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Ruffeléte

Ruffeléte s.f. = Folata, sbuffo, raffica di vento.

Il termine è specifico, e per quanto superfluo, si accompagna al complemento “de vjinde” = di vento. 

In sostantivo italiano “refolo”, da cui potrebbe derivare, dà l’idea di una brezza piuttosto piacevole.
Invece è più probabile che ruffeléte sia un rafforzamento di  “folata”, che già di per sé descrive un’azione improvvisa e piuttosto irruente.

‘Na ruffeléte de vjinde forte ò fatte rublaté ‘a varche = Una intensa folata di vento ha fatto rovesciare la barca.

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Rumanì

Rumanì v.i. = Restare

Trattenersi in un posto; fermarsi senza procedere, non stare al passo con altri.

Rumjine allà, nen ce venènne! = Resta lì, non venire
Löre ce ne sò jüte e jüje sò rumàste ‘ngambàgne = Loro se ne sono andati e io sono rimasto in campagna.

Significa anche “restare di stucco” o come dicono i giovani di oggi, “restare basito”, rimanere perplesso, sorpreso, allibito.
Sono tutti sottintesi: si dice solo il verbo rumanì coniugato a seconda delle circostanze.

Quànne me decètte ca l’jöve mòrte ‘a megghjöre jü sò rumàste! = Quando mi disse che gli era morta la moglie, restai allibito (senza parole, di sasso, di stucco, come un fesso).
Il p.p. rumaste si può anche dire rumése

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Rumanì a pendöne

Rumanì a pendöne loc.id. = Rimanere nubile/celibe

La locuzione Rumanì a pendöne (probabilmente) va tradotta con “restare all’angolo della strada o di un edificio”, ossia non avere una casa, un nucleo familiare.
Forse anche “rimanere penzoloni”, come dire restare in sospeso, ma con scarse possibilità di ottenere una sorte migliore.
Difatti (clicca) pendöne indica l’estremità di un muro, il bordo di un baratro, il margine di un precipizio.

Parlo di quando l’avvento della emancipazione femminile – che le avrebbe rese economicamente indipendenti – non era ancora nemmeno immaginabile. All’epoca il matrimonio era visto dalle ragazze come l’unica e indispensabile via per il loro futuro sostentamento.

È un ‘espressione un po’ amara che si riferiva specificamente ad una ragazza che non era riuscita a convolare a nozze, a crearsi una famiglia, per le ragioni più disparate.
Per esempio per i suoi trascorsi sentimentali molto burrascosi, o per difficoltà caratteriali, o per l’aspetto fisico non invogliante, ecc.

Era rivolta anche ai maschietti, ma qui il celibato è visto come una conseguenza di vari tentativi falliti, o come forma mentis ostile ad assumersi responsabilità familiari, o come innata misogina. Salvo poi, in età avanzata, a pentirsi della loro scelta della cosiddetta “libertà” che li ha infossati in una incolmabile solitudine.

Per contro esiste anche una incoraggiante locuzione (clicca qui) Nescjüna carne ruméne alla vucciarüje

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Rumanì jómme

Rumanì jómme loc. id. = Rimanere a bocca asciutta

Alla lettera significa restare all’olmo. Che c’entra l’olmo?

Nel gioco della passatella, in dialetto chiamato “patrüne e sòtte” = padrone e dipendente (sottostante), alcuni giocatori bevevano il vino, ma uno solo, per scelta dispettosa del capriccioso “padrone” dopo il suggerimento del “sotto”, doveva rimanere a bocca asciutta.

L’olmo nelle antiche colture vitivinicole, era quella pianta destinata a sostenere i tralci della vite. Poiché l’olmo non produce il vino, il malcapitato giocatore preso di mira non poteva bere il succo della vite, ma il ‘niente’ prodotto dall’olmo.

Questo gioco talvolta finiva a risse e non poche volte a coltellate!

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Rumanì pe summènde

Rumanì pe summènde loc.id. = Serbare per la riproduzione

Generalmente la locuzione designa il pollame che non veniva macellato, ma era messo da parte per servirsene in seguito per la riproduzione.

Era considerato un pennuto sano e vigoroso, e perciò tenuto in riserva.

Quando qlc giovanotto faceva lo spaccone, evidenziando le sue doti e decantando le sue mirabolanti prestazione, qlcu commentava sarcasticamente: Sì, l’amma rumanì pe summènde = Sì, lo dobbbiamo serbare per la riproduzione

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Rumanì tra vèspre e mezzjurne

Rumanì tra vèspre e mezzjurne loc.id. = Restare fra il Vespro e il Mezzogiorno

Da tempi immemorabili gli ecclesiastici scandiscono la loro giornata col preghiere secondo le cosiddette Ore Canoniche (Mattutino, Lodi, Vespri, Compieta).
Il Vespro, linguisticamente, significa sera.

Insomma dal vespro al mezzogiorno successivo intercorre un lasso di tempo molto lungo, immagino noioso o carico di tensione.

La locuzione descrive figuratamente uno stato di disagio, di incertezza, di titubanza nel prendere una decisione importante, temendo di sbagliare.

Ringrazio Umberto Capurso por il suo suggerimento, che mi ha permesso la stesura di questo articolo.

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Rumbamjinte

Rumbamjinte s.m. = rottura, seccatura, fastidio, disturbo.

In italiano esistono alcune locuzioni per questa situazione:
c’è quella pulita: “rottura di scatole”;
poi c’è quella più colorita “rottura di balle”;
infine quella triviale “rottura o rompimento di palle” (scusate).

Il dialetto usa “rottura” nella forma letteraria/arcaica di “rompimento”.
Il nostro sostantivo rumbamjinte (che rumbamjinte! ‘nu rumbamjinte!) da solo – per merito della nota capacità di sintesi del nostro dialetto – riesce ad esprimere anche quello che non si enuncia.
Non c’è bisogno di specificare compiutamente, anche se sottaciuto, che cosa va in rottura.
È ovvio, sottinteso, fatale.

Storiella finale.
Un impiegato imbranato, si rivolgeva attraverso il telefono con molta frequenza quotidianamente ad un suo collega per chiedere chiarimenti, ritocchi, consigli, procedure, ecc.
Questo collega, durante uno dei tanti martellamenti, lo blocca, e gli dice:
-«Aspetta! Hai un foglio? Prendi appunti!…. Scrivi in stampatello: “LA PITTURA”»
-«OK, l’ho scritto: e adesso?»
– «Adesso leggilo da destra verso sinistra!»

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Rüme sotta vjinde

Rüme sotta vjinde loc.id. = Indifferenza

La locuzione “venì p’u rüme sottavjinde” alla lettera significa: Venire con il remo sottovento.

Si dice così perché, secondo la mia opinione (opinabile), il remo posto di taglio, non oppone alcuna resistenza alla forza del vento, e si insinua facilmente nel flusso d’aria.

In realtà vuol dire: ostentare indifferenza mentre si ha le orecchie tese; inserirsi quasi distrattamente tra alcune persone riunite, fingendo di non porre alcuna attenzione ai loro discorsi, dissimulando indifferenza.

Quando qlcu se ne accorge lo affronta di petto: Mò te ne vjine per ‘stu rüme sottavjinde e vjine a sènde i càzze nùstre! = Adesso ti avvicini con il tuo fare indifferente e vieni ad spiare le nostre opinioni.

 

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Rùnghe

Rùnghe s.m. = Grongo

Grongo (Conger conger). Pesce di mare. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. È molto comune nei mari italiani. Si incontra da profondità minime, di pochi centimetri fino a 300 metri.

Il grongo vive negli anfratti rocciosi dai quali esce di notte per cacciare. Una volta insediatosi in una tana è raro che si allontani da essa. Esclusivamente carnivoro si ciba di invertebrati (è un grande cacciatore di polpi) e di pesci. Non disdegna i pesci morti.

Il corpo, di colore grigio e con il ventre bianco, ha l’aspetto tipico degli Anguilliformi ma è più massiccio e potente. È liscio, senza scaglie.

Questo pesce può raggiungere dimensioni gigantesche: fino a tre metri per 70 chilogrammi con un diametro del corpo pari a oltre 20 centimetri ma di solito non misura più di un metro. Le femmine sono molto più grandi dei maschi.

Quelli pescati in Adriatico e che arrivano sulle nostre bancarelle non superano i 50 cm. Deliziosi preparati in umido.

Stranamente, runghe era usato come aggettivo, appioppato a persone avare e venali.
Quantunque il pesce abbia buone qualità il raffronto è tuttavia coerente, perché entrambi mostrano di avere una grande voracità.

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Rüsce

Rüsce s.f. e s.m.= Carbonella, refolo, baldanza

1) Rüsce, s.f. = Sminuzzatura di carbone di legna, usata specificamente per ottenere rapidamente l’accensione e per alimentare il braciere. Mette a cènere söp’a rüsce = Coprire la carbonella con la cenere (così dura più a lungo).

2) Rüsce, s.m. = Alito di vento leggero, foriero del successivo rapido rafforzamento.
Mò ce jàveze ‘u rüsce = Ora si solleva una refola di venticello.
In ambiente marinaresco chiamano ‘u rüsce anche il rumore della risacca.

3) Rüsce v.i. = Prebollire, borbottare dell’acqua in pentola prima che inizi a bollire.
. Il verbo è difettivo, e viene usato solo alla terza persona singolare dell’indicativo presente.
A Cerignola pronunciano rousce (probabile derivazione dal latino rugire)

4) Rüsce s.m. = baldanza, spavalderia, disinvoltura.
È un termine decisamente desueto sentito solo recentemente e per caso. Non conoscendone il significato ho insistito per farmelo spiegare.
Indica la tracotanza dei ragazzotti per compiacersi del proprio fisico, specie in presenza delle pulzelle, perché diventi un’attrattiva per esse. Roba da palestrati che evidenziano la propria muscolatura come fanno i pavoni quando esibiscono a ventaglio la loro variopinta coda.
Le doti intellettive, ammesse che ci siano, restano chiuse nella loro scarsa scatola cranica.

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