Autore: tonino

Ntuppé

‘Ntuppé v.t. = Cogliere in flagrante, scoprire l’autore di un’azione biasimevole

In italiano, l’insuperabile Treccani definisce “intoppare” l’imbattersi inaspettatamente in qualcuno o in qualche cosa.
In dialetto la voce simile ‘ntuppé ha un significato analogo, ma è più completo: quel “qualcuno” con cui ci si imbatte sta sicuramente compiendo un’azione riprovevole.
Ad esempio sta rubando, sta compiendo un sabotaggio, un vandalismo, sta molestando una ragazza, sta inquinando l’ambiente, ecc.

I carabbenjire hanne ‘ntuppéte a jüne ca stöve arrubbane ‘i röte de ‘na ‘tomòbbele. = I carabinieri hanno colto in flagrante uno che stava rubando le ruote di un’automobile.

Hanne ‘ntuppéte a ‘nu giuvenòtte senza bigliètte = Hanno scoperto un ragazzo senza biglietto.
Questa è la stringata traduzione letterale.
In corretto italiano va così intesa: Hanno scoperto un ragazzo che si era intrufolato nel cinema (o nello stadio, sul treno, in bus, ecc.) senza aver pagato il relativo biglietto d’ingresso.

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Stuppüne

Stuppüne s.m. = Stoppino, lucignolo

Il sostantivo stuppüne, simile all’italiano stoppino, designa un fascio di fibra di cotone ritorto usato come anima nelle candele che per capillarità porta la cera (ora sostituita dalla paraffina solida) ad alimentare la fiammella illuminante.
La stessa cosa avviene per le fibre di cotone, in un intreccio più voluminoso, nelle lucerne a olio e spesso chiamate col sinonimo di lucìgne =lucignolo.
il termine stuppüne era usato genericamente anche per i lumi a petrolio (grezzi per carrettieri, e più presentabili per uso domestico): tuttavia questo stoppino specificatamente era dettoa cavezètte s.f.= calza, calzetta.
Esistevano due tipi di calzetta: quella piatta (cavezètta chiatte) a fettuccia, larga circa cm 2,5 e quella tubolare (cavezètta tonne) che in lumi con bocchetta differente, sviluppava una fiammella più luminosa ma che conseguentemente comportava un maggior consumo di carburante.

In senso ironico ” fé ‘u stuppüne ” significa fare una fregatura, un bidone, raggirare, imbrogliare qualcuno.
Presumo che lo stoppino bruciato non ha alcun valore apprezzabile, come il bidone senza contenuto.

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Pèrde ‘i sinze

Pèrde ‘i sinze loc.id. = impazzire, perdere il senno.

Attenti a non confondere con locuzione italiana “perdere i sensi”, che significa svenire, venir meno, andare in deliquio, che da noi dicesi semplicemente svenì.

Nel nostro dialetto pèrde ‘i sinze significa impazzire, andar fuor di senno.

Cumjì, ha pèrse ‘i sinze? = com’è, sei impazzito?
Questa frase viene pronunciata picchiettandosi sulla tempia con le dita raggruppate sul pollice della propria mano. Il gesto vuol dimostrare che l’interno del cranio dell’interlocutore è completamente vuoto! Ecco, hai perduto il cervello!

La locuzione, pèrde ‘i sinze apprisse a…, significa infatuarsi di, perdere la testa per (una donna o un uomo) essere perdutamente innamorati, prendere una solenne cotta.

Mattöje, da quanne l’ho viste, ho pèrse i sinze apprisse a jèsse = Fin da quando Matteo l’ha vista, ha perso la testa per lei.

In effetti, diciamolo, la fase di innamoramento causa nelle persone dei comportamenti un po’ irrazionali,  si può passare dal provare un’intensa euforia a stati di ansia e tristezza. Ma questo è un discorso che esula dall’argomento puramente linguistico che sto trattando…

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Tarande

Tarande s.f. = ragno (delle case)

Da non confondere con la tarantola, ragno peloso e dal morso velenoso.

Come tutti i ragni produce la sua brava tela per catturare insetti di cui si ciba.

Si tratta di un ragno domestico (Tegenaria parietina) assolutamente innocuo per l’uomo a dispetto delle sue allarmanti dimensioni. Difatti l’insetto può sviluppare le zampe fino a 9 cm per lato, fuori dal corpo.

Esiste una specie che vive nei campi (Tegenaria agrestis) da cui bisogna guardarsi perché il suo morso, per quanto non mortale, causa nell’uomo spasmi e stati dolorosi.. Viene detta localmente taranda pizzecagnöle (ragno atto a pizzicare).

Invito i maggiorenni a leggere una burla a proposito della taranda pizzecagnöle cliccando qui.

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Pasque

Pasque sf= Pasqua di resurrezione

La Pasqua è una Festa mobile (non come il Natale che da secoli ricorre in una data fissa), perché secondo la tradizione ebraica, la Pasqua da essi festeggiata ricorda il “passaggio” dalla schiavitù d’Egitto alla libertà del Popolo di Israele per mano di Mosè.

Questa data coincide con il primo sabato dopo la luna piena di primavera. Gesù ha festeggiato con i suoi apostoli la Cena di Pasqua, ricordando proprio l’impresa di Mosè. Subito dopo fu catturato ed ucciso.

La Pasqua cristiana è detta appunto «Pasqua di Resurrezione», coincidendo spesso, secondo il calendario, con quella ebraica, perché cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera.

La tradizione popolare del nostro territorio dava all’Epifania (6 gennaio, manifestazione del Signore) l’epiteto di «Pasqua Epifania» (‘a Pasqua Bufanüje).

In altre parti d’Italia riconosceva la Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua, ossia la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli sotto forma di fiammelle) col nome di «Pasqua delle rose». Il nome deriva dai petali di rosa che si lasciavano cadere sopra i fedeli dall’alto delle chiese, a simboleggiare le divine fiammelle.

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Avì ‘ngramme

Avì ‘ngramme loc.id. = afferrare.

Accettabile anche la pronuncia avì ‘ngrambe.

È una minaccia esplicita, una promessa di vendetta (o di giustizia) verso qualcuno che è sfuggito al momento ad una meritata punizione.

Come dire: «Prima o poi ti avrò sotto le mie grinfie, e allora non mi potrai più sfuggire.»

Chiaramente noi umani non abbiamo zampe con artigli come i felini, ma l’idea che la preda non potrà scampare è metaforicamente ben resa.

Mò ca t’agghje ‘ngrambe te fazze a ‘n’öre de notte
= Quando ti avrò a tiro non ti darò scampo.(Clicca qui)


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Subbetànje

Subbetànje agg. = Subitaneo, d’impulso, rapidamente

Che avviene o si manifesta d’un tratto o con grande rapidità.

Deriva dal latino  subitanĕus, der. di subĭtus = improvviso.

Il termine “dotto” è rimasto nel nostro dialetto solo nella locuzione ‘na morta subbetànje per designare un una morte rapida, senza lunga agonia, o un decesso improvviso, inaspettato..

Come sinonimo usiamo la locuzione tutte ‘na volte = tutto d’un tratto, rapidamente, inaspettatamente.

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Stenecchjàrece

Stenecchjàrece v.t. = Stiracchiarsi

Deriva dal latino “extendere“, quindi stendersi ma anche stiracchiarsi, sgranchirsi.

Dal vocabolario Treccani: «Distendere, stirare gli arti aggranchiti o intorpiditi dal freddo o dall’immobilità, per sciogliere e rimettere in efficienza la muscolatura (è quasi sempre usato nella forma sgranchirsi, rifl. o con la particella pron. in funzione di compl. di termine)»

Fine della parte seria e inizio di quella divertente:

Il verbo mi fa venire in mente uno sfottò che a Monticchio sentivo da ragazzino rivolto ad uno chiamato “Cuculécchje”, soprannome di chiara origine montanara.
Cuculècchje, Cuculècchje
fé ‘nu pìppete e ce stennècchje!

Se non sapete il significato di pìppete , in questo vocabolario troverete la spiegazione cliccando qui

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Ngrugné

Ngrugné v.i. = Ingrugnire,

Mettere il grugno, immusonirsi; essere di malumore.

Il verbo è desueto, ed è usato solo in un proverbio che mette in guardia dalle bizzarrie meteo del “pazzerello” Marzo (clicca).


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Se Marze ngrogne te fé cadì l’ogne

Se marze ngrogne te fé cadì l’ogne prov.


Se marzo è di cattivo umore ti manda tanto freddo da farti cadere le unghie (addirittura)!

Sappiamo tutti che il mese di marzo presenta e variabilità e instabilità meteorologiche molto rapide.
In lingua esiste un Detto: Marzo pazzerello, vede il sole e prende l’ombrello.

È accaduto più di una volta in Sicilia, nella Valle dei Templi di Agrigento con i mandorli fioriti, che è comparsa una micidiale nevicata.
In questo caso non sono cadute le unghie ma i fiori dagli alberi, con evidente danno agli agricoltori.

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