Il termine è specifico, e per quanto superfluo, si accompagna al complemento “de vjinde” = di vento.
In sostantivo italiano “refolo”, da cui potrebbe derivare, dà l’idea di una brezza piuttosto piacevole. Invece ritengo più probabile che ruffeléte sia un rafforzamento di “folata”, che già di per sé descrive un’azione improvvisa e piuttosto irruente.
‘Na ruffeléte de vjinde forte ò fatte rublaté ‘a varche = Una intensa folata di vento ha fatto rovesciare la barca.
Pe ‘na ruffeléte de vjinde ‘u ‘mbrellöne ce n’jì voléte pe ll’arje = A causa di una folata di vento l’ombrellone se ne è volato in aria.
.La Rucola è una pianta annuale della fam. delle Brassicacea.
Quella campestre ha il nome scientifico Eruca perennis, o i sinonimi Sisymbrium tenuifolium e Diplotaxis tenuifolia. La Rucola coltivata è nota come Eruca sativa.
Apprezzata fin da tempi antichi per il suo aroma speziato e piccante, la rucola viene molto usata nelle insalate e nelle salse; arricchisce di sapore i tramezzini, le pizze, esalta alcuni formaggi molli e può anche essere cotta a vapore.
Oltre tutto questo, bisogna evidenziare che a Manfredonia viene lessata con le orecchiette, e condita con il sugo di pomodoro con le lumache campestri. Per gli amanti dei frutti di mare, nel sughetto vanno benissimo i capirroni.
Una vera specialità. L’erbivendola Sepònde invitando le massaie a comprare la ruchetta da lei, intonava: Rüche e maccarüne stamatüne, uhé! = (preparate) rucola e maccheroni questa mattina, ohé!
Ora si vende quella coltivata nell’orto, che ha le foglie più larhe e carnose…ma non la sapidità di quella campestre.
È credenza diffusa che chiunque mangi la rüche de Sepònde = la ruchetta selvatica di Siponto, un po’ come accade a quelli che gettano una moneta nella Fontana di Trevi, sono destinati a tornare a Manfredonia, e con l’aiuto di Sante Lavrjinze = San Lorenzo, a restarvi definitivamente.
Si tratta di un grosso contenitore cilindrico di terraglia smaltata con maniglie. Era munito di flangia, sempre di terraglia, che fungeva da sedile circolare.
Sinonimi: prüse, cacatüre, càndere. Quest’ultimo è un termine derivato direttamente dello spagnolo càntaro = vaso, contenitore
Quando non esisteva la rete fognaria funzionava da W.C., con tanto di coperchio di legno.
Usato prevalentemente dalle donne e dagli anziani.
Gli uomini, per espletare le loro funzioni corporali (insomma per cacare), si lanciavano nelle piantagioni di fichi d’india o negli anfratti della scogliera.
Il nostro storico vaso veniva posizionato in un punto ben nascosto della casa.
In tempi successivi fu messo in commercio il ruagne di ferro smaltato bianco col bordino blu (scusate il raffronto: aveva gli stessi colori dei piatti e dei tegami fatti col medesimo materiale detto firrefüse =ferro fuso) forse perché, essendo più leggero, favoriva le ‘operazioni di spostamento, di svuotamento e di lavaggio.
Le donne lo portavano a svuotare la notte, quando passava per le che cittadine un nauseabondo carro-botte del Comune che immagazzinava tutti i contenuti dei ruagne e li versava fuori città, nei campi o direttamente in mare. Nella foto, tratta dalla pagina “Le Bellezze del Gargano” si vede una specie di imbuto per il riempimento ma non il bocchettone posteriore per lo svuotamento.
L´amico Sandro Mondelli mi suggerisce che, con una sorta di rispetto, se l´oggetto doveva proprio essere nominato, si usava aggiungere subito un deferente: pe reverènze = come dire con riverenza, con rispetto parlando.
Infatti chi nominava cose immonde (piedi o panni sporchi, porcilaia, corpo sudato, pidocchi, cesso, cacca ecc,) si affrettava ad aggiungere parlanne pe respètte.
A orecchio sembra il francese roi (leggi ruà) = Re. Chi ci sta seduto sopra sembra il Re sul trono.
Dicono che il Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone ricevesse i suoi ministri seduto pomposamente su questo simpatico oggetto.
Domenico Palmieri mi ha ricordato che scherzosamente ‘u ruagne – a proposito di alte cariche – era chiamato anche ‘u monzegnöre, cioè usando l’appellativo con cui (sempre con tutti il rispetto) si identifica l’arcivescovo.
Luigi Beverelli mi suggerisce: «Le dimensioni del ruàgne non erano sempre uguali e famiglie numerose spesso erano costrette ad averne di dimensioni più grandi, e per citarne la capacità si indicava il numero di defecazioni che avrebbe potuto contenere, ad esempio: ruàgne da 36 cachéte.»
Ora, a questo proposito, mi piace trascrivere e recitare una poesia del compianto Michele Racioppa tratta dal volumetto «Nzinghe Nzelanghe» – Edito nel 1997 da “M. Armillotta & C. snc”
‘U RUAGNE «Non pozze méje scurdé! Cchiù de na volte non putive fé… Grusse jöve lu fastidje, tirarle före jöve defficile. Ammuccéte sott’u fucarïle, nen vedöve anema vïve; jöve jirte nu mizze mètre, pe döje màneche grussetèlle, l’orle de quatte döte larje, de cröta lócede e colore bianche. T’assettive susperanne “Oh, fisalmente söp’u ruagne!…»
1) Röte s.f. = Ruota. Organo meccanico girevole a forma di disco che trasmette il movimento mediante contatto diretto: la r. della carrucola, la r. del mulino, la r. del carro. Al plurale è invariabile (‘a röte, ‘i röte).
‘U sciarabbàlle töne döje röte = Il calesse ha due ruote
2) Röte s.f. = Cortina. Tenda divisoria a rete sorretta da anelli metallici che, come un sipario, divide un ambiente dall’altro o che ne nasconde una parte. In uso tuttora sugli usci delle abitazioni a piano terra. Al plurale non cambia desinenza.
Annètte, mamme, mjine tutt’e döje ‘i röte ca tràsene ‘i mosche = Annetta, bella di mamma, stendi entrambe le tende a rete, altrimenti entrano le mosche.
3) Röte s.f. = Rete. Attrezzo costituito da fili più o meno grossi di fibre tessili intrecciati e annodati a maglia, usato per catturare pesci o anche uccelli e animali selvatici. Al plurale fa rüte (‘a röte, ‘i rüte).
Jéme all’albe a salepé ‘i rüte = Andiamo all’alba a salpare (sollevare dall’acqua) le reti calate in precedenza.
Per estensione ‘a röte è anche quella metallica usata per la recinzione o quella di maglie d’acciaio fissate a un telaio di ferro, che serve da sostegno al materasso del letto.
Facciamo la ruota (del girotondo) come le monachine,
le monachine scherzose (o pazzerelle, a scelta)
ruota su se stessa Ginetta, la pazza…
Il cerchio si fermava e la bimba chiamata in causa, la Ginetta, lasciava le mani alle sue compagne e faceva un rapido dietro-front. Poi si riformava il cerchio, e nel riprendere le mani delle sue amichette, costei si trovava ovviamente a guardare l’esterno del girotondo.
E così via, si riprendeva la cantilena del ritornello nominando ad ogni giro le varie bimbe “pazze” (Nardèlle, Sipònda, Rosètte, Mattüje, Frangèsche, ecc….) fino al completamento del girotondo diciamo “a rovescio!”.
Essendo un gioco praticato solo da femminucce, non riesco a ricordare come si concludeva…..
Chiedo la collaborazione delle lettrici che hanno giocato da bimbette a questo trastullo, lungo e divertente. Grazie!
PS – Mi hanno suggerito il finale del gioco!
Quando tutti le partecipanti al girotondo si trovavano di spalle, stringevano il cerchio e spingevano ritmicamente il bacino all’indieto e sbattendo ognuna le proprie natiche contro quelle del bimba opposta a sé, e pronunciando a tempo e ripetutamente: “Cüle-e-ccüle!, Cüle-e-ccüle!”
Dopo si scioglieva il girotondo e si cominciava un altro gioco.
Termine derivato dal latino ROS = rugiada e MARINUS = di mare.
Il Rosmarino (Rosmarinus officinalis) è un arbusto sempreverde della fam. delle Liabatae, originario delle regioni mediterranee; in Italia è presente in tutto il territorio, spontaneo o coltivato, dal piano agli 800 metri.
Viene usato per insaporire carni, pesci, minestre, focacce, oli e aceti aromatici.
Proprietà terapeutiche: stomachiche, stimolanti, aperitive, digestive, tonico-stimolanti, antisettiche.
Rjódene s.f. = Ribolla o sgura, ceppo dell’ancora.
1) Barra del timone – in linguaggio tecnico è ribolla o sgura, È generalmente è di legno, di lunghezza variabile proporzionata all’imbarcazione, con un ‘occhiello’ ad una delle due estremità, dentro il quale si inserisce le testa del timone incernierato a poppa.
La barra è rimovibile, come il timone stesso del resto, per quando la barca è portata in secca.
Qualcuno pronuncia rjótene, con la ‘t’. Accettabile.
2) Ceppo dell’ancora – Anch’esso – almeno nelle ancore antiche – era di legno ed era posto immediatamente sotto l’occhiello dell’ancora (cicala), perpendicolare all’asta dell’ancora (fuso) e all’allineamento delle marre. Serve a favorire la presa delle marre al fondale.
Nelle ancore moderne è di ferro, ed è sfilabile per uno stivaggio ottimale quando viene salpata a bordo. Vedi foto (dal Web).
Grazie al Prof. Matteo Castriotta per il suggerimento