Mese: Maggio 2018

Fèrse

Fèrse s.f. = Telo

Pezzo unico di tela di taglio rettangolare; può essere cucito insieme ad altri nella confezione di abiti o biancheria, ma specialmente delle lenzuola.

Si vendeva a metraggio. Ogni fèrse era generalmente alta cm 90; con tre di questi teli si confezionava un lenzuolo matrimoniale della lunghezza di cm 250. La speciale cucitura a macchina a punti sovrapposti, chiamata tortè univa i tre teli e rinforzava l’orlo superiore e quello inferiore.

Ora le lenzuola si vendono già confezionati in tela unica, sia per i letti a una piazza, sia per quelli a due piazze.

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Ferrìzze

Ferrìzze s.f. = Sgabello, scranno

Sgabello molto rustico fabbricato con legno di ferula, detto anche finocchiaccio selvatico, insomma la nostrana frèvele(←clicca), tagliato in tanti tronchetti di circa 50 cm che venivano assemblati con legacci di fibre vegetali e senza l’uso dei chiodi o di colla.

Ho visto da bambino una ferrizze addirittura con lo schienale fatta da un artigiano fantasioso.

Nel Salento sono chiamate fuddizza. In Sicilia questi sgabelli cubici sono chiamati furrizzeferrìzzuoli (Eravamo o no nel Regno delle Due Sicilie?) e sono tuttora venduti come prodotti dell’artigianato.

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Mèzze-fainèlle 

Mèzze-fainèlle s.f. = Busiati, maccheroncini

Alla lettera significa mezza carruba. Sono chiamati anche, quando superano i 5 cm di lunghezza, maccarungiüne a ferrètte (maccheroncini al ferretto).

Si tratta di maccheroni di grano duro realizzati con l’aiuto di un apposito ferretto a sezione quadrata, o di un sottile stelo di giunco.

Dall’impasto di acqua e farina si staccavano due pezzi della grandezza di una nocciola. Si ponevano affiancati sulla madia.
La massaia poneva il suo stecco di ferro sopra i due gnocchetti e col palmo delle mani lo faceva scorrere un po’ in avanti in modo che la pasta morbida gli si avvolgesse intorno. Poi con un movimento rapido, afferrava il ferretto da un’estremità e con l’altra mano sfilava i due maccheroncini che risultavano col buco (come gli “ziti” tagliati, della lunghezza di 5 cm) e li poneva ad asciugare sulla setella .

Sono ottimi conditi con il ragù di agnello.

Nota: i busiati si ritrovano nella gastronomia di quasi tutte le regioni meridionali. Naturalmente cambiano nome a seconda dei luoghi. In Calabria si chiamano maccheroni ‘mparrettati (inferrettati) o cannizzuoli se vengono realizzati con sottilissime canne. Identici ai cannizzuoli sono i busiati siciliani, che devono il loro nome all’erba busa, un giunco sottilissimo. Maccheroni al ferro sono anche i maccarones a su ferritus sardi, e i minuichi lucani.

A me sembrava che l’origine del nome derivasse da un dialetto settentrionale: a quelle latitudini “buso” significa buco.

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Ferrètte 

Ferrètte s.m. = Saliscendi, Forcina per capelli, ferretto

1) Ferrètte = Saliscendi. Congegno per chiudere porte e finestre, formato da una piccola verga piatta di ferro munita di pomello che scorre tra guide, e che può andare a incastrarsi in un altro passante fissato sull’altro battente, o anche nell’apposita staffa posta sull’architrave della porta.

Quello inferiore, praticamente uguale, ma viene montato a rovescio, ossia con il codolo che si inserisce in un foro praticato sulla soglia d’ingresso.

  2) Ferrètte = Forcina per capelli a forma di una U con i due gambi lunghi fino a 10 cm. Serviva a sostenere le trecce composte a crocchia, una sorta di toupet. Al plurale suona ferrjitte.  Usato anche per liberare parti interne incrostate di tubi o anche (scusate) gli sfinteri anali occlusi (ndurséte)  da semi ammassati di fichidindia,

Quello più piccolo, dai gambi aderenti, leggermente arcuati, è chiamato ferrettüne = ferrettino indifferentemente sia al singolare, e sia al plurale. Può essere anche di colore dorato per le pulzelle che hanno i capelli chiari, oppure nero o castano per le more.
La parte superiore visibile è a forma serpeggiante in modo che i capelli da essi fermati assumano un ordinamento ondulato. Le nostre nonne, in assenza di cotton-fioc usavano la parte ad occhiello per spalare il cerume dalle loro e dalle nostre orecchie…

3) Ferrètte = Ferretto a sezione quadrangolare per preparare la pasta fresca in casa, una specie di maccheroncino chiamato mezze-fainèlle

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Ferrére

Ferrére s.m. = Fabbro-ferraio

Artigiano che lavora il ferro. Deriva dal latino ferrarius.

Sono abilissimi a forgiare ringhiere, corrimano, balconate, infissi, cancelli, aratri quadrivomeri, chiavistelli, serrature ecc.

Quelli che facevano all’occorrenza anche i maniscalchi sono andati riducendosi per scarsezza di equini da ferrare. Non credo che esiste ancora qlcu a Manfredonia.

Molti fabbri invece erano meccanici di macchine agricole (trebbie, mietitrici, trattori, ecc)

Come tutti gli artigiani erano appellati con il titolo di maestro, non solo dai propri allievi:

Maste Vecjinze Racioppe, Maste Dumìneche Adabbe, Maste Frangìsche Cinghe, Maste Tumése Racioppe, Maste Mecöle Telöre, Maste Cesàrje Mundèlle, ecc.

Esiste anche un soprannome, ma credo che derivi dal cognome Ferrara.

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Ferrarìcchje

Ferrarìcchje s.m. sopr. = Piccolo fabbro.

Diminutivo di ferrére = fabbro-ferraio.

Usato come soprannome. Evidentemente la persona cui fu affibbiato era di conformazione minuta a dispetto del mestiere svolto che richiede corporatura robusta, o invece aveva una piccola bottega dove svolgeva il suo lavoro.

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Fèrra-cavàlle

Fèrra-cavàlle s.m. = Maniscalco

Artigiano che forgia i ferri su misura e attende alla ferratura degli equini (muli, asini e cavalli).

Di solito era un fabbro-ferraio che si adattava a questa incombenza.

Tuttavia mio padre (fabbro come tutti i suoi antenati, accertati almeno fino al 1825) non ne ha voluto mai sapere: Mastro Vincenzo preferiva costruire aratri, ringhiere, grate, balaustre, zappe, picconi, treppiedi per braciere e caminetto, e soprattutto riparare macchine agricole.

In dialetto il termine maniscalco non è mai entrato. Si è preferito descrivere l’azione di ferrare i cavalli, quindi colui che ferra i cavalli. Un po’ come l’italiano spacca-pietre o cava-denti.

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Ferneché

Ferneché v.i. = Formulare pensieri ossessivi, crearsi in mente delle fissazioni.

Ammessa anche la variante fernechjé.

Non è una cosa patologica, come vaneggiare o farneticare, cioè dire cose senza senso.

Alcune persone sanno orientarsi solo e sempre verso il pessimismo. Esse da un nonnulla riescono fernecànne = fissandosi, a costruirsi un castello di possibili conseguenze disastrose.

Se queste persone vivono da sole poi, il loro fernecamjinde arriva a spingerle a telefonare nel cuore della notte ai propri cari lontani solo perché magari hanno fatto un brutto sogno che li riguardava. Nel loro modo di vedere le cose il sogno si ingigantisce a dismisura.

Purtatìlle a màmete se no quèdde sté sèmpe a ferneché = Portatela via con te tua madre [per farla stare in compagnia], altrimenti costei pensa sempre ad una cosa [e finisce per impazzire]. Evidentemente la povera signora è appena diventata vedova, e l’invito da un altro parente è rivolto al figlio venuto da lontano per l’occasione.

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Fenucchjètte

 Fenucchjètte detto anche Fenucchjille salvàgge s.m. = Finocchietto selvatico


Il finocchietto (Foeniculum vulgare) è una pianta erbacea perenne, della fam. delle Ombrellifere originaria delle regioni mediterranee.

In Italia è diffusa particolarmente lungo le zone costiere, dal piano ai 1.000 metri.

Proprietà terapeutiche: depurative, tonico-aperitive, carminative, antispasmodiche.

In cucina vengono usati i rametti più teneri e la guaina a grumolo verdastro della radice quando non è troppo sviluppata, perché allora diventa coriacea.

In Sicilia è un ingrediente indispensabile nella preparazione della celeberrima “pasta con le sarde”

Nella Puglia è raccolto nei campi perché dà aroma alla rustica minestra di erbe campestri miste [‘i fogghje meškéte].

Da non confondere con i fenucchjètte (biscotti al finocchio, simili agli scaldatelli) e con i summènde fenòcchje (frutti del finocchio selvatico chiamati erroneamente “semi ” di finocchio).

 

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Fenòcchje 

Fenòcchje s.m. = Finocchio

Ortaggio commestibile di forma più o meno tondeggiante, colore bianco verdastro e sapore fortemente aromatico: finocchi al burro, gratinati, in pinzimonio.

La pianta (Foeniculum vulgare), è coltivata per ottenerne le brattee basali, spesse e scanalate, che costituiscono tale ortaggio. I semi del finocchio selvatico sono usati per aromatizzare vivande e insaccati.

Il termine “finocchio”, è stato utilizzato per denotare spregiativamente un uomo con atteggiamenti femminili o tendenze omosessuali. Il termine, originariamente usato per indicare qualcosa di scarso valore, avrebbe poi assunto il significato di “persona di poco valore, spregevole” e quindi secondo la mentalità del secolo scorso, di omosessuale.

Al plurale fa fenócchje con la “o” stretta.

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