Categoria: N

Ndumméte

Ndumméte agg. = Impietrito

Sbigottito, profondamente turbato, sconcertato, sbalordito.

Restare di sasso (ora i ragazzotti dicono “rimanere basito”, da basola stradale, dura e pesante).

Insomma una cosa non va giù, perché si considera una traversia immeritata o perché inattesa.

Pàteme m’ho fatte ‘nu cazziatöne ca m’ho fatte rumanì ‘ndumméte = Babbo mi ha fatto un aspro rimprovero che mi ha fatto rimanere sbigottito.

L’aggettivo ‘ndumméte, quando non descrive uno stato emotivo, si riferisce ad un banale malessere passeggero: quello causato da un boccone forse perché troppo grosso o inghiottito in fretta, o non masticato abbastanza, o troppo asciutto, che non va giù se non dopo un’abbondante bevuta di acqua.

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Nduppé

Nduppé v.t. = Sorprendere il flagranza

L’àgghje ‘nduppéte! = l’ho sorpreso in flagranza

Condizione di qlcn sorpreso mentre commette un’atto riprovevole (ossia da una marachella a un reato) o immediatamente dopo averlo commesso.

Düje uagnüne so stéte ‘nduppéte ca stèvene arrubbanne jìnd’a stazzjöne di Nàpele = due ragazzi sono stati colti in flagranza mentre rubavano dentro la Stazione di Napoli.

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Ndurce

Ndurce s.m. = Troccoli e troccolaturo

Pasta di semola fatta casa, tipica della Capitanata, simile a grossi spaghetti o agli “spaghetti alla chitarra” abruzzesi, ottenuti con altro strumento..
Si usa semola di grano duro. Talvolta all’impasto si aggiunge un uovo per dare maggiore resistenza alla cottura. Si hanno così i ‘ndùrce pe’ ll’öve, i troccoli con le uova.

I troccoli casarecci si confezionano distendendo una sfoglia con un mattarello  di legno o di bronzo,  scannellato radialmente   Si ottengono degli spaghetti piuttosto grossi.  Questo arnese da cucina viene designato al singolare,u ‘ndùrce. Altrove viene detto troccolaturomentre la pasta ottenuta va nominata sempre al plurale, i ‘ndùrce.

Si trovano anche già confezionati nei negozi di pasta fresca con il nome di “bigoli” e sono ottenuti a macchina, per estrusione della massa pastosa attraverso apposite filiere.

Si preparano con il sugo delle seppie ripiene (tipico piatto manfredoniano) o spezzettati, con fagioli e cotiche.

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Ndurcegghjé

Ndurcegghjé v.t. = Attorcigliare

Specificamente deriva da tòrce, torcere, strizzare . Durante la fase di lavaggio a mano di biancheria, torcere i panni per strizzarne l’acqua al massimo prima di porli a sciorinare sullo stenditoio.

L’atto si estende anche ad altre applicazione. come ad es. fanno i carpentieri che attorcigliano il fil di ferro per fissare le bacchette del tondino di ferro da armatura dei plinti o dei pilastri prima della gettata del calcestruzzo.

Il verbo ndurcegghjàrece è riferito ai panni stesi che, per effetto della ventilazione, si attorcigliano alla cordicella e si accavallano tra di loro.

Va bene anche per descrivere cavi elettrici ammassati. Ne so qualcosa quando vedo il cablaggio ndurcegghjéte dietro il computer.!…un inestricabile groviglio di fili: quello del mouse, degli altoparlanti, della videocamera, della tastiera, del monitor, del modem. della stampante, dello scanner. Meno male che io non ho il dolby-surround (si scrive così?).

E non parliamo del cavo a spirale della cornetta del telefono che ce ndurcegghjöje molto spesso. Benvenuto sia il cordless !

Chissà se i ndurce e i turcenjille etimologicamente derivano da questo verbo….

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Ndustàrece

Ndustàrece v.i. = Indurirsi

Fenomeno fisico che consiste, a causa della perdita di acqua, nel consolidarsi di qlc sostanza. Come, per esempio accade al pane, al formaggio, allo zucchero e al sale marino lasciati all’aria.

In certi materiali per l’edilizia (calce, pozzolana, gesso, cemento) il fenomeno dell’indurimento avviene per liberazione di Carbonato di Calcio CaCo3, e quindi per causa chimica.

Tutte ‘stu péne ce jì ‘ndustéte = Tutto questo pane si è indurito.
‘U pàcche d’u zócchere ce ‘ndòste pe l’umedetà = Il pacco dello zucchero diventa duro a causa dell’umidità.

Maliziosamente l’indurimento per eccellenza è l’erezione per eccitamento sessuale.

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Ndusté

Ndusté v.t.. = Indurire

v.t. (ausil. avere) Indurire – Rendere duro qlco.

‘U frìdde ho fatte ‘ndusté l’ugghje ind’i buttìgghje = Il freddo ha fatto indurire (rapprendere) l’olio nelle bottiglie.
‘Ndùste ‘a vöce! = Indurisci la voce = Non parlare flebilmente.

 

 

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Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre.

Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre loc.id. = Essere sfaticatro, pelandrone, svogliato, indolente, fannullone, ecc.

Alla lettera: Non raccogliere nemmeno uno stecco da terra.

Quindi, usato in terza persona: Códde ne jàveze manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre! = Costui non si sforza minimamente di collaborare.

Esiste una variante: invece dello stecco, il nostro amico non ha voglia di alzare da terra nemmeno ‘nu füle de pàgghje = un filo di paglia, una pagliuzza.

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Necchjé

Necchjé v.t. = Adocchiare

Vedere, osservare, scorgere, individuare (ad es.tra la folla) fissare qlcu o qlco, guardare con interesse o desiderio.

Quando le sartine si ponevano sedute sull’uscio della sartoria, era inevitabile che attirassero i giovinotti.. Noi ronzavamo nei paraggi per scorgere nel gruppetto le figliole più carine. A loro volta, le donzelle, senza sollevare lo sguardo dal lavoro cui erano intente (sàcce accüme facèvene!) individuavano infallibilmente quelli che necchjàvene e ridevano a testa china, apparentemente senza motivo.

Poi ho appreso che ad ognuno di noi veniva all’istante affibbiato un nomignolo, che causava la risatina più o meno sommessa del gruppetto: (senza cüle, jàmme a velózze, ricciolòtte, maškere di gòmme, occhio-magico, ciuffètte, vasciòtte, stralùnghe, ecc. ecc.).

Presumo che necchjé derivi dall’italiano “adocchiare”, per la funzione dell’occhio adoperato in questo verbo.

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Nègghje

Nègghje s.f. = Nébbia

Fenomeno atmosferico consistente in un ammasso di microscopiche gocce d’acqua, che si forma, in prossimità del suolo o sopra superfici d’acqua, quando il vapore acqueo si condensa intorno alle particelle del pulviscolo atmosferico, offuscando la limpidezza dell’aria e riducendo perciò la visibilità (Sabatini-Coletti, Vocabolario della lingua italiana).

Tutti conosciamo questo fenomeno, che fortunatamente da noi si verifica raramente. Direi più sotto forma di foschia, ossia con visibilità oltre 50 metri, che non impedisce agli autoveicoli di circolare senza inconvenienti.

Il termine uguale esiste anche in Sicilia.

Il mio impatto con la “vera” nebbia, avvenne a Torino. Scesi dal tram alla fermata prevista, e appena misi piede a terra mi chiesi: E mò? Dove vado?
Non distinguevo nemmeno le mie scarpe!… Una sensazione di completo smarrimento che mi diede panico. Per fortuna di “accodai” ai bravi Piemontesi, che si muovevano agevolmente nella caligine, fino ad un bar, dove rimasi in paziente attesa degli amici che dovevo incontrare.

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