Mese: Maggio 2018

Sderlàzze

Sderlàzze s.f. = Raschietto, nettascarpe

Si tratta di un oggetto metallico, simile alla raretöre, usato dagli ortolani per staccare la terra, quando è umida e si attacca alla lama della zappa rendendola più pesante e faticosa da sollevare. Veniva “indossato”  con un laccio passante per l’occhiello e legato alla cintura.   Parlo al passato perché nessuno più adopera la zappa manualmente, essendosi dotati di motozappa anche gli hobbisti giardinieri.

Esiste anche una sderlàzze a lama lunga come un coltellaccio, per eseguire la stessa operazione di distacco della terra dall’«orecchio» del vomere dell’aratro a trazione animale (aratro mono-vomere). Era collocato sul fusto dell’aratro, su apposito aggancio. Con un sinonimo viene detto anche ‘u raddéte.

Infine con lo stesso termine sderlàzze veniva designato una lamina di ferro, fissata in verticale ai lati degli usci delle case di campagna, per consentire ai lavoratori che tornavano dai campi, di liberarsi del fango attaccato sotto le suole delle loro scarpe. In italiano viene detta “nettascarpe” o anche, con voce regionale, “gratta-scarponi”.

Il nome sderlàzze credo si richiami etimologicamente un po’ al sostantivo terra (terra-sterra-sterraccio-sterrazze-sderlazze). È una mia deduzione, opinabile naturalmente.
In altri comuni della Daunia è detto sderrazze.

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Sdangagliöne

Sdangagliöne sost.inv. = persona grande e grossa

Dicesi di persona di grande mole e statura, alta e robusta. In italiano si difinisce un “Marcantonio”.

Talora si usa la versione sdangaliöne oppure sdangalliöne.

Si può usare anche al femminile.

Jöve ‘na pjizze de sdangallione = Era un pezzo di ragazza. Qui Si mette in evidenza solo la statura, la mole della tizia, a prescindere dlle sue fattezze più o meno armoniche.

Come termine di paragone, l’italiano cita talora un armadio: Quel giovanottone è grande come un armadio.

Invece i nostri nonni facevano riferimento alla stanga del carretto, robusta e lunga. Il leone da sempre simboleggia la forza.

Quindi alla lettera: stanga-leone.

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Scutelé

Scutelé v.t. = scuotere, scrollare

Scutelé (dal latino excutere)  significa muovere e ripetutamente qualcosa agitando con violenza. 

‘U vjinde scutelöje l’àreve = Il vento scuote gli alberi.

Scuotere lo straccio che raccoglie le polvere. Anche battere con la mano, in assenza di spazzola, su un indumento che  impolverato per nettarlo grossolanamente.

Scuteljijete söpe ‘a spalle, ca sté ìa pòlve = Scuotiti sopra la spalla (della giacca) ché c’è polvere.

Esiste una locuzione molto colorita che adopera questo verbo: Te sì arretréte  p’i chegghjüne scuteléte! 
Ovviamente nessuno rientra in casa dopo aver “sbattuto” (dolorosissimamente) i suoi testicoli come si fa con la tovaglia o con un tappetino!
La frase, in maniera del tutto figurata, è un vero rimprovero che evidenzia il rientro in casa del marito con le mani completamente vuote. Sia perché, al suo rincasare a fine giornata, non aveva potuto guadagnare nessun salario, sia perché  gli era passato di mente di comprare qualcosa per il desinare, e sia perché totalmente sfiancato dalla dura fatica in mare o nei campi.

Ringrazio il lettore Amilcare Renato per avermi rammentato questa locuzione,  frequente in bocca alla sua pepata nonnetta!

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Scutelàrece ‘i pólece

Scutelàrece ‘i pólece loc.id. = Defilarsi, sottrarsi, deresponsabilizzarsi

La locuzione a volte è più completa: scutelàrece ‘i pólece da ‘ngùdde = scuotersi le pulci da dosso.
Alla lettera significa: scuotersi le pulci, eliminare i fastidi.

Simile alla locuzione italiana “lavarsene le mani”, ossia defilarsi, togliersi le responsabilità, scansare fastidi, disinteressarsi, cavarsi da situazioni difficili, disimpegnarsi, svincolarsi.

Chiaramente è scutelàrece il verbo transitivo scutelé = scuotere, coniugato in forma riflessiva.

Nota fonetica:
‘u pòlece = la pulce, al singolare: va scritto con l’accento grave sulla ò ed ha una pronuncia larga (come cepòlle = cipolla);

‘i pólece = le pulci, al plurale: va scritto con l’accento acuto sulla ó ed ha una pronuncia stretta (come pózze = pozzo,o puzza)

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Scussié

Scussié v.i. = Bighellonare, vagare

Spostarsi da un luogo a un altro senza un programma preordinato, spec. per svago o divertimento.

C’entrano le cosse = le gambe, perché dovrebbero stare ferme invece di andare sempre in giro senza il controllo della mammina: (spezzéte de cosse!)

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Scüse e maletjimbe

Scüse e maletjimbe loc.id. = Scappatoia, pretesto

Alle lettera: scuse e cattivo tempo.

Questa simpatica locuzione viene detta di rimando da qlcu quando chiede un favore, e l’interlocutore accampa un pretesto per rifiutarsi di farlo. Costui intende giustificarsi, ma evidentemente la sua scusante è ritenuta poco credibile…

Credetemi succede spesso!

Scüse e maletjimbe vé truànne = Costui erca ogni pretesto (per non agire). Non gli mancano le scappatoie!

Origine della locuzione: quando qlcu – specie se per mestiere svolge la sua attività all’aperto, come accade ai pescatori in mare o ai coltivatori nei campi, ed è mazzangànne[pelandrone] di natura – accampa una scusante incontrovertibile per esimersi: il maltempo.

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Scuscenéte

Scuscenéte agg. = Sformato

Si attribuisce a oggetto che ha perduto la sua forma originale, che si è deformato per effetto di traumi o di peso.

Credo che la radice sia cuscino con il prefisso -s dal valore privativo negativo: come formato e sformato, fortunato e sfortunato.

Quindi, secondo me, e correggetemi se sbaglio, l’aggettivo significa sformato, deformato.

Particolarmente calzante se si riferisce a guanciali, cuscini, materassi, contenitori di cartone deformati, et

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Scuscenàrece

Scuscenàrece o škuškenòrece  v.i.= Crollare sotto un peso eccessivo.

Esempio: “Nen ce l’ho fatte cchiò, e c’jì skuskenéte” = Non ha retto il peso e si è sconnesso (I Napoletani dicono “scunucchiato”, cioè non sorretto dalle ginocchia).

Può derivare dal fatto che il materasso e i guanciali al mattino appaiono affossati, sopo aver sorretto il dormiente. Quindi sfatti, sformati

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Scurzelé

Scurzelé v.t. = Sbucciare

Togliere la buccia, l’involucro, la cotenna, la corteccia, la scorza. Il verbo deriva proprio da scorza, come dire decorticare.

Specificamente significa levare il mallo alle mandorle lasciando in vista la buccia legnosa per il successivo schiacciamento per liberare il frutto (scurzelé ‘i mènele)

Anche togliere il baccello alle fave e ai piselli freschi, sbaccellare, sgranare: (scurzelé ‘i féfe, i pesìdde/pesìlle).

Per le cozze e i frutti di mare si usa il semplice japrì = aprire.

Per la frutta (mele, pere, fichi d’india,) invece si dice annetté = nettare, sbucciare

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Scurze

Scurze s.m. = Crosta

Al maschile indica la crosta del pane.

Che te mange? Scurze e meddüche = Che cosa ti mangi? Scorza e mollica.

A volte viene usato per indicare una persona avara

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