Etimo: in dialetto deriva certamente da filo e filato, mentre in lingua deriva da spago per spaghetto e da vermi per i vermicelli, indubbiamente per l’aspetto filiforme della pasta, caratteristica della gastronomia italiana.

Felatjille è un nome generico, non so se viene usato ancora, per indicare gli spaghetti. In effetti questi hanno una serie di nomi per indicare ciascuna misura.

Ecco quelli che ricordo:
‘i capellüne (d’àngele) = i capellini
‘i spaghettüne = gli spaghettini
‘i spaghètte = gli spaghetti ‘ristoranti’, i più usati (almeno a casa mia….)
‘i spaghètte menuzzéte = spaghetti sminuzzati si cuocevano per preparare le minestrine in brodo o la pasta con i legumi.
‘i felatjille = i vermicelli
‘i perciatjille = gli spaghettoni, non più adoperati perché richiedevano una cottura molto lunga, incompatibile con l’appetito incontenibile dei giovani.

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Felafanghe

Felafànghe s.f. = Moltitudine

Gran numero di persone, o anche animali, e cose, radunate o allineate.

Ossia una gran folla, una massa di gente, un gregge di pecore, ecc.

Presumo, ma forse sbaglio, che felafanghe – a volte pronunciata falafanghe fülafande – derivi da “fila lunga”, come dei soldati, dei fanti che marciano allineati, o una processione che procede lentamente. La storpiatura è fisiologica quando un termine non è usato con molta frequenza.

Ajire söre stöve ‘na felafanghe de crestjéne abbascia mére a vedì ‘i fùche = Ieri sera c’era una gran ressa di persone sul lungomare a guardare i fuochi pirotecnici.

Sté ‘na felafanghe de uagnüne abbasce ‘u càmbe a vedì ‘a partüte = C’è una massa di ragazzini allo stadio a vedere la partita (di calcio).

Da noi lo stadio (l’odierno “Miramare”, una volta chiamato “Fossa dei Leoni”) è in posizione più bassa rispetto all’abitato, e perciò si dice “abbàsce ‘u cambe” = giù al campo (sportivo).

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Felabbustjire

Felabbustjire agg. s.m. = Scaltro

Chi e che è furbo, astuto, dalla lunga esperienza, che sa trovare sempre un espediente per cavarsi d’impiccio, che agisce senza scupoli, con prepotenza e addirittura al limite della legalità per raggiungere il suo scopo.

È un soggetto da evitare, che ne ha combinate di cotte e di crude, un ben farbutto.

E vüje ve mettüte pe quèdda pèlle? Sòrte de felabbustjire ca jì! = E voi volete competere con quella pellaccia? Sapete che è un autentico furfante.

L’etimologia è chiara: deriva da ‘filibustiere’, che anche in italiano è sinonimo di mascalzone, canaglia, delinquente, imbroglione, disonesto, farabutto, furfante, ecc.

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Fèdeche

Premetto che il termine esposto è stato usato fino alla mia generazione. Ora i ragazzi che hanno frequentato la scuola dell’obbligo hanno un po’ snaturato il dialetto e dicono fèghete, quasi come il corrispondente lemma italiano.

Il fegatoè una ghiandola interna molto importante per il metabolismo degli appartenenti alla fauna terrestre, marina, umani compresi. Non voglio fare una disquisizione scientifica…

Preferisco guardare il fegato dal punto di vista gastronomico. Infatti viene usato a fette cotto alla piastra, o in umido con la cipolla. Usato a pezzettini nella confezione dei turcenjille pugliesi.

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Fedarecìnne 

Fedarecìnne v.i.= Aver vigore, coraggio

Alla lettera significa fidarsene, nel senso di aver fiducia e consapevolezza delle proprie capacità.

Te la füde de javezàrete? = Te la senti di alzarti (dal letto, dopo la febbre che ti ha divorato stanotte)?

Nen me la füde = Non mi reggo in piedi.

Jògge me la füde de mangiàreme trecjinde fechedìgne = Oggi mi sentirei di trangugiare trecento fichidindia (come San Lorenzo)…Sté verrüte ‘u giòvene = È vigoroso il ragazzo!

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Fecòdde 

Fecòdde s.m. Busbana, Merluzzetto giallo, falso merluzzo

Pesce a carne bianca della famiglia dei Gadidae (Trisopterus minutus capelanus).

Si pesca abbastanza vicino la costa, tra la superficie e 300 mt. di fondo, spesso in banchi numerosi. Si ciba in preferenza di crostacei.

Abbastanza comune nel Mediterraneo occidentale ed in Adriatico.

In Terra di Bari li chiamano semplicemente “fichi”, nome che somiglia per etimologia al nome manfredoniano.

So che a Molfetta li chiamano “Nuzze menghiaràjene” ossia il merluzzo fesso, minchione, stupido.

Non supera i 20 cm e per questo è ritenuto di scarso interesse commerciale. Noi Manfredoniani invece lo apprezziamo, specie se preparato in bianco o frittura.

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Fechedègne

Fechedègne s.m. = Ficodindia

Al plurale è fechedìgne o anche fechedìnje 

Questo pianta (Opuntia ficus-indica) è originaria dell’America (Indie occidentali, come le chiamò Cristoforo Colombo). I suoi frutti per la loro dolcezza furono paragonati ai fichi nostrani.

Per la stessa provenienza abbiamo i Peperoni e il Mais (Pepedìnje = pepe d’India e Gréndìnje = grano d’India).

Il termine è generalmente volto al plurale. Se si vuol indicare un singolo frutto si dice fechedègne. Le persone che una volta si dedicavano alla coltivazione, o quanto meno alla raccolta e alla vendita al minuto erano detti: fechedegnére.

Si distinguono in fechedìnje masculüne = fichidindia mascolini, con poca polpa, giallastri e poco gustosi, detti anche ‘ndursacüle  (= che intasano il culo) per i suoi  nefasti effetti collaterali  arrecavano un’occlusione al sistema digerente.  Si diceva che tutti i noccioli si ammassassero nella parte terminale dell’intestino causando il blocco dell’evacuazione. Si diceva anche che per liberare l’ano intasato (‘ndurséte) si doveva ricorrere manualmente mediante una cannuccia o a una forcina da capelli.

Secondo me erano tutte fandonie.  Anzi, sembra che, mangiati numerosi a digiuno e accompagnati da molta acqua, abbiano effetto anti stipsi. Insomma liberano l’intestino senza bisogni di ricorrere a farmaci.

Eccellenti invece i fechedìnje a pagnòtte, grossi (iperbolicamente paragonati al panino) rossi e dolcissimi.

Agghje capéte tre fechedìgne a pagnòtte = Ho scelto (fra gli altri) tre fichidindia belli grossi (a forma di pagnottelle).
Delicati e profumati quelli detti fechedìgne a Reggiüne = fichidindia della Regina.

Talvolta crescono inglobati nella “pala” e vengono chiamati fechedìgne a pìzzeche.

Quando vengono raccolti da mani inesperte (spràteche = prive di pratica manuale) l’attaccatura alla pala si lacera: allora diconsi fechedìnje sculacchjéte = fichidindia sfondati (dal culo rotto).

Quelli raccolti a ottobre, essendo maturati a lungo sulla pianta, assumono un bel colore rosso/violetto e sono davvero squisiti.

Esistono anche fichidindia tardivi che vengono detti fechedìgne vernüne = fichidindia invernali, raccolti a dicembre ancora succosi e zuccherini.

I fichidindia siciliani sono belli perché variopinti (rossi, violetti, verdi, gialli), ma a mio parere non dolci quanto quelli nostrani, dal monotono colore arancione, ma zuccherini.

Molti sono dicono scherzosamente,  che il nostro Santo protettore, San Lorenzo Majorano, abbia fatto una solenne scorpacciata di fichidindia e che, col suo gesto benedicente alla latina (con tre dita della mano destra distesi, ad indicare la Trinità divina) si vantava di averne trangugiati trecento!
Cosa impossibile (non l’ingozzatura) semplicemente perché ai suoi tempi, cioè nel V secolo d.C., in Europa questo frutto non esisteva. Difatti arrivò “soltanto” dieci secoli dopo, con la scoperta dell’America, (sec.XV d.C).
Ringrazio Enzo Renato e Aronne Del Vecchio ed altri lettori per i loro preziosi suggerimenti che mi hanno consentito di ampliare questo articolo.

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Fechedegnére

Fechedegnére s.m. = Coltivatore di fichidindia

Con questo termine si intende designare sia colui che i coltiva, sia quello che li raccoglie e sia la persona che li vende.

La coltivazione dei fichidindia avviene per lo più in Sicilia. Da noi le piante crescevano e crescono tuttora, quantunque in misura ridotta, in maniera spontanea su terreni demaniali attorno a Manfredonia.

Qlcu si industriava di andare a raccoglierli per venderli e guadagnare qualcosa: è sempre stato frutto dei poveri.

Pane e fichidindia era la cena, certamente genuina e salutare, ma con poche proteine, della popolazione degli anni ’40 e ’50.

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Fé a vöce a vöce 

Fé a vöce a vöce loc.idiom. = Lagnarsi, gemere

È corretto dire anche fé vöce a vöce.

Dolersi per un malore, una colica, una ferita.

Stanotte màmme ho fàtte vöce a vöce = Questa notte mia madre non ha fatto altro che gemere per i dolori.

Esempio di vöce a vöce:
Madònne…, Madònne…, Madònne mamme!… ‘A chépe,… Oh, Madònne ‘a chépe! Ah… Madònne.

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