Natéle p’u mósse de jónde…

Natéle p’u mósse de jónde…

Esiste una canzoncina su melodia pastorale di ciaramelle:

Mo vöne Natéle, mo vöne Natéle,
faciüme li pèttele e ‘i cartellète,
nannarjille e cavenzuncjille,
ostia-chjöne e scavetatille,
mustacciule e mènel’atteréte…

Natéle p’u mósse de jónde,
e döpe Natèle facimme li cónde.
A mangè te vöne lu góste
e a pajé te vöne la sóste

Traduzione:
Ora arriva Natale: prepariamo le frittelle e le cartellate, gli struffoli e i calzoncini, ostie ripiene, scaldatelli, mostaccioli e mandorle caramellate. (Arriva) Natale con la bocca piena di unto, e dopo Natale facciamo i conti: a mangiare ti viene il gusto, a pagare ti viene il nervoso.

Si cita spesso solo il verso Natéle p’u mósse de jónde…, tanto tutti sanno com’è il seguito.

Questo per dire che è il momento giusto per gustare le squisitezze: c’è sempre tempo per pagare e per pentirsi di essersi ingozzati di (clicca→)‘mbrìgnele

È il manfredoniano Carpe diem = Cogli l’attimo (favorevole).

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Nasce alla manganze d’a lüne

Nasce alla manganze d’a lüne

Nascere durante la fase di luna calante.

Nulla di male se uno nasce durante questa periodo della lunazione.

Questo Detto antico vuole invece indicare, con valenza negativa, un paio di aspetti di una persona.

a) persona minuta, di statura ridotta, ritenuta pervasa di cattiveria: si credeva che la malvagità ne impedisse il normale sviluppo corporeo. Córte e male cavéte = basso e male riuscito. A tè a malìzzje nen t’ò fatte crèsce! = La malizia non ti ha fatto crescere! Tutte fandonie, naturalmente;

b) persona avara, ovviamente negativa, perché sempre scarso in ogni sua manifestazione: mancanza di parole, di sorrisi, di generosità, di buon umore, ecc. ecc. influenzata dalla “mancanza” della luna. Anche qui tutte fandonie!

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Na vòlte scappe ‘u lèbbre e ‘na vòlte scàppe ‘u cacciatöre.

Na vòlte scappe ‘u lèbbre e ‘na vòlte scàppe ‘u cacciatöre.

Una volte corre la lepre e una volta corre il cacciatore.

Questo proverbio, un po’ consolatorio, vuole avvertire che non sempre le cose possono o devono evolversi allo stesso modo: ossia non sempre va tutto bene e lo stesso non sempre va tutto male.

La vita inevitabilmente ha i suoi alti e bassi. Perciò se le cose vanne bene usare prudenza e previdenza perché potrebbero cambiare. Se le cose vanno male prima o poi evolveranno in meglio. Speriamo! N’jì ca còrre sèmbe ‘u lèbbre: quàcche vòlte pöte corre püre ‘u cacciatöre = Non è che corre sempre la lepre: qualche volta può correre anche il cacciatore.

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Na vòlte ce ‘mbènne Cöle!

Na vòlte ce ‘mbènne Cöle!

Una sola volta si impicca Nicola.

Questo proverbio invita al ravvedimento, ad un radicale cambiamento di vita.

Un genitore anziano al figlio più spendaccione, gli indicava la trave alta del solaio e gli diceva: “Lassù ti impiccherai se non torni alla retta via come i tuoi fratelli lavoratori”.

Infatti per anni fece bagordi con gli amici, fintantoché, morto il genitore, e trovandosi senza risorse, abbandonato da tutti, appese una fune a quella trave e decise di impiccarsi.

La trave, a causa dello strappo del suo peso, si spezzò in due, e dal suo interno cadde una pioggia di monete d’oro che il saggio genitore aveva previdentemente nascosto per questo suo figlio scapestrato.

Ritornato ravveduto alla vita, i suoi “amici” lo vollero alla vecchia vita. Ma lui rispose con il proverbio citato nel titolo. Ossia: Na vòlte ce ‘mbènne Cöle, nen me frechéte cchjó! = Una sola volta si impicca Nicola, e non mi farete ricascare più.

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Na volte all’anne…

Na volte all’anne…

Il proverbio intero così recita:

‘Na volte all’anne
Düje cumanne;
‘na volte ‘u möse
sia congiöse;
ma tutt’i jurne
jì ‘nu laturne!

In italiano suona così:
Una volta all’anno, Dio comanda (è quasi un obbligo)
Una volta al mese sia concesso (è tollerabile)
Ma ogni giorno è una lagna (è insopportabile).

Il proverbio può applicarsi a qualsiasi argomento. Parlare di politica, giocare a carte, bere un bicchierino di liquore, frequentare la discoteca, fare bisboccia, abboffarsi di dolci, ecc.

Come tutti i proverbi invita alla moderazione o alla prudenza.

Nota linguistica: il participio passato del verbo concedere è congèsse= concesso e non congiöse. È stato adoperato congiöse per far rima con möse = mese.

Veramente in dialetto è un verbo inesistente: nessuno si sognerebbe di dire congiöde per concedere, accordare, acconsentire.
Tutt’al più si dice: dé, vébbù, o con termini moderni occhè (OK).

Quando si raccontavano episodi su Gesù, le parole di nostro Signore non si riportavano mai in dialetto: Egli diceva, ma con pronuncia nostrana: “sia congèsso”

Ringrazio la signora Pasquina Vairo per il suo simpatico suggerimento.

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Na fèmene e ‘na pàpere arrebbellàrene Nàpele

Na fèmene e ‘na pàpere arrebbellàrene Nàpele

Una donnetta e un’oca furuno capaci di assordare Napoli.

Il detto è leggermente misogino. Si profferisce quando due “comarelle” insieme parlano ad alta voce, strepitano, ridono fragorosamente, ecc.

Insomma è abbastanza normale che se stanno insieme almeno due donzelle venga fuori un simpatico, chiacchiericcio insistente, se non assordante, che sfocia presto, sempre simpaticamente, in un autentico baccano. Per la verità succede anche ai maschietti….

Mi sa che le riminiscenze delle storiche oche del Campidoglio, che con il loro strepito salvarono la città di Roma dall’attacco dei barbari, siano arrivate fino a Napoli.

Mio padre si era “appoggiato” sul letto nella sua camera per un riposino pomeridiano. Dopo un po’ apparve in mezzo al nostro gruppo e pronunciò la nota frase:
Na fèmene e ‘na pàpere arrebbellàrene Nàpele

La successiva nostra fragorosa risata confermò la sua asserzione, caso mai ci fosse stato bisogno di dimostrare la sua veridicità. Ah ah ah

Il toponimo Nàpele può si scrivere anche Nàple. L’aggettivo è Napluténe = Napoletano

Una donnetta e un’oca furuno capaci di assordare Napoli.

Il detto è leggermente misogino. Si profferisce quando due “comarelle” insieme parlano ad alta voce, strepitano, ridono fragorosamente, ecc.

Insomma è abbastanza normale che se stanno insieme almeno due donzelle venga fuori un simpatico, chiacchiericcio insistente, se non assordante, che sfocia presto, sempre simpaticamente, in un autentico baccano. Per la verità succede anche ai maschietti….

Mi sa che le riminiscenze delle storiche oche del Campidoglio, che con il loro strepito salvarono la città di Roma dall’attacco dei barbari, siano arrivate fino a Napoli.

Mio padre si era “appoggiato” sul letto nella sua camera per un riposino pomeridiano. Dopo un po’ apparve in mezzo al nostro gruppo e pronunciò la nota frase:
Na fèmene e ‘na pàpere arrebbellàrene Nàpele

La successiva nostra fragorosa risata confermò la sua asserzione, caso mai ci fosse stato bisogno di dimostrare la sua veridicità. Ah ah ah

Il toponimo Nàpele può si scrivere anche Nàple. L’aggettivo è Napluténe = Napoletano

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Na chépe de chjànde e ‘na mangéte de maccarüne

Na chépe de chjànde e ‘na mangéte de maccarüne

Traduzione letterale: un gran pianto e una mangiata di maccheroni. La sintesi dell’evento luttuoso. Insomma: la vita continua

La locuzione è un invito a riprendersi dopo aver subito un brutto colpo del destino, come ad esempio un lutto in famiglia.

Ma sì, la vita va avanti. Abbiamo fatto un gran piangere (‘na chépe de chjànde = un “signor” pianto) e, come da copione, abbiamo fatto anche una sostanziosa mangiata (vedi ‘u cunzùle). Ma ora bisogno pensare a vivere.

La locuzione può essere rivolta a se stessi o anche a qualche amico cui si è vicini. Come per dire: Coraggio! Non pensarci più, va avanti.

Ancora una volta il grande Enzo Renato mi ha dato lo spunto per questo articolo.
Grazie dottore!

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Na cappèlle

‘Na cappèlle = Una Cappella

Sul vecchio sito SipontoBlog avevo letto questa deliziosa canzone che certamente cantavano le nostre nonne.

Con il permesso della Redazione mi onoro di poterla trascrivere qui di seguito per la memoria storica di Manfredonia. Ho aggiunto solo qualche ritocco (punteggiatura, ortografia). Purtroppo la poesia è ormai passata nel dimenticatoio, come tante altre (‘u Venardì Sante, l’allorgia sante, ecc.). Anche la musica è stata dimenticata. A meno che qualche lettore fortunato riesca a recuperare il motivo dai propri nonni (magari!) come ha fatto colui che ha riguadagnato il testo.

‘Na cappèlle

Mizz’a mére ce stöve ‘na cappèlle
allà deciöve a Mèsse Gése Crìste.

Gése Criste a Mèsse deciöve
e stöve San Pjitre ca servöve,
‘a Sanda Médre de Düje ce’à sendöve.

Mò respònne Iddüje Onnipotènde:
“Pecchè Médre Marüje ca tande chjange?”.

“Come nen vògghje chjange e lagremé
‘a feste l’anne vuletéte allu lunedì…”

– “Citte mamme nen chjangènne tande
mò me ne véche söpe a cjile celèste.
Allà jü véche a fé trune e tembéste,
pe quìdde ca fatìene a Sanda fèste!”

– “No, fìgghje, nen facènne ‘sta guèrre!
Tó sì ‘u patrüne du cjile e d’a tèrre.

Traduzione per gli amici non manfredoniani: In mezzo al mare c’era una cappella/là celebrava la Messa Gesù Cristo./
Gesù Cristo celebrava e S.Pietro serviva la Messa e la Santa Madre di Dio la seguiva./Ora interviene Iddio onnipotente: “Perché Madre Maria così copiosamente piangi?”/-“Come faccio a non piangere e lacrimare? La festa l’anno spostata al lunedì”/-“Zitta, mamma, e non piangere così tanto: adesso salgo sul cielo celeste (sulle alte sfere del Paradiso)/ Da lassù io vado a fare tuoni e tempeste/ per coloro che lavorano nella Santa Festa! (la Domenica)./-“No, Figlio, non fare questa guerra!/ Tu sei il padrone del cielo e della terra”!

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N’ucchje guarde a Crìste e l’ate arròbbe ‘i pìsce

N’ucchje guarde a Crìste e l’ate arròbbe ‘i pìsce

Un occhio guarda verso Cristo e l’altro ruba i pesci.

Questa è una divertente definizione dello strabismo.

È un po’ irriverente, perché una persona affetta da qualsiasi difetto fisico e molto sensibile e non vuole che si parli mai della sua menomazione.

L’interlocutore deve aver la delicatezza di non indicarla in sua presenza.

Ho detto in sua presenza! Ma quando il tizio non è astante prevale quello spirito sfottente di noialtri impuniti manfredoniani con l’espressione citata.

Ritengo, ma non sono sicuro, che il Detto possa interpretarsi in modo figurato.

Come per dire che da un lato il soggetto è tutto casa e chiesa, mmentre dall’altro si rivela un po’ filibustiere.

Nota linguistica:
Il verbo guardare in italiano rege l’accusativo: io guardo te.
Per un retaggio della lingua spagnola in dialetto il verbo regge il dativo: guardare a…. n’ucchje guarde Criste…
Agghje viste a Giuanne = Ho visto Giovanni
Agghje ‘ngundréte a Pasquéle = Ho incontrato Pasquale.

La frase “Il padre vide il figlio” può significare che il padre, mentre stava là, ha visto il figlio che passava, ma anche che il figlio vide il padre (e non altri) nei paraggi. Dipende dalla inflessione della voce, se calchiamo su padre o su figlio.
Nella lingua spagnola invece si dice “el niño vio a su padre” o “el padre vio al chico” senza creare alcun dubbio e senza sforzarsi di accentuare l’uno o l’altro sostantivo.

Fine della lezione pallosa.

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N’ànne spuséte, o maléte o carceréte.

N’ànne spuséte, o maléte o carceréte.

Al compimento del primo anno di matrimonio il marito generalmente si ritrova o ammalato o detenuto.

Perché ammalato? La moglie bella lo ha consunto! O lo fa rodere di gelosia!

Perché carcerato? La moglie bella lo ha cornificato e lui l’ha mandata in ospedale con le ossa scassate.

I matrimoni sono in calo! E ci credo! Con queste prospettive i ragazzi si defilano velocemente…

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