Facce-canìgghje 

Facce-canìgghje s.inv. e agg. = Lentigginoso

Persona che ha la pelle cosparsa di lentiggini.

Le efelidi o lentiggini sono delle piccole macchie di colore giallo-bruno che si manifestano generalmente sulla pelle di persone di carnagione chiara e con capelli biondi o rossi.

Per similitudine vengono chiamate canìgghje perché le lentiggini sono simili nella forma e nel volume, proprio alla alla crusca.

Töne ‘a facce-canìgghje = Ha la faccia (e il corpo) lentigginoso.

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Fàcce-a-ppröve

Fàcce-a-ppröve loc.id.= Confronto diretto. chiarimento, controprova,.

Raffronto vis-à-vis tra due o più persone allo scopo di chiarire un equivoco,  un malinteso. Normalmente con intento pacifista.

Talvolta, più seriamente, per smascherare un bugiardo o individuare l’autore di qualche azione riprovevole. In questo caso raramente la cosa finiva lì. Una zuffa era già preventivata, faceva parte inevitabilmente del rituale combattivo del faccia-a-faccia.

Dopo gli anni ’60, non si avvertiva più la necessità di ricorrere a questo confronto  poiché il menefreghismo aveva cominciato a prevalere sulla suscettibilità personale, causa di dissidi e conflittualità insanabili.

Ora fortunatamente non si usa più contrapporsi con animo battagliero. Tizio ha detto su di te una cosa inesatta? E chi se ne frega!

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Fàcce de càzze

Fàcce de càzze loc.id. = Sfrontato

Scusate l’espressione colorita…

È usata correntemente in dialetto per definire qualcuno dalla faccia di bronzo, sfrontato, sfacciato, arrogante, insolente, impertinente, irriverente.

Le donzelle bene educate dicevano eufemisticamente: uhé, fàcce de cùrne! = ehi, faccia di corno!

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Fàcce 

Fàcce s.f. = Viso, volto, faccia.

Parte anteriore del volto umano, dalla fronte al mento.

I modi con cui è combinato il termine porta a numerosi significati, a varie sfaccettature (a proposito di faccia), perché si presta a una ricca polisemia.

Per esempio:

  • Pèrde ‘a facce! = Essere sfacciato, senza ritegno.
  • Nen tenì a facce ‘mbacce = Non vergognarsi.
  • Mètte ‘a facce ‘ind’u ruagne = Provare profonda vergogna.
  • Faccia möje! = Sentire profondo imbarazzo o disagio.
  • Che facce ca tjine! = Ma non hai ritegno a fare certe richieste?
  • Alla faccia töje = Detto a dispetto verso un invidioso.
  • Fàcce-a-pröve = Confronto diretto per verificare una divergenza
  • Tenì fàcce = Essere sfacciato
  • Nen tenì fàcce = Non agire per timidezza
  • Fé döj fàcce = Essere falso
  • Jèsse faccia storte = Mostrarsi ambiguo
  • Fé a faccia storte = Non nascondere un insuccesso, un’umiliazione.
  • ‘Mbàcce = In faccia, di fronte, a cospetto
  • Menarece ‘mbàcce = Inveire, reagire con improperi anche per una inezia.
  • Fé ‘mbacce ‘u nése = Eufemismo, per un sonoro vaffa..
  • Tenì ‘a facce de càzze = Essere privo di ritegno nelle richieste esose o reiterate.

Chissà quante “facce” mancano ancora all’appello!

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Evògghje 

Evògghje avv. = Certamente, Sicuro, Altroché, Magari

Esiste ancora l’antica variante “Avìsse vògghje!” = Avessi tu tanta voglia (di farlo), volessi farlo! Potrai avere pieno soddisfacimento.

E’ una risposta ovvia e positiva ad una qualsiasi domanda proveniente dall’interlocutore.

Giuà, te piàcene i ciammarüche? Evògghje! = Giovanni ti piacciono le lumache? Altrochè!

Ma a ‘stu pajöse ce jüse a ballé de Carnevéle? Avìsse vogghje! = Ma a questio paese si usa ballare a Carnevale? Avessi tu voglia (di ballare)!

Canusciüte alla mamme de Frangische? Evògghje! = Conoscete la madre di Francesco? Certamente.

Talvolta, usato in antifrasi, esprime ironicamente una risposta di significato opposto.
Mattöje ce jàveze sóbbete a matrüne? Evògghje…= Matteo si leva presto la mattina? Certo!

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Èrve 

Èrve s.f. = Erba

Erba in genere.

Si intende principalmente quella spontanea dei prati sulla quale si mandano a pascolare le bestie o per ricavarne biade.
I pascoli coltivati a scopo foraggiero, producono l’èrva mèdeche = erba medica(Medicago sativa)

Le erbe campesti raccolte per uso commestibili (rucola, bietoline, cicorie, borragine ecc.) sono chiamate genericamente fògghje (non fronne) = foglie.

Il termine generale include anche le alghe che finiscono nella rete a strascico nelle batture di pesca.

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Érre-ghjàh!

Érre-ghjàh! escl. = Arri indietro!

Incitamento rivolto agli animali da tiro o da soma per farli arretrare nelle manovre di accostamento al punto di scarico, o per posizionarli fra le stanghe del carretto.

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Énótele 

Énótele agg. = Inutile, è inutile.

Che non offre alcun vantaggio, che non è di alcuna utilità;
riferito ad un attrezzo: che è inservibile;
riferito a una persona: che è un fannullone, meschino, gretto, inadatto a vivere nella società.

Enótele ca parle. Jüje fazze a chépa möje = È inutile che parli. Io agisco di testa mia.

I ragazzi moderni pronunciano inótele, in forma simil-italiano. Lo accettiamo?

Tenghe jind’u garéce ‘na fatte de scerpetìgghje inótele = Ho nella rimessa una serie di oggetti inutili.

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Enjinde 

Enjinde inter. = Non è cosa da niente!

Esclamazione di stupore, di incredulità, come per dire: “è niente al confronto”, “non hai idea di come sia”, “non c’è niente di simile”, ecc.

Agghje vìste ajire n’àrve de castagne. Enjinde quant’jöve jìrte = Ho visto ieri un albero di castagne. Non hai idea di com’era alto.

Con lo stesso significato si dice anche Éfèsse jì = non è cosa da nulla, è ben rilevante.

Efèsse jì, cüme böve Giuanne: jì proprjo ‘nu ‘mbriacöne! = Accidenti come beve Giovanni: è proprio un ubriacone.

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Ènece

Ènece s.m. = Èndice, nidiandolo, guardanidio

Voce del latino indicem, da indicàre, nel senso generico di ‘cosa che indica’.

Uovo di marmo che le nostre contadine ponevano nel nido delle galline, con lo scopo di mostrare alle brave pennute dal minuscolo cervello, il luogo dove deporre le altre uova.

Era necessario fare questo perché, allevate in regime di semi-libertà, ruspanti per l’aia, le galline deponevano le uova dove capitava.

Bisognava poi cercare le uova sparse in giro, col rischio di non scovarle tutte, per la gioia dei cani, o dei topi di campagna, o dei serpenti a danno della propria dispensa.

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