Credo che il termine škenjille derivi da “schiena” nel senso di schiena delicata, tanto fragile da non potersi piegare alla fatica, né svolgere qualsiasi attività fisica…
Altri lo fanno derivare dal latino ex chinatum = che non può stare chinato, poverino. Non può nemmeno stare davanti a un Computer.
Al femminile è škenèlle.
Anticamente erano pronunciati škenjidde e škenèdde, (come è in uso tuttora a Monte S.Angelo, in molte località garganiche e perfino a Cerignola)
Che si comporta in maniera irritante, indisponente, per ripicca.
Evògghje a chjamé, Giuànne fe sèmbe ‘u šcattüse = È inutile chiamarlo, tanto Giovanni si comporta sempre in maniera dispettoso, e percio non si avvicinerà mai.
Credo che voglia alludere al fatto che ti fa “crepare” (škatté) ma non muove dito per assecondarti.
Taluni, di bocca fine, dicono škattüje, ritenendo troppo plebea la pronuncia originale.
Crepitio, scoppiettio caratteristico dell’olio o degli alimenti cotti a fuoco vivo.
Lo sfrigolio continuo proviene dalla padella quando si friggono i pesci. Se si friggono le seppie il crepitio può manifestarsi in scoppi e schizzi di olio bollente per la presenza di acqua nel mollusco.
Mi viene in mente la storiella del lestofante che al mercato acquistò dell’olio pagando con soldi falsi..
Mentre l’acquirente si allontanava, contento per aver buggerato il commerciante, pensò:
-«Mò ca scange, adda sènte ‘u chjanda-chjande!»
Dal canto suo il venditore, contento di aver smerciato olio adulterato pensò
-«Mò ca früje, adda sènte lu škattüsce!»
Era un gioco infantile poverissimo che si svolgeva a coppie.
Si raccoglieva del fango, possibilmente argilloso, dopo una pioggia e si facevano due parti rigorosamente uguali per i due contendenti.
Con esso ognuno dei due plasmava una piccola tazza e alternativamente la sbatteva sul marciapiede con i bordi in giù: l’aria inglobata, per l’urto, faceva “sculacchiare” il fondo con un piccolo botto “pah!”(’u škattille).
L’avversario allora doveva togliere un pezzo del suo impasto, fare una pezza, e chiudere la lacerazione provocata dallo schiatto. Si rimpastava tutto e si ricominciava. Vinceva chi faceva i buchi più grossi al proprio manufatto in modo da costringere il contendente a ridurre sempre più il suo malloppo di fango.
Se l’impasto si asciugava…beh, una sputacchiata o due ogni tanto lo ammorbidiva convenientemente.
Immaginate le condizioni igieniche: fango raccolto dalle strade, battute da galline, asini, pecore e capre. Gli sputi erano la parte meno inquinante del cocktail della nostra “plastilina”.
Meno male che noi monelli di strada all’epoca avevamo gli anticorpi congeniti nel nostro DNA, altrimenti non staremmo qui a raccontare come si giocava allo škattjille.
Battere fragorosamente le mani per manifestare consenso e ammirazione.
Acclamare in segno di assenso un oratore al termine del suo discorso, un’esibizione musicale, strumentale e/o vocale, teatrale, artistica, sportiva, di ballo, ecc.
Trovo un po’ stucchevole la moda recente di šcattjé ‘i méne alla salma, al termine del rito funebre.
Tutte quande hanne škattjéte ‘i méne a Luciéne = Tutti hanno applaudito Luciano.
Škatté (o šcatté) ‘u föleloc.id. = Far crepare d’invidia qualcuno, indispettire, irritare.
Locuzione molto pittoresca rivolta col pensiero agli invidiosi.
Costoro si rodono e soffrono di un sentimento astioso verso gli altri nel benessere, verso ciò che reputano il loro pregio o le loro fortune.
Questo sentimento, viene percepito dalla persona invidiata come influsso demolitore.
Ecco che, quale “contromisura”, l’invidiato esegue una serie di scongiuri (palesi o anche occulti), come il “toccamento” di cornetti rossi o di una parte di se stesso che non sto a nominare, la mostra del pugno con l’indice e il mignolo sollevati, ecc.
Te jà škatté ‘u föle! = ti devo crepare la bile (perche ti roderai inutilmente a causa dell’invidia, perché tu sei impotente contro la mia fortuna, il mio benessere, la mia bellezza, ecc.).
Significa in pratica, in casi meno gravi, comportansi con assoluta indolenza.
Materialmente škatté ‘u föle è un infortunio che capita a coloro che puliscono le seppie e accidentalmente rompono la vescichetta dell’inchiostro.
Škatté o (šcatté) ‘u cüle ai mangiulèchjeloc.id. = Picchiare (del sole)
È un termine di paragone per dire che il caldo è così torrido che fa crepare il culo perfino alle lucertole, che pure sono veloci nello spostarsi sul terreno arroventato dalla calura estiva.
Che jéte facènne? Sté ‘nu söle ca škàtte ‘u cüle ai mangiulècchje! = Siete sventati! C’è questo sole che picchia forte e voi andate in giro?
Sant’Andònje, che càvete! Fé škatté ‘u cüle ai mangiulècchje! = Sant’Antonio, che caldo! È talmente caldo da far scoppiare!
Notate che quando fa caldo, almeno i nostri genitori nominavano Sant’Antonio (perché la ricorrenza di questo Santo è di giugno), e non ad es. San Nicola che viene di dicembre.
Soggetto forzuto, capace di rompere, spezzare, spaccare con forza e violenza.
In effetti un certo Michelino Rinaldi era capace di prendere in braccio un vitello come si prende un bambino.
Verso la fine degli anni ’50 il “Comitato per la Festa Patronale” organizzò una serata di boxe all’interno dello stadio Miramare di pugili locali contro quelli foggiani.
Michelino Škattàzze, peso massimo, e Mario Carbone, peso medio, ai poveri Foggiani rifilarono tante di quelle batoste…che se le ricordano ancora oggi dopo tanti anni.