Categoria: S

Scacagghjé

Scacagghjé v.i. = Balbettare

Balbettare, tartagliare. Disturbo del linguaggio che si manifesta con esitazioni, interruzioni e iterazioni, dovuto a spasimo intermittente dei muscoli deputati alla fonazione.

Il soggetto affetto da balbuzie è detto:.

scacàgghje s.m. scacàgghjöne  s.m. ndartagghjöne  s.m.= Tartaglione

 

 

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Scacchjatille

Scacchjiatille s.m. = sbarbatello

Giovane ancora immaturo e privo di esperienze di vita.

Il termine è spesso usato in tono spregiativo o scherzoso.

In italiano deriva da barba (sbarbatello, imberbe) del designare il ragazzotto in età puberale quando cominciano a spuntargli i primi peli della barba. In quell’età ingrata non si è né più fanciulli, né adulti sviluppati.
Eppure molti ragazzotti si sentono gradassi, capaci di spaccare il mondo e rifarlo…. ma sono sempre scacchjiatille imprudenti e brufolosi, scacchjéte, cioè disgiunti, divisi fra realtà e fantasia.

Avete notato che ho parlato solo al maschile? Le pulzelle non hanno queste velleità perché fin dall’adolescenza sono molto più mature di noialtri maschietti pasticcioni e lambascioni.

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Scacchjatjille

Scacchjatjille s.m. = Giovanotto di primo pelo

Giovane in pubertà 16 o 17enne, che si crede di essere già adulto, e si comporta in modo innaturale: a quell’età è ancora goffo, con le braccia lunghe e il torso e la voce da adolescente, la barba che non vuole decidersi a spuntare, i peli sul petto che sono miserevolmente rimasti al numero di quattro…

Insomma un mezzo disastro, spesso deriso dalle compagne coetaneee, che a 17 anni invece hanno già completato il loro sviluppo corporeo, tettine, fianchi ecc. tutto al loro giusto posto…

Il bello è che il giovane in esame vuole comportarsi come uno grande: fuma, fa il duro con i deboli e il debole con i forti (il bullo, per intenderci), ma è sempre un pivello, uno scacchjatjille!

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Scagghjùzze

Scagghjùzze s.m. = Polenta fritta, con neo dialetto:”scagliozzi”.

scagghjuzze
(foto ilSipontino.net)
Si tratta di polenta, lasciata raffreddare, tagliata a fette della grandezza di una scatola di fiammiferi, e fritta in abbondantissimo olio di oliva.

Prodotto tipico pugliese, diffuso principalmente della Daunia e della Terra di Bari.

Le frittelle risultano croccanti all’esterno e morbide all’interno.

Si mangiano calde generalmente durante l’inverno.

Una volta i ragazzini le vendevano per le strade, tenute al caldo in un contenitore di latta con coperchio a sportellino incernierato, specie durante il periodo di carnevale.

Ricordo il loro grido: Scagghjùzze càvede uhé, scagghjùzze càvede e grùsse, uhé! = “scagliozzi” caldi, ohé, “scagliozzi” caldi e grossi ohé!”

I Baresi ritengono che si debbano chiamare “le scagliozze”, al femminile; secondo loro i Foggiani (e tutti i Dauni) si sbagliano.

Ma che ce frega, sono tanto gustosi, specie quando si mangiano belli caldi, che chiamarli in un modo piuttosto che in un altro è un fatto assolutamente trascurabile!

Negli ultimi anni, dopo un inspiegabile abbandono, c’è stata una riscoperta e fortunatamente ora si trovano tutto l’anno nelle pizzerie e nelle rosticcerie, per la gioia di tutti, Manfredoniani e no.

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Scalefé

Scalefé v.t. = Riscaldare

Scaldare, rendere caldo qlco.

Scàlefe ‘i maccarüne de mezzjurne, ca me li mange mo’= Riscalda i maccheroni di mezzogiorno, ché me li mangio adesso.

Mìtte a scalefé ‘stu vòmere = Metti ad arroventare questo vomere (nella forgia del fabbro)

Famme scalefé mbacce ‘a stüfe, ca me fé frìdde. = Lasciami riscaldare vicino la stufa, ché ho freddo.

Scaturito dallo spagnolo escalfar con diretta derivazione dal latino excalfacere = riscaldare.

Coniugato in forma riflessiva è scalefàrece = Riscaldarsi

 

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Scaleméte

Scaleméte agg. = Scalmanato

In italiano l’aggettivo si riferisce qlcu che si butta con foga a fare qlco con un comportamento esagitato ed eccessivo.

In dialetto si riferisce specificamente solo al modo di mangiare con avidità e ingordigia, in fretta e senza soste, come se si fosse affamati molti giorni.

Insomma non è per niente calmo.

Presumo che scaleméte deriva da “scalmo”, caviglia di ferro piantato sul bordo di un battello a remi per servire di appoggio o di punto fisso al remo. Io immagino che ‘scalmanato’, inteso come sostantivo, sia quel rematore così esagitato da far sfilare i remi dagli scalmi del suo natante. Ovviamente prendetela con le pinze, perché l’etimologia da me attribuita al termine è del tutto fantasiosa e priva di ogni fondamento filologico.

Mi piace tuttavia immaginare una persona che non vede l’ora di toccare terra con la sua barchetta, e dà di remi con tutte le sue forze per giungere a casa a riempirsi lo stomaco…

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Scalvacché

Scalvacché v.t. = Scavallare

Scalvacché ‘i jàmme = scavallare le gambe, riportare le gambe accavallate in posizione parallela.

Me vògghje fé scavalché ‘u njirve = Mi voglio far scavallare il nervo (che mi provoca dolore muscolare)

Vedere Ngalvacché

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Scambé

Scambé v.i. = Cessare, uscire illeso, salvarsi.

Specificamente si riferisce alle precipitazioni atmosferiche (pioggia, grandine, neve) che cessano, che hanno termine, o quanto meno che calano di intensità

Chjöve angöre? No ho scambéte = Piove ancora? No, ha cessato.

Aspettéte ca scàmbe e po’ ve ne jéte = Aspettate che cessi (la pioggia) e poi potrete andarvene.

Etimo: spagnolo escampar; latino ex-campo .

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