Sté p’i méne söpe ‘u pecciöne

Sté p’i méne söpe ‘u pecciöne loc.id. = Oziare

Ho usato il verbo oziare, ma la frase è bella forte! Scusate la scurrilità della locuzione. Ho solo riportato solo una frase del dialetto verace.

Traduzione letterale: stare con le mani sopra i genitali esterni femminili.

Quando qualcuna  un po’ sboccata  viene ripresa perché magari si attarda a sbrigare le faccende domestiche, risponde piccata:
N’jì ca stéche p’i méne söpe ‘u pecciöne! = Non sto qui ad oziare, ma sto lavorando sodo!

In italiano avrebbe risposto: “non sto qui a rigirare i pollici”, o “con le mani nelle mani”, oppure, alla maniera toscana di Panariello: “non si sta mica a pettinare le bambole”.

Grazie a Luigi per questo suggerimento.

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Sté alla spàsse

Sté alla spàsse loc.id = Essere disoccupato

Aver perduto il lavoro ed essere in attesa di procurarsene un altro.

Sembra che, usando questo termine “spàsse”, chi è senza lavoro se la goda al massimo e vada a zonzo tranquillamente.

Invece si dibatte in una situazione drammatica (da scale di Teresina), suo malgrado.

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Sté ai schéle de Taresüne

Sté ai schéle de Taresüne loc.id. = Trovarsi in condizioni precarie

Alla lettera significa: Stazionare sui gradini di Teresina.

La traduzione non significa nulla se non si conosce l’origine della locuzione.
Ci sono due “scuole di pensiero”
A) Dicono che tanti anni fa una  Signora di nome Teresina faceva beneficenza alle persone bisognose che sostavano ai primi gradini della scalinata di casa sua (un po’ come ai tempi di oggi fa la Charitas diocesana che distribuisce dei pacchi viveri ai bisognosi).
Insomma la caritatevole Teresina donava loro degli alimenti  ogni giorno. Era a suo modo un’autonoma “Assistente sociale” ante litteram.
La location è  quel portoncino di fronte al Municipio vicino al Bar Centrale. Collocare con esattezza l’epoca in cui la Teresina in questione svolgeva la sua attività di benefattrice è difficile, e si perde nella notte dei tempi.

La locuzione ci è stata tramandata di generazione in generazione. Tant’è che io l’ho sentita da mio padre, classe 1901.

Calza bene il fatto di “stare alle scale di Teresina”, significa comunque trovarsi in cattive acque e pazientare davanti a quelle scale, con la speranza di ricevere un aiuto concreto dalla benefica Teresina.

Se nen ce stéme attjinde, jéme a fenèsce tutte quande ai schéle de Taresüne! = Se non stiamo attenti (con le spese domestiche o aziendali) andremo a finire tutti a chiedere l’elemosina!

B) L’amico Matteo Borgia (che ringrazio) mi ha fornito una seconda versione. La trascrivo integralmente, ritenendola ugualmente attendibile:

«Teresina era una signora che aveva una casa in piazza del Popolo (che allora si chiamava Piazza della Rivoluzione e prima ancora Piazza del Municipio), lungo corso Manfredi, sul lato sinistro andando verso il castello, quasi all’incrocio con via Arcivescovado. Davanti alla sua porta c’erano due gradini.
La piazza era il punto di ritrovo dei braccianti che chiedevano di poter lavorare alla giornata. Quando il curatolo (u curàtele), cioè il fiduciario del padrone dei terreni, decideva che era necessario assumere dei braccianti, un intermediario (u capuréle, il caporale) si recava in piazza e sceglieva le persone da avviare.
A volte, bastava uno sguardo o un semplice gesto col dito puntato: “Tó, tó e tó”. Chi non veniva scelto, non poteva far altro che aspettare il prossimo giro. Nell’attesa, per non lasciare la piazza e non perdere l’occasione, i braccianti disoccupati si sedevano alle scale della signora Teresina, da cui il famoso detto.»

Ringrazio Gigi Rubino per questa “imbeccata”.

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Sté ‘ngudda-ngùdde

Sté ‘ngùdda-ngùdde loc.id. = Assillare

Alla lettera significa star addosso addosso, nel senso di non dar tregua, opprimere, assillare.

Un po’ come l’italiano ‘stare alle costole’. Ossia seguire, osservare attentamente in modo che la persona presa di mira righi dritto, non sgarri nemmeno un tantino dalle intese, dalla sua condotta, dai suoi impegni.

Te péje ‘a chése? Stàlle ‘ngudda-ngudde! = (L’inquilino) ti paga (con regolarità e puntualità la pigione relativa al)la casa? Stagli addosso, non dargli tregua!

Un’espressione simile è cué l’àneme = “covare” l’anima. Covare come fanno i pennuti che si pongono sempre addosso alle uova senza lasciarle un solo istante.

 

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Statjöle

Statjöle s.f. = Dinamometro, bilancia a molla.

È una bilancia portatile, formata da un involucro metallico a canalina, all’interno del quale è alloggiata una molla a spirale di acciaio, fissata nella parte superiore ad un anello e nella parte bassa ad un uncino.

Agganciando con quest’ultimo la merce da pesare e sospendendola per l’occhiello si provoca l’allungamento della molla, che segna il suo peso con un indice scorrevole su una scala graduata.

Usata spesso dai venditori ambulanti in alternativa alla consueta statöre a piatto.

Presumo che il nome statjöle sia proprio un diminutivo della nota statöre (←clicca).

La bilancia portatile, almeno quella più diffusa, aveva una portata di 10 kg e una divisione di 250 grammi per ogni tacca piccola. Ora non si usano più, soppiantate da quelle elettroniche.

Avevo già pubblicato,con il nome comune di velànze a mòlle = bilancia a molla, la descrizione di questo oggetto. Se siete curiosi cliccate qui.

In fisica questo strumento è detto “dinamometro”. e serve per la misurazione della forza, applicando una legge della dinamica basata sulla deformazione elastica della molla, proporzionata alla forza applicata. [Uff!….mi sembra di tornare alla scuola media….Meno male che Wikipedia mi dà una mano!]

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Velànze a molle

Velànze a molle s.f. Dinamometro

Si tratta di una bilancia tascabile, di modesta portata, fino a pochi kg, usata dai venditori ambulanti di derrate alimentari.
Era conosciuta anche come (clicca→) statjöle (piccola stadera)

Si fissava la merce da pesare, contenuta in un fazzoletto annodato o in un secchiello, al gancio inferiore e si sollevava dall’anello superiore.

Il peso faceva allungare la molla a spirale contenuta nell’involucro. Un indicatore esterno segnava su un scala graduata, la tacca del peso corrispondente. Spesso la scala pre-marcata ai due lati della scanalatura centrale era doppia: sulla sinistra indicava i chilogrammi (kg) e sulla destra le libbre (lb) per il sistema inglese/americano.

Era considerata precisa e affidabile, sia dal venditore, sia dal compratore.

Ho visto da bambino infilzare il gancio di ferro, annerito dall’uso, direttamente nella pagnotta del pane per eseguire la pesatura. Al giorno d’oggi per un episodio simile sarebbero intervenuti i NAS.

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Stangachiàzze

Stangachiàzze agg. = Sfaticato

Persona molto pigra a cui piace vivere evitando il più possibile ogni sforzo e lavoro.

Si stanca addirittura a passeggiare il piazza.

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Stambéte

Stambéte s.f. = Pedata

Calcio, colpo inferto col piede.

Si presume che ci sia anche la rincorsa perché stambéte è molto più di un calcione.

Quando mia moglie si lamentò col medico di famiglia per il mio insopportabile russamento, ebbe un consiglio fraterno: “E škàffele ‘na stambéte”! = Mollagli una pedata (quando siete nel letto)

Quindi per le pedate non si usa il verbo  = dare, rifilare, mollare, assestare, bensì škaffé.

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Stajèlle

Stajèlle s.f. = Regolo o staggia

Il sostantivo stajèlle si rifà alla definizione più antica di ‘staggia’ resa al diminutivo. Il termine staggia deriva dal lat. stadium nel senso di misura di lunghezza.

I nostri nonni dicevano stascèdde, o con altro termine più tecnico rijèlle. Ora li fanno di alluminio.

I Tecnici dell’edilizia usano il nome ‘regolo’ quale sinonimo di ‘staggia’, che ormai è usato raramente.

Ecco la definizione dell’Enciclopedia Treccani: “Regolo – Asticciola di legno, di metallo o di materiale plastico, a sezione quadrata o rettangolare, che si usa per tirare linee diritte. Attrezzo di legno di analoga forma con cui il muratore verifica l’allineamento dei muri durante la costruzione, o la spianatura dell’intonaco”.

Al maschile (‘u stajùle) indica un’asta di legno, e sezione tondeggiante adoperato in innumerevoli applicazioni. Ad es. per sostenere le piante, in coppia per costruire le sedie e gli schienali, le parti verticali delle scale in cui vengono fissati i pioli, ecc. ecc.

A noi Manfredoniani ‘u stajùle fa venire in mente un bel bastone, non quello che sostiene i passi delle persone anziane, ma un paletto cilindrico e maneggevole per freché de mazzéte (riempire di botte) qlcn o per difendersi da esso: comunque è un’arma impropria, perché micidiale.

In tempi ormai passati i giovincelli andavano a scuola di “bastone” o a quella di “coltello” – così come ora si va alla scuola di ballo, di karate o in palestra – per saper usare eventualmente uno o l’altro per difesa e magari per offesa.

Scherzosamente si sottolinea una persona dalle gambe lunghe: töne döje stajèlle = ha due pertiche

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Stagnöre

Stagnöre s.f. = Secchio di latta

Recipiente di riciclo, ottenuto da grossi contenitori di latta che racchiudevano in origine prodotti alimentari o usati per tinteggiare.

Ad esempio quelli quadrangolari che contenevano 5 kg di olive in salamoia, o quelli da 25 litri di olio o quelli da 30 litri di tintura murale. Opportunamente adattati, servivano per mettere i fichidindia in bagno per facilitare la caduta delle spinelle, o per raccogliere i pomodori dal campo, ecc….

Anche questo termine deriva da stagno, sinonimo dialettale di latta, e stagnino.

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