Pi calecagne ‘ngüle

Pi calecagne ‘ngüle locuz.avv. = Velocemente

La locuzione alla lettera si traduce con i talloni a contatto con le natiche e vale come l’avverbio “velocemente” (per questo si dice locuzione avverbiale. Ragazzi ho dovuto ripassarmi le regole di Grammatica per affrontare questa fatica!!!)

I talloni potrebbero toccare contemporaneamente le natiche se si è accoccolati. Ma qui le toccano alternativamente durante una fuga precipitosa!

In italiano per la stessa descrizione si dice: a gambe levate.

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Pezzènde e fetènde

Pezzènde e fetènde loc.id. = Schizzinoso

Quando qualcuno stenta ad accettare un dono, un aiuto, un sostegno, forse per un malcelato segno di orgoglio, si dice che è pezzente e fetente, ossia misero ma orgoglioso e dai gusti difficili.

Ma come: ti dò un piatto di minestra e tu ci sputi sopra? (Metaforicamente, s’intende).

Ma quìste so’ pezzjinde e fetjinde (plurale)

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Pezzènde

Pezzènde s.m. = Pezzente

Persona che vive in condizioni di estrema indigenza chiedendo l’elemosina. Accattone, straccione.

Al plurale fa pezzjinde.

Credevo che pezzènde derivasse dalle innumerevoli pezze e toppe con cui erano riparati i suoi miseri indumenti.  Invece ho scoperto (non è mai troppo tardi) che deriva dalla forma participiale petiente del verbo latino petere = chiedere,supplicare

Mia nonna usava addirittura un verbo. Jì pezzènne = andare chedendo l’elemosina, fare accattonaggio (non esiste il verbo ‘accattonare’ in italiano).

Ora l’accattonaggio è proibito per legge. Ricordo parecchi mendicanti che giravano per le strade nell’immediato dopoguerra. Ognuno aveva un intercalare, come il grido dei venditori ambulanti.

C’era un vecchietto che gridava dalla strada in direzione di ogni casa: “Gesùmmaria patro’!” = Gesù e Maria, padrona!.

Un altro con vistose stampelle si trascinava per la via e si appellava al cuore delle mamme: “Avjite cumbassióoone ‘e ‘nu pòvere figlje ‘e màaamme, mitragliàaate sott’u bumbardamènde ‘e Fògge”. Una cadenza forestiera cantilenata con voce squillante, da banditore.

Altri ancora si ponevano allineati in postazione strategica davanti al Cimitero, o la domenica davanti alla Chiesa madre. Per la Festività di Ognissanti pernottavano nella Taverna (De Vita?) in Largo S.Francesco, per un paio giorni, in modo che si potessero spostare al vicino cimitero.

Erano itineranti e cambiavano piazza con il loro fagotto contenente tutte le loro  misere cose.

Chissà se qualcuno se li ricorda ancora….Parlo del 1948, o 1949.
Tanti anni fa!

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Pezzendarüje

Pezzendarüje s.f. = Indigenza,

Condizione di estrema povertà. L’essere pezzente. Azione, comportamento da accattone, mendicante.

Andare in miseria = Jì mbezzendarüje.

Notate come la ‘p’ iniziale di pezzendarüje diventa ‘b’ per effetto dell’accorpamento della prep. ‘in’. Il bisillabo iniziale ‘in-pez'(zenteria) diventa monosillabo ‘mbez’(zendarüje)

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Pezzechéte

Pezzechétes.f. = Timore, sbeffeggiare

Si usa nella locuzione “fàrce ‘na pezzechéte” = per la paura ci si è fatti piccoli-piccoli, ossia quanto un pizzico di pepe, sale o altro prodotto sottile.

Sinonimo di “cacàzze”

Lo locuzione pigghjàrece ‘a pezzechéte equivale all’italiano “tirare una frecciatina”, nel senso di prendere benevolmente in giro qualcuno, con allusione più o meno esplicita. 

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Pèzze vjicchje (‘I)

I pèzze vjicchje loc.id. = Rigattiere

Chi compra e vende roba usata, di scarso valore o fuori uso. Straccivendolo, cenciaio, robivecchi, ferrovecchio.

Questa locuzione era usata, dopo il nome del soggetto, quale aggettivo per indicarne il mestiere.

Io ricordo perfettamente Gennarüne ‘i pèzze vjicchje = Gennarino dalle pezze vecchie, lo “stracciarolo”, come dicono i Romani. Gennarino comprava di tutto: rame, rottami di ferro, lana filata, ottone, ossa, semi di albicocche. A noi bastavano 20 lire per andare al cinema di Murgo.
Aveva un magazzino in Via Torre dell’Astrologo.

Ricordo anche Rusüne ‘i pèzze vjicchje= Rosina la robivecchia. Aveva la stessa attività di Gennarino, ed aveva il suo magazzino dalle parte del “palazzo Rosso”, forse in via Giuseppe Di Vagno.

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Pèzze amerechéne

Pèzze amerechéne s.f. = Indumenti usati

Generalmente inteso come plurale, anche se ha la stessa pronuncia al singolare.

Perché “pezze americane”? Pezze sta qui ad indicare stracci, perché gli indumenti di seconda mano erano presentati a mucchi, non confezionati singolarmente. Quindi erano paragonati a stracci, non più indossabili.

Nell’immediato dopoguerra il fondo ERP (European Recovery Program) o Piano Marshallha aiutato l’Italia a riprendersi dallo sfacelo del conflitto con derrate alimentari e fondi per la ricostruzione.

Molti Enti benefici statunitensi ci inviarono indumenti raccolti presso le famiglie. Un po’ come fa ora la Croce Rossa con la raccolta di abiti usati da destinare agli indigenti.

Per poche lire si compravamo dai commercianti baresi al mercato settimanale delle camicette, magliette, giubbotti, pantaloni, calzettoni, berretti, ecc. scegliendoli da un enorme mucchio, posto sopra un largo telone poggiato a terra.
Generalmente erano utilizzato come abiti da lavoro.

Mi ricordo di aver comprato una volta un bel un costume da bagno elasticizzato che si adattava alla mia esile figura di adolescente.
Poi ho scoperto che era un indumento femminile, ma chi se ne importava? In effetti a quell’età avevo poca roba da contenere nel costume da bagno, e calzava bene anche quello da donna!

Ringrazio il lettore Michele Murgo per avermi ricordato questo termine appreso da sua nonna.

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Pèzze

Pèzze s.f. = Pezza

 

1 Panno, straccio per le pulizie (‘a pezze de ‘ndèrre = lo straccio per lavare il pavimento)

2 Toppa ( jì ‘rrevéte a Mambredònje p’i pèzze ‘ngüle, e mò… = è arrivato a Manfredonia con le toppe ai pantaloni e ora…)

3 Appezzamento di terreno. (La pèzze l’Abbéte = l’appezzamento dell’Abate)

4 Forma (‘na pèzze – o anche ‘na pezzòtte – de furmagge = Una forma di cacio)

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Pezzarèlle

Pezzarèlle s.f. = Dolcetto

Dolcetto secco familiare, che si preparava per le grandi ricorrenze.

Un po’ come i Pavesini, era composto solo di farina, zucchero e uova. Dall’impasto piuttosto sodo si ricavavano a mano tante palline che si ponevano su una larghissima teglia unta per la cottura nel forno pubblico.

Le massaie più fantasiose ponevano i cima alla pallina un chicco di caffé abbrustolito. Durante la cottura la pallina si abbassava un po’ e il risultato finale era una mezza sfera, una cupoletta, con un puntino nero in cima.

Si offrivano le pezzarèlle assieme ad un il liquore fatto in casa (‘u resòlje = il rosolio).

Si può dire anche pizzarèlle, ma non ha niente a che vedere con le pizzette!

In epoca più moderna era chiamata ‘a pastarèlle, ma non mi piace (il termine, non il dolce).

Ora questo dolcetto genuino non si fa più in casa. Si compra quella pasticceria secca, già pronta, in scatole rotonde di latta, con provenienza olandese o da Paesi scandinavi.

foto di Gigi Lombardozzi

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