Autore: tonino

Scòmbre

Scòmbre s.m. = Scombro

Lo sgombro (Scomber scombrus), comunemente chiamato anche “maccarello”, è un pesce azzurro della famiglia degli scombridi, molto diffuso nel Mediterraneo e nell’Atlantico

Nella zona di Bari lo chiamano Maccarello (e anche Naccarello) sulla scorta del norvegere Makrel , del tedesco Makrell e francese Maquerau.

Molto usato nella cucina mediterranea è raccomandato dai medici per il suo apporto in grassi omega 3 particolarmente adatti per chi è affetto da ipercolesterolemia.

Nella cucina manfredoniana si usa spaccarlo longitudinalmente e speziarlo com prezzemolo e aglio tritati, un po’ di pepe, e semi di finocchietto. Si fanno cuocere sulla graticola spennellandoli con “salmoriglio” (olio,aceto e sale sbattuti con la forchetta per ottenerne l’emulsione). Tutta salute.

Nota linguistica, Al singolare fa scòmbre con la ò aperta; al plurale scómbre, con la ó chiusa (come fórne).

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Scolle

Scòlle s.f. = Cravatta

Il termine deriva dal latino “ex collum“, cioè, ciò che scende giù “dal collo”.(Ringrazio il prof. Michele Ciliberti  per questa preziosa precisazione)

Accessorio dell’abbigliamento maschile costituito da una striscia di stoffa colorata più larga a una delle due estremità, che viene annodata intorno al collo sul davanti allo scopo di nascondere la fila di bottoni della camicia, ritenuti antiestetici nel 1700.

Diminutivo scullüne s.m. (se preferite scriverlo in altro modo suggerisco scullïne)= Cravatta a farfalla, papillon.
Sinonimo cravattïne o cruattïne.

In origine era un fazzoletto da collo, ricamato o inamidato, usato per coprire la scollatura (da cui il nome “scolla” ripreso e tramandatoci dall’800) degli abiti maschili e femminili. Quindi, se vogliamo, il nostro termine scolle è più antico del settecentesco cravatte.

Infatti il sostantivo cravatte (usato ora al posto di scolle ) deriva dal francese cravate, derivante a sua volta dal termine croato hrvat, che vuol dire appunto “croato”. Infatti i cavalieri croati, assoldati da Luigi XIV, portavano al collo una sciarpa. In origine era apostrofata come “sciarpa croatta”, poi abbreviata in croatta e dunque in cravatta.

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Scjitte

Scjitte s.m. = Vomito

Il contenuto gastrico espulso in modo totale o parziale dalla bocca per indisposizione o mal d’auto.

I ragazzi moderni dicono ‘u vòmete. Ma loro hanno fatto le scuole dell’obbligo mentre i vecchi pescatori no. Finché saranno vivi questi ultimi circolerà la versione originale. Non dimentichiamola.

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Scjìnere (o jìnere)

Scjìnere (o jìnere) s.m. = Genero

Scjìnere (o jìnere) s.m. = Genero

Il primo termine è più antico, il secondo è più recente, meno rozzo.
Il significato è semplice: si tratta del marito della figlia, il genero.

Alcuni, per un fenomeno linguistico chiamato metatesi, ossia spostamento di vocali e consonanti all’interno di un termine, pronunciano scjirne o jirne. Altri esempi di metatesi: frabbeche, crépe, pröte, struppjé = fabbrica, capra, pietra, storpiare.

Se si riferisce al proprio genero, si dice scjirneme,o jirneme, oppure, con parlata moderna, ‘u jinere müje = mio genero.

Se si tratta del genero di chi ascolta, si dice: scjirnete o jirnete, ‘u jinere tüje.

Ovviamente al femminile fa nöre, nòrete, nòreme (anche ‘a nöra möje) = nuora, tua nuora, mia nuora.

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Sciurté

Sciurté v.t. =  scegliere o contare le bestie.

Il verbo è tipico degli allevatori, usato per designare la conta delle bestie, fatte passare una alla volta attraverso l’accesso dell’ovile, o una strettoia,  o il cancello della stalla.

Significa anche scegliere fra i capi di aggruppati di bestiame, e metterne da parte i migliori.

Presumo che derivi da “sortire”, un verbo antico rimasto nel francese moderno sortir = uscire.

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Sciuppé ‘u còrje

Sciuppé ‘u còrje loc.id. = Uccidere

Alla lettera: estirpare il cuoio (capelluto)

È un gesto da pellerossa Sioux o Comanches, che veniva eseguito sul cadavere del nemico vinto in battaglia, scuoiandone il cranio dal cuoio capelluto. Lo scalpo del nemico era un trofeo ostentato per accrescere il proprio prestigio di guerriero.

Da noi, molto meno efferati, il verbo era usato come una minaccia della mamma verso i pargoli irrequieti:

Stàteve fèrme, ca se no vènghe allà ve sciòppe ‘u corje! = State buoni se potete…

Il maestro artigiano, quando l’allievo con metteva in atto a regola d’arte i suoi insegnamenti, mentre, spazientito dal suo tardo comprendonio, simpaticamente gli assestava uno scappellotto, gli diceva a mezza voce:

Gghja quèdda mòrte ca ne te sciòppe ‘u còrje! = Maledizione a quella morte che non viene proprio ora a farti la pelle!

Corje significa cuoio in genere, anche quello usato per fabbricare borse, cinghie e scarpe.

Ringrazio Vito e sua madre per il suggerimento.

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Sciuppé

Sciuppé v.t. = Spiantare

Per estensione sconficcare, estirpare, sradicare, chiodare, cavare un dente, depilare le sopracciglia, ecc. Tutti questi verbi chiedono decisione ed una certa energia nella loro esecuzione.

Lunedì vònn’èsse sciuppéte i féfe = Lunedì bisogna estirpare le piante delle fave.

Sciuppéme i rafanjille = Sradichiamo i ravanelli.

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Sciulì-sciulà

Sciulì-sciulà s.m. = Scivolo, gioco fanciullesco.

Dire “scivolo”, come quelli che si trovano nei parco-giochi è un po’ azzardato. Quello che intendo descrivere era semplicemente un costone roccioso posto in pendenza nelle cave di pietra attorno alla nostra città.

Ovviamente parlo dei miei tempi. Vi assicuro che non erano come quelli che conoscete. Non avevano sponde di sicurezza, né la scaletta per la risalita. Era semplicemente un pendio dal quale ci lanciavano seduti su una larga latta schiacciata, a guisa del bob da ghiaccio.

Se adesso sto qui a descriverlo, sto dando testimonianza dell’esistenza reale dell’Angelo custode!
La discesa – pensando adesso a mente serena – era pericolosissima perché si poteva precipitare nel burrone e/o sfracellarci sul fondo della corsa. Qualche temerario si poneva sulla latta addiirittura prono, con la testa rivolta verso il fondo della china.

Quella frequentata da me si trovava alle spalla dell’attuale Chiesa di San Camillo. Non c’era né l’Ospedale, né tantomeno la chiesa. Era fantasiosamente chiamato “il Parco” confinante con i fichidindia della futura Via Barletta.

Un’altra era collocata dietro l’attuale Ufficio dei Vigili Urbani e una terza in Via Cave, l’ultima traverso di Via Antiche mura.

Ma jì a ffé sciulì-sciulà? = Andiamo a fare lo scivolo?

Il sostantivo è un po’ onomatopeico, come zinghe-nzelànghe = altalena.

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Sciulènde

Sciulènde agg. = Scivoloso, liscio, viscido, untuoso.

Riferito a superfici viscide su cui è pericoloso avanzare perché si può scivolare.

Faciüte attenziöne a ‘stu scùgghje ca jì sciulènde! = Fate attenzione a questo scoglio, perché è scivoloso (a causa di una viscida alga cresciutavi sopra).

Mandeniteve a mmè, ca ‘ndèrre jì sciulènde = Appoggiatevi a me, perché il suolo (fangoso) è scivoloso.

Quando l’aggettivo è ripetuto – sciulènde-sciulende – non significa ‘molto viscido’, ma ‘semplice’, ‘veloce’, ‘scorrevole’.

Questo sciulènde-sciulènde mi dà l’idea di un inatteso piatto di spaghetti proposto agli amici, che sono in procinto di congedarsi, per convincerli a restare ancora un po’ in nostra compagnia…
Meh, stàteve quà n’ate pöche, ca mò faciüme düje spaghètte sciulènde-sciulènde = Beh, restate qui ancora un po’ (con noi), così ora prepariamo due spaghetti (velocemente, alla buona).

Presumo che sciulènde sciulènde sia l’adattamento nostrano alla bella locuzione napoletana sciué-sciué, dato che, come tutti sanno, il nostro territorio appartenne al Regno delle Due Sicilie.

Difatti questa locuzione sciué-sciué è molto conosciuta e viene usata quasi come aggettivazione per indicare qualsiasi cosa venga fatta alla buona, senza eccessivo impegno, insomma in maniera fluente, scorrevole, con semplicità” (Prof.Raffaele Bracale, Napoletanista)

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Sciufféte

Sciufféte agg. = Scarmigliato, trasandato

Senza offesa per nessuno: l’aggettivo è tipicamente al femminile perché descrive una donna molto trascurata nel vestire, nel pettinarsi, nel…lavarsi.

Insomma che è sciatta, scomposta, malmessa, sregolata, ecc.

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