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Ùcchje da före

Ùcchje da före loc. id. = Crepi l’invidia.

È la traduzione più verosimile. Alla lettera significa (restate con gli) occhi fuori dalle orbite (per il rammarico di non poter avere altrettanto).

La locuzione ha valore anche di esclamazione.

‘A fìgghja möje jì bèlle e aggarbéte: ùcchje da före! = La mia figliola è bella di aspetto e garbata nei modi: crepi l’invidia!

Ùcchje da före descrive anche semplicemente l’espressione di chi è colto da sorpresa o da meraviglia.

Come dire: riempirsi gli occhi spalancati, o rimanere a bocca aperta.

Sò stéte a Parìgge: ucchje da före! = Sono stato a Parigi: sono rimasto estremamente colpito dal fascino e dalla bellezza di questa città, che merita pienamente il suo bel titolo di Ville Lumière.

Beh, non è proprio una traduzione letterale, ma sapete che il dialetto ha una estrema capacità di sintesi….

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Ucchje pescéte

Ucchje-pescéte agg.= Congiuntivite

È il nome di una patologia che colpisce l’occhio e si manifesta con abbondante lacrimazione che si raggruma durante il sonno.

Scatenata da agenti esterni, quali polvere o abbagliamento, provoca un fenomeno infiammatorio con conseguente fotofobia, dolore e lacrimazione.

Può anche avere origine batterica per la presenza nel sacco congiuntivale di streptococco o stafilococco, che provocano un’infezione, risolvibille con l’uso di antibiotici appropriati.

Le nostre mamme ci liberavano le palpebre “incollate” dalle cispe (‘i scazzìlle) con acqua borica tiepida.

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Uéte

Uéte s.m. = Accesso

Accesso, passaggio, varco, luogo attraverso il quale si passa, per esempio, in una recinzione, in una “chiusa”, ossia un uliveto o un mandorleto.

Anche i due pilastrini, in muratura o in ferro, che sorreggono la cancellata di accesso.

Frangì, ha viste se sté serréte ‘u uéte? = Francesco, hai controllato se è chiuso l’accesso?

Forse proviene, per estensione, da “guado” (latino vadum ), passaggio praticato attraverso una siepe o attraversamento di un corso d’acqua..

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Ugghjaréle

Ugghiaréle s.m. = venditore ambulante di olio.

Non credo in italiano esista il termine oleovendolo (come pescivendolo) oppure olearo oliaio (come casaro, lattaio) o anche oliere…(come barbiere)….No,oliere mi sembra che faccia pariglia con saliere e pepiere…..

Comunque ci siamo intesi: l’ugghjaréle era una persona che, con un recipiente di latta legato al portapacchi della sua bicicletta condotta a mano, girava a piedi per le strade di Manfredonia richiamando le massaie con il suo grido prolungato: Uhé l’ùgghje, uhé l’ùuuuugghje! = Ohé, l’olio!

Se qualcuna lo chiamava, appoggiava la bicicletta alla parete e misurava con il suo decilitro di latta la quantità richiesta. Se una voleva “mezza misura” – ossia anche a 50 cc. per volta, perché non sempre la massaia disponeva di soldi per comprarne a litri – il suo occhio esperto sapeva dosare esattamente metà del suo misurino da mezzo quinto(100 cc.).

L’ugghjaréle è una figura ormai scomparsa, come quasi tutti gli addetti al commercio ambulante di Manfredonia.

Una volta giravano con i carrettini, o con cesti e panieri portati a braccio, molti merciai che vendevano latte, carbone, frutta, bottoni, lucido per scarpe, occhiali, aceto, pesci, castagnaccio, bustine di shampoo Palmolive, lana filata per maglieria, verdure, capperi, gelati, corbezzoli, stoffe, còzzele e carècchje uhé!. Addirittura il cavadenti (‘u türa-jagnéle) era ambulante!

Da non confondere con ugghjarüle.

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Ugghjarüle

Ugghjarüle s.m. = Oliera, orzaiuolo

1) Oliera. Ampolla o altro recipiente con beccuccio usato a tavola per versare l’olio sui cibi da condire.
Quello pugliese è di latta saldata o di acciaio inox, con coperchio incernierato e beccuccio lunghissimo. State certi che è meglio del salvagocce, perché non fa perdere inutilmente il prezioso condimento.

2) Orzaiolo. Infiammazione suppurativa delle ghiandole sebacee della palpebra, che si forma nello spessore di questa e si apre sull’orlo libero e sulla superficie congiuntivale, risolvendosi per lo più spontaneamente.

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Ùgghje 

Ùgghje s.m. = Olio

Sostanza liquida insolubile in acqua, di origine vegetale, animale o minerale, con caratteristiche proprie per ogni tipologia.

1 – L’olio vegetale, dalla notte dei tempi, dalle nostre parti è stato sempre e solo quello ricavato dalle spremitura delle olive. Si usava solo per uso alimentare e con parsimonia, altrimenti (come ci ammonivano i nostri genitori) c’era il rischio che comparissero delle croste sul cranio (‘i scorze ‘nghépe).
Sappiamo tutti che è un prodotto pregiato della nostra Puglia, checché ne dicano i Toscani e i Liguri, che forse hanno saputo meglio reclamizzare l’olio delle loro Regioni convincendosi che i loro prodotti siano  i migliori d’Italia.

Gli oli ricavati dai semi di girasole, di soia, di vinaccioli, di colza e da chissà quali altri semi e propinati come sostituti di quelli di oliva sono un’offesa alla nostra millenaria cultura alimentare mediterranea.

L’olio di semi “per fritture”, dal costo infimo, e reclamizzato come “più leggero”, è una contaminazione americana degli anni ’60. Io sono fondamentalista anche nell’alimentazione non lo adopero mai.

2 – L’olio minerale, ricavato dalla distillazione del petrolio greggio, è usato come lubrificante nei motori a scoppio (a combustione interna) molto apprezzato e costoso.

3 – Quello animale, è quello ricavato dal fegato dei merluzzi, ricchissimo di vitamine e sali minerali. Veniva usato come ricostituente per combattere il rachitismo dovuto a carenze alimentari.  Adesso  i nostri bimbi hanno il problema inverso, quello dell’obesità….

Ricordo che a scuola, nell’immediato dopoguerra, quando tutti risultavamo ipo-nutriti  (cibo scarso, poche proteine, latte solo se stavamo ammalati…) il Maestro ogni mattina ci propinava, per disposizione del Ministero della Salute pubblica come misura e cura contro il rachitismo, un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo a testa, attinto da una orribile bottiglia gelosamente custodita nel suo armadietto.

Il bello della storia, di per sé lodevole, era che un unico cucchiaio passava di bocca in bocca a tutti gli scolari della stessa classe!!!

Quelli purtroppo erano i tempi che vivevamo, e solo dopo molti anni, rammentando quel “rito” giornaliero, ci siamo resi conto che fosse un po’…rivoltante.   Comunque siamo sopravvissuti, forti, sani e certamente con qualche grosso anticorpo in più!

Scusate se ogni tanto inserisco qualche ricordo personale….

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Ugghje (all’)

Ugghje (all’) loc.id. = a cavalluccio, a cavalcioni

Portare, per gioco o per soccorso, una persona a cavalcioni, ossia con le gambe divaricate, come si sta in sella al cavallo, 

A Roma dicono a cavacecio, ossia “a cavallo del ciuccio” (ciuco).

Perché noi invece citiamo  l’ugghjie, l’olio?
Anticamente l’olio si conservava in otri di pelle.
Per trasferire l’olio dal frantoio al magazzino dell’acquirente, si caricavano  e si scaricavano gli otri ben serrati, ovviamente a spalla, o sul carretto o sul basto di un animale da soma. 

Per similitudine, come il frantoiano si caricava dell’otre sul groppone, e lo teneva ben saldo con le braccia, attento a non farlo cadere, così si immaginava il papà che si porta il frugoletto all’ugghie, alla maniera dell’olio.

Questa origine della locuzione mi venne spiegata da un anziano parente quanto ero io frugoletto e mi piaceva immensamente stare all’ugghje, a cavalcioni di mio padre.

 Invito a commentare con  altre versioni se sono a vostra conoscenza.

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Uggiò!

Uggiò! inter. = Ehi, giovane!

Quando ci si rivolge a qualcuno che non si conosce, magari per chiedere un’informazione, specie se la persona interpellata non è avanti con gli anni, si usa questo simpatico vocativo bisillabo: uggiò, che poi sarebbe il troncamento di ‘u giòvene.

Se la persona è adulta si usa bellö‘, alla lettera “bell’uomo”, in italiano corretto “buonuomo” (ovviamente al femminile bèllafè’).

A volte assume toni minacciosi:
Uggiò, fatte ‘i cazze tüve! = Ehi tu, pensa agli affari tuoi!
Uggiò, vatte fé ‘na camenéte = Ma perché non vai a farti un giretto? In questo modo eviteresti di impicciarti in affari che non riguardano la tua persona, che così verrà salvaguardata da conseguenze spiacevoli.

Il sintetico invito veramente non è tradotto proprio alla lettera, ma il senso del discorso è proprio quello…

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Uhélà!

Uhélà! escl. = Ehilà

Esclamazione di sorpresa detta quando si incontra qlcu dopo molto tempo.

Come per dire: Toh, chi si vede! Ti ho finalmente incontrato!

Una specie di ciao ma ancor più gioioso per l’inatteso incontro.

Basta anche dire solo Uhé!, come il romanesco anvédi!

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Uì avv. = Ecco

Avverbio dimostrativo:

-per indicare, mostrare qcn. o qcs.; Uì cóste jì Giuànne! = Ecco questo è Giovanni.

-per indicare la presenza o il comparire di qcn. o di qcs.atteso, o improvviso e inaspettato; Uì j’ assüte ‘u söle = Ecco -(lo vedi?), è sorto il sole. Mammà, uì mo’ vöne!= Mamma, lo vedi, ora arriva.

-nel dare, nel porgere qcs. Uì, quìste so’ i medecjüne! = Ecco, questi sono i farmaci.

Potrebbe essere la sintesi, come spesso avviene nel nostro dialetto, di “lo vedi”: difatti al femminile fa  Avì = La vedi? e al plurale Ivì = Li vedi?, Le vedi? (eccola, eccoli, eccole).

Avì addica sté ‘a Giannètte = Eccola dov’è la smorfiosetta.

Ivì i stùdeche, nen sapene fé i sèrje! = Eccoli gli stupidi, non sono capaci di essere seri

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