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Recurdèvele

Recurdèvele agg. = Ricordevole, memorabile, indimenticabile

L’aggettivo (è corretta anche la variante arrecurdèvele) da noi ha una valenza negativa, pressocché costante.

Gli avi ce lo hanno tramandato perché si ricordassero le giornate nefaste, disgraziate, tristi, segnate indelebilmente nella memoria collettiva da terremoti, pestilenze, disgrazie, ecc. accadute in tempi remoti.

Quasi sempre l’aggettivo si riferisce a giornate fisse, marcate nel calendario nelle quali bisogna essere prudenti in ogni azione, o meglio evitarle del tutto. Queste sono dette jurnéte arrecurdèvele.

Si usa anche la locuzione (clicca→ qui ) pónte de stèlle = punti di stelle, ossia giorni infausti segnati dalle stelle.

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Refalde

Refalde aggettivo e sostantivo maschile = falso, sleale
Persona inaffidabile, da cui è meglio guardarsi.

È capace di compiere qualsiasi misfatto pur di raggiungere il suo tornaconto.  Insomma un vero mascalzone, un furfante della peggiore specie.

Linguisticamente potrebbe derivare dall’italiano “ribaldo”, che significa proprio canaglia, delinquente, farabutto, ecc.

Il termine refalde è usato ormai solo dalle persone anziane, perché ormai è andato quasi in disuso. I giovani di oggi preferiscono un linguaggio più diretto per definire certi soggetti: strunzelöne, fìgghje de zòcchele, desgrazzjéte, tranganére, ecc.

Talora, se riferito al femminile, l’aggettivo refalde cambia il significato originario, pur rimanendo un forte dispregiativo.
Infatti indica una donna sporcacciona, trascurata, lurida, che non ha cura né della casa né di se stessa.
Le conseguenze della sua sozzura balzano evidenti agli occhi e soprattutto al naso degli astanti.
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Reggetté

Reggetté v.t. = Collocare

Sistemare, piazzare, porre, posare

Può significare anche seppellire, inumare (sotto terra) o tumulare (nella tomba) un cadavere

Sii riferisce alla salma che viene deposta in un loculo definitivamente.

Usato illogicamente anche in forma riflessiva: puverjille, ce jute a reggetté = poverino, si è andato a seppellire.

Come se il morto fosse andato a mettersi da solo nella nicchia.

Deriva da reggjitte, nel senso di calma, pace, riposo.

R.I.P. = Requiescant in pacem, riposa in pace, truve reggjìtte.

Altro esempio: m’hanne reggettéte ‘stu ‘mbìcce, e vàttela sbrùgghje = Mi hanno mollato questa fastidiosa incomberza, e vattela a sbrogliare.

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Reggiüna Caitù

Reggiüna Caitù n.p. = Regina Taitù

Taitù (Taieku in amarico), moglie di Menelik, Imperatore di Etiopia all’inizio del 1900, era una donna forte che difendeva l’indipendenza del suo Paese e che diede un contributo decisivo al raggiungimento di questo obiettivo.

Dagli Italiani fu considerata una nostra nemica, ma aveva il dovere di esserlo, perché l’Italia prima del 1915 voleva invadere quel Paese.

Sarebbe come se le truppe della Croazia volessero conquistare la Puglia, o quelle della Libia sbarcassero a Pantelleria. Gli spareremmo addosso senza indugi!

Fecero bene allora gli Etiopi a difendersi dai nostri tentativi di assalto.

Ma che c’entra questa donna con il nostro dialetto? La storpiatura del nome era dovuto all’analfabetismo diffusissimo all’epoca.

I nostri nonni – quando qualche donna con manie di grandezza disprezzava a destra e a manca per mettersi al centro dell’attenzione generale – la additavano ironicamente: E che, jì arrevéte ‘a Reggiüna Caitù? = Ma che, è arrivata la Regina Taitù?

Ma la vera Taitù era bella, nera, imponente, fiera, dignitosa.

Dal 1900 ai tempi della mia fanciullezza erano passati 50 anni, e di bocca in bocca Taitù si chiaramente è storpiata in Caitù così come l’ho captata io.

Se volete approfondire l’argomento cliccate → qui

 

 

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Reggjitte

Reggjitte s.m. = Riposo

Riposo, quiete, tranquillità, serenità.

Ne sté fèrme ‘nu menüte, ce möve sèmbe, nen pöte trué reggjitte, e che ca…! = Non sta fermo un minuto, si muove sempre, non può trovare quiete. E che diamine!

Anche questo termine proviene direttamente dal latino receptus  che significa  rifugio, quiete, riposo, calma.

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Rembambüte

Rembambüte agg. e s.m. = Rincitrullito, rimbambito

Che, o chi ha perso la capacità di ragionare, a causa dell’età avanzata.

È triste sentir dire questo termine contro una persona anziana…Purtroppo l’Alzheimer quando arriva prescinde da qls distinzione. Domani potrebbe colpire me o te, a caso.

La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare. La persona affetta dal morbo manifesta stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

Rivolta ad un soggetto non anziano l’aggettivo è offensivo perché attribuisce a corta intelligenza un semplice atteggiamento di incertezza.

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Remìsse

Remìsse s.m. = Risvolto

In sartoria si intende quella parte di tessuto ripiegata verso l’interno delle cuciture. È detto anche nghjüse = chiuso, non visibile.

Se il capo di abbigliamento ha un po’ di risvolto interno, può essere allargato e modificato per adattarlo alla nuova misura del suo proprietario, cresciuta per l’età, se trattasi di bambino, o di giro vita allargato a causa dell’uso esagerato di pane e pomodoro, pastasciutta, Nutella, gelati di Tommasino e dolcetti di Aulisa.

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Renacce

Renacce s.m. = Rinaccio


Si tratta di un lavoro donnesco consistente in un rammendo invisibile su un tessuto strappato o logorato.

Praticamente si ricostruiva mediante intrecci vari con ago e filo dello stesso colore la parte danneggiata di una camicia, un lenzuolo o di un tessuto qualsiasi.

Il rinaccio richiede molta abilità nell’esecuzione. Per ottenere un risultato apprezzabile occorre molta pazienza e lunga esperienza.

Mia madre, per lavori particolarmente impegnativi, si rivolgeva alla suore della Stella, le quali erano espertissime nell’eseguire – dietro un modesto compenso – i ricami su lenzuola, federe e tourne-lit, il rinaccio e anche il “punto a giorno”.

Il consumismo ha passato nel dimenticatoio questo antica attività domestica. Ora se un indumento mostra tracce di logorio semplicemente viene buttato nell’indifferenziato.

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Renéle

Renéle

Renéle s.m. = Orinale, pitale

Recipiente usato anticamente, quando non esisteva la rete fognante e ovviamente nemmeno il gabinetto, per raccogliere le minzioni notturne. Era detto in italiano pitale o vaso da notte.  Mio padre, nato all’inizio del 1900, lo chiamava esplicitamente  pisciatüre = pisciatoio, orinatoio.

Il sostantivo pisciatüre sembrava troppo rozzo, e si è modificato col tempo diventando ‘u renéle adeguandosi al termine italiano orinale.

Ricordo il grido del venditore ambulante con accento forestiero : Piatte fini, ‘o piattaro! ‘O rinale, ‘o vacile = Piatti fini, il piattaio, l’orinale, il bacile. Questi ultimi erano venduti quasi sempre insieme.

Forse le nuove generazioni non sospettano nemmeno l’utilità di questo oggetto nell’ assolvere degnamente per secoli i suoi compiti notturni.

Dopo lo svuotamento mattutino, il pitale veniva riposto nel vano del comodino, accuratamente nascosto dall’apposito sportellino.

Oggi lo usano i bambini, ha la forma di un animale domestico, e lo chiamano “vasino”.

Gli è sopravvissuto il termine “pisciatüre” per qualificare una persona o un oggetto di infimo valore.

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