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Jatechére

Jatechére s.m. = Commerciante di pesce

Pescivendolo ambulante, detto anche jaddechére o vjatechéle.

Si usava questo termine per distinguerlo dal pescatore vero e proprio (‘u marenére), che raramente vendeva il suo pescato in proprio.

Il termine deriva dal latino viaticum = per la via. Quindi (venditore) ambulante.

Nell’antica Roma per viaticum si intendeva quanto (provviste, indumenti ecc.) era necessario per affrontare un viaggio.

Per “viatico” si intende ora, per estensione,anche la Comunione somministrata ai moribondi per affrontare l’ultimo viaggio.

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Jatta-mamöne

Jatta-mamöne s.m. = Gatto mammone

Personaggio fantastico, come papunne, nannurche, jatta masciére.
Era uno spauracchio per i bambini evocata dalle mammine allo scopo di tenercli buoni.
Parlo al passato perché i bimbi di oggi sono scafati, e a queste cose non ci credono
Per la verità nemmeno noi ci credevamo troppo,  altrimenti saremmo cresciuti tutti complessati e senza alcun sostegno psicologico.

Il maggior deterrente alle nostre monellerie era la temutissima ciabatta volante!

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Jatta-mascjére

Jatta-mascjére o anche solo Mascjére s.f. = Strega

Donna che, secondo un’antica superstizione popolare, era dotata di poteri malefici derivanti dai suoi rapporti con il demonio.

Mascjére= maga, che compie magie

Mia nonna, classe 1876, spiegò perché si diceva jatta-mascjére.

C’era una strega che per intrufolarsi nella casa di un sarto, si tramutò in gatto e passò per la gattaiola.

Costui, per scacciarla di casa, le lanciò dietro la mezza-škanéte = “mezza-pagnotta” di legno, centrandola in pieno.

Il giorno dopo incontrò per strada una sua conoscente che si lamentava, tutta piena di dolori, e lo fissava con lo sguardo truce.

Da ciò il sarto capì che proprio lei, in veste di gatto, fu il bersaglio del suo lancio.

La mezza-škanéte era un pesante semicerchio di legno dal diametro di 50 cm. e spesso 10 cm, usato come ausilio dai sarti per stirare le parti difficili di maniche di giacca.

I ragazzi di oggi usano il termine sdröje per designare la strega.

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Jattaröle

Jattaröle s.f. = Gattaiola

Piccola apertura nelle porte che permette il passaggio dei gatti.

Usata prevalentemente nelle case di campagna. Ma ricordo di averne vista una anche in Via Maddalena.

Ora credo che non c’è bisogno di gattaiole: i gatti domestici vengono rimpinzati di cibo, mentre anticamente si davano da fare essi stessi per procurarselo, e avevano bisogno di entrare e uscire in libertà.

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Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre

Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre loc.id. = Beneficare, 

Significato letterale: alzare una pietra da terra.

Mi ricordo la scena finale del film “Schindler list”, quando gli Ebrei scampati ai campi di sterminio, sollevavano una pietra da terra e la posavano sulla tomba di Schindler. Un bel gesto di riconoscenza che dimostrava che costrui era stato un “uomo giusto”, che in linguaggio semitico equivale a “santo”.

Il significato metaforico è molto più nobile. In questo caso sollevare una pietra significa fare un’opera di bene, consistente, sacrificandosi in propio in maniera sostanziosa per “sollevare” qlcu da una situazione critica.

Se vogliamo fare qualche esempio basta ricordare l’elenco delle opere di misericordia della dottrina cristiana:
dare da mangiare agli affamati, vestire gli ingnudi, visitare gli infermi, consolare gli afflitti, ecc.

Ecco l’esempio suggerito da Enzo Renato: Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre. Si dice dello sposare una donna povera, senza niente.

Mia nonna diceva che “si devono sposare le carni, non i panni”. Ossia si deve sposare la “persona” per le sue doti morali, e non per i suoi beni materiali.

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Jazze

Jazze s.m. = ovile, addiaccio, recinto per pecore

Il termine, per effetto della transumanza, è diffuso in tutta la Daunia e nella Basilicata settentrionale.

Deriva dal latino adiacére = giacere accanto. Questo verbo è all’origine anche del sostantivo “addiaccio”.

Altri riconducono la derivazione, sempre dal latino, al sostantivo jacium = giaciglio

Un Detto di Bovino, ma similmente diffuso anche nel Melfese e nel Materano recita:
Chi jè figlie de bbuòna razza tòrne sèmbe a lu jazze. = Chi è figlio di buona razza torna sempre a casa sua.
In questo caso non parliamo di recinto di pecore ma di “casa” nel senso inglese di home, cioè di familiarità, affetto, accoglienza.

A Matera esiste un’attrazione turistica sulla Murgia chiamata «Jazzo Gattini», che è un antico ovile del XIX secolo completamente ristrutturato.

Da non confondere con jazz, il notissimo genere musicale, la cui pronuncia è “giaas”, e nemmeno con jazzebbande (clicca qui) pronunciato “iazz-bband”, ossia la grancassa o la batteria.

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Jazzebbànde

Jazzebbànde s.m. = Grancassa

Tipo di tamburo di grandi dimensioni, che nelle orchestrine da ballo si percuote tenendolo poggiato al pavimento; quello delle bande da giro invece era legato alle spalle del battitore mediante una cinghia.

Per la percussione si usa un pedale che aziona un braccetto terminante a palla. Azionato ritmicamente dal batterista per marcare il tempo questa palla batteva contro la pelle tesa della faccia interna della grancassa.

Sulla faccia esterna la grancassa recava scritto a grandi caratteri il nome dell’orchestrina lungo il bordo della pelle tesa. Al centro immancabilmente, a caratteri maggiori Jazz-band (pron. Jaas-bènd).
Per esempio “Roman-New Orleans JAZZ-BAND”

Quelli che non sapevano l’inglese hanno pensato candidamente che jazz-band, pronunciato all’italiana, fosse il nome del tamburo!

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Jennére

Jennére n.p. = Gennaro

Deriva dal latino Ianuarius, un derivato di Ianus, “Giano”, dio bifronte dell’inizio e del passaggio, successivamente dato ai bambini che nascevano a gennaio.

Significa “dedicato a Giano”.

L’onomastico si festeggia il 19 settembre in memoria di San Gennaro, martirizzato nel 305 .

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Jerecìnne ‘mpalòmme

Jerecìnne ‘mpalòmme loc.id. = Gongolare, godersela

Manifestare un senso di intensa soddisfazione. Essere lieti di qlco. Andare in sollucchero. Andare in brodo di giuggiole.

Insomma una cosa buona, finalmente, apprezzata fino all’ultima molecola.

Io ad esempio, me ne sò jüte ‘mpalòmme quando mia figlia, alla sua tesi di laurea, si è beccata un bel 110 cum laude (fortunatamente senza il bacio accademico…).

Traducendo alla lettera jerecìnne ‘mpalòmme dovrei ricordarvi il significato 2 di palòmme, ossia ‘girandola’. Quindi potrebbe equivalere alla locuzione italiana “col in vento in poppa”. Eh già perché il vento fa muovere la girandola!

Simile a jerecìnne ‘nzùcchere

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Jerecìnne de chépe

Jerecìnne de chépe loc.id. = Andar fuori di testa.

Perdere l’uso della ragione, diventare pazzo, dare i numeri, perdere la testa, ecc. Tutte espressioni che definiscono la mancanza di raziocinio. Insomma significa “impazzire” e non solo nel significato psichiatrico.

Generalmente in modo figurato significa essere totalmente preso dalla passione per una persona (secondo le proprie tendenze o pulsioni) da non aver più raziocinio, sragionare.

“Impazzivo per te” cantava Adriano Celentano.
“Lola, ne ho fatte di follie per te…” cantava Fred Bongusto. Ecco, fare follie d’amore, penso sia la definizione più calzante.

Nen pùte arraggiuné, Giuànne ce n’jì sciüte de chépe apprisse a quèdde = Non puoi più ragionare, Giovanni ha proprio perso la testa per lei.

Ho usato volutamente la voce verbale sciüte = andato al posto di jüte (entrambe corrette), perché con la coniugazione più antica, o se volete più marinaresca e quindi autentica del verbo andare, la frase risulti più incisiva.

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