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Pundelìcchje

Pundelìcchje s.m. = Lippa

'a mazza e 'o pivezoGioco fanciullesco antico. Qualcuno lo chiama anche mazza-jüne o anche mazzavüne. In Campania mazza e pìvezo, in Abruzzo mazz e cuzz, ecc.

Gli attrezzi necessari per questo gioco, cui partecipano due bambini, sono:

a) un bastone di legno ricavato da un manico di scopa di circa 50 cm, detta mazza. Va bene anche un’assicella piatta della stessa lunghezza;

b) un bastoncello ricavato dallo stesso manico di scopa della lunghezza di circa 15 cm con le due estremità appuntite, detto pundelìcchje= puntale piccolo, da cui gioco prende il nome.

Il gioco consiste nel colpire con la mazza ‘ u pundelìcchje, giacente per terra, al centro di un cerchio tracciato in precedenza, e colpirlo nuovamente al volo cercando di lanciarlo il più lontano possibile.

L’altro giocatore raggiunto ‘u pundelìcchje , doveva lanciarlo nel cerchio difeso dal battitore che tentava di ribatterlo nuovamente.

Se ci riusciva si scambiavano i ruoli, in caso contrario il battitore con tre colpi consecutivi (descritto come sopra) allontanava il più possibile il pezzo dal cerchio.

Dopo di che il compagno, con più difficoltà questa volta, data la maggiore distanza, doveva ripetere il lancio nel cerchio.

Per stabilire il punteggio si misurava la distanza raggiunta se l’altro non centrava il cerchio.

Allo scambio dei ruoli la si raffrontava con il risultato ottenuto dall’avversario. L’unità di misura era la lunghezza dell’assicella usata per battere.

Era consigliabile giocare fuori dell’abitato, altrimenti si rischiava di colpire qualche vetrata…

Avete notato che le regole del gioco sono simili a quelle del baseball?

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Pundètte

Pundètte s.f. = Fiocchetto, mozzone di staffile.

Precisamente si tratta del fiocchetto terminale del frustino (‘u scurriéte) usato dai carrettieri per incitare i cavalli con il suo sonoro schiocco.

Si usava dire: c’jì aggiustéte ‘na bella pundètte = Si è preso una bella sbronza.

Credo che sia linguaggio gergale dei carrettieri.

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Punèsse

Punèsse s.f. = Puntina da disegno.

Anche in italiano è a volte usato il termine per indicare le puntine utili nelle bacheche per l’affissione di avvisi o documenti.

Nell’edizione del 1968 il Dizionario dialettale napoletano fa risalire l’etimologia della parola al vocabolo francese punaise, che vuole dire cimice.    Esso riporta a seguito quanto qui è citato testualmente:

«L’associazione è dettata dal gesto che si fa per utilizzare la puntina, che viene schiacciata proprio come una cimice per essere conficcata nel legno. A sua volta il termine francese deriverebbe dall’espressione latina putire che tradotto letteralmente significa “puzzare”.

Anche qui il collegamento alla cimice ed al suo puzzo è evidente. L’attribuzione di questo nome alla puntina da disegno è fatta per una sorta di estensione analogica. Il piccolo chiodo dalla testa piatta e tondeggiante ricorda proprio la forma dell’animale.»

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Pungèlle

Pungèlle s.f. = Abitino, scapolare

Immagine sacra o reliquia che si indossa appuntata sul petto o anche, sostenuta da nastri,  pendente fra le scapole. È facile capire da questo perché viene detta scapolare, come un certo paramento  dei sacerdoti usato nell’antichità.

La devozione popolare, con un po’ di superstizione, aveva creato una specie di talismano, di amuleto, che doveva proteggere il neonato da ogni male: la pungèlle.
Questa era una specie di sacchetto spesso anche a forma di cuore (foto a sinistra), dentro il quale si ponevano alcune immaginette sacre, e poi cucito per tutto il suo perimetro per evitarne la fuoruscita.

Orlata e ricamata con amore dalla futura mamma, la pungèlle, era di colore rosa per le femminucce, e ovviamente celeste per i maschietti. Veniva inserita, previo bacio della mammina, tra le spire avvolgenti della fasciatura, prima dell’ultimo giro, in corrispondenza del cuoricino.

Ricordo che le pungèlle  a  forma di cuore venivano confezionate e cedute, in cambio di una simbolica offerta, dalle suore dell’ “Orfanotrofio Stella Maris”.

Con grande sorpresa e tenerezza qualche anno fa reperii, in fondo ad un cassetto del comò nella casa paterna, una pungèlle a forma di cuore, dal colore molto sbiadito. Sicuramente quella che mia madre usò per me, essendo io un figlio unico.

Ora non si quasi usa più perché i neonati non vengono più avvolti in fasce come una volta.  Ma vi assicuro che, in quanto a protezione da malattie,  funzionava meglio dell’ASL.

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Punié

Punié v.i. = Puntigliare, contestare, intestardirsi nella proprie idee.

Quando qlcu puniöje (3a pers.sing.) raramente desiste dalle sue convinzioni, anzi contesta categoricamente qls altra ipotesi. Insomma costui è puniüse,fondamentalista convinto e intrattabile.

Sinonimo ‘nguccé= ostinarsi, intestardirsi in modo quasi irragionevole.

Ritengo che derivi dal latino in pugnare, ossia ‘combattere contro’ = impugnare. Un termine giuridico con il quale un soggetto chiede al giudice di eliminare o modificare una sentenza o una Proceduta ritenuta non corretta.

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Puniüse

Puniüse agg., s.m.= Puntiglioso

Chi o che mostra sempre ostinazione, caparbietà, contestazione per partito preso.

Difficilmente cambia parere, convinto della bontà delle proprie scelte o opinioni.

Credo che derivi dal latino in pugnare = impugnare, nel senso giuridico di combattere contro. Potrebbe anche derivare da ‘opinione’, nel senso che il soggetto non cambia il suo modo di vedere, è fedele alla sua opinione.

Sinonimo: pruffidjüse

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Pupatèlle

Pupatèlle s.f. = Succhiotto di emergenza.

Quando il poppante casualmente non può rientrare in tempo a casa propria per la poppata, gli si propinava una ingegnosa trovata per tenerlo a freno calmandogli i morsi della fame.

In pratica di poneva un cucchiaino di zucchero, reperibile in tutte le case delle amiche di mammà, in un fazzolettino e lo si legava dall’esterno come una pallina.

Posta leggermente inumidita in bocca al bambino affamato, questa pallina – la nostra pupatèlle – lentamente rilasciava lo zucchero che si scioglieva per effetto del suo succhiare.

Il dolce dello zucchero lo calmava immediatamente e i morsi della fami si attenuavano notevolmente. Mammà aveva il tempo di rientrare con pupo calmo e senza che facesse gli strìseme

In napoletano esiste un termine simile: ‘a pupàta: che le facciano più grosse?

Ricordo una canzone di Renato Carosone che nomina la dolcezza della pupata:

Tu quanne passe
me faje venì ‘na mossa,
oj vocca rossa,
che sfizio ‘e te vasà.
Si’ ‘na pupata,
e tutto ‘o vicinato
suspira e fa:
“ah, sei ‘na bontà”!

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Püpe

Püpe s.f. = Bambola

Pupazzo di materiale vario rappresentante una bambina o una donna, usato come giocattolo soprattutto femminile.

Spesso viene usato il diminutivo, date le dimensione della bambola,

Al maschile fa puparjille = bambolotto
Al femminile fa puparèlle = bamboletta

‘A püpe de pèzze = La bambola di stoffa.
Era brutta, di pezze vecchie imbottite di cartacce. Non so cosa ci trovassero di divertente in esse le bambine! Forse lo stesso trasporto che avevamo noi maschietti con la “palle de pèzze” = la palla di stracci, con la quale giocavamo interminabili partite di calcio alla “Terra gialla” come se fossimo allo stadio con un vero pallone da foot-ball.

A püpe de l’Incurnéte = La bambola dell’Incoronata.
«Pupattola in cartone pressato di colore bianco e nero, quasi un troncone senza gambe e braccia e con la testa appena
abbozzata, più simile ad una colomba o ad una mummia. Conteneva alcuni sassolini che, scuotendola, risuonavano.  Si vendeva – insieme al tamburino di latta, e al cavalluccio di cartone con base in legno a rotelle – sulle bancarelle che circondavano il Santuario dell’Incoronata presso Foggia»

A mio parere era ancora più brutta della püpe de pèzze ed era destinata alle bimbe piccoline, cui piaceva più come sonaglino che come bambolina poco antropomorfa.
Me la ricordo perché da bambino, diciamo poco prima del 1950,   mentre puntavo al Pulcinella che batteva i piatti,  sulle bancarelle dell’Incoronata l’ho vista ed ho anche sentito il suo suono sordo perché qualcuno la scuoteva come una improbabile maracas.

(La precedente descrizione virgolettata della Pupa dell’Incoronata  è stata attinta dal “Dizionario dialettale cerignolano” di Luciano Antonellis- LEONE Editrice-Foggia 1994)
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Puperéte

Puperéte s.m. = Taralli dolci.

Taralli dolci, speziati con cannella e chiodi di garofano dall’impasto duro e compatto.

Talvolta l’impasto contiene il vünecùtte = vino cotto, o meglio mosto cotto. I puperéte allora assumono una colorazione più scura.

Quando si vuole rimarcare la carnagione scura di qlcn, si dice: assemègghje a ‘nu puperéte (o a ‘nu taràlle) de vünecùtte = somiglia a un tarallo impastato con il mosto cotto.

Si preparano in tutti i paesi Garganici. Chiamati pi\ o meno uguali>
A San  Severo Puperete
A Foggia Pupurati o Peperati
A San Giovanni Rotondo Prupate.

I negozianti di Monte Sant’Angelo hanno inventato per i  turisti il termine “popirati”. Lo sottoponiamo all’Accademia della Crusca?

(foto da il sipontino.net)

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Puppéte

È corretto anche l’omofona appuppéte (=’a puppéte. l’appuppéte).

Danno procurato da un imbroglione, inganno

Puppéte de cüle = fig. Girata di spalle. Virata di poppa. Dare una fregatura

Fé ‘a puppéte significa fare un ‘bidone’, non pagare un debito, non mantenere un impegno.

Origine locale del “detto”: Si tratta di un plateale gesto di una vecchietta che, per le sue ristrettezze economiche, era costretta a comprare ”a credenze” i generi di prima necessità.
Al bottegaio – che le chiedeva il saldo del conto in preoccupante crescita – lei volse le spalle, sporse le terga verso di lui, come per offrirsi sessualmente, e gli disse: “Tèh, pìgghjete pajéte!” = “Tieni, pàgati il tuo credito”, e scappò via tra lo sbigottimento del commerciante, rimasto a bocca aperta, e le risate degli altri clienti presenti nel negozio.

Un’autentica appuppéte de cüle.

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