Scazza-pedócchje

Scazza-pedócchje  sopr. = Schiaccia pidocchi

Dovrebbe essere una persona dedita a questa attività scimmiesca.

Mestiere improbabile. Sembra un autentico sfottò.

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Scavezachéne

Scavezachéne s.m. = Scalzacani, miserabile, poveraccio.

Può significare anche “persona poco valida dal punto di vista professionale”.

Penso subito a suonatori principianti senza talento e a quelli che sanno decantare la loro abilità solo a parole. Millantatori.

Il termine scalzacane, o anche al plurale scalzacani, dispregiativo allo stato puro, fu introdotto nella lingua italiana addirittura da Pietro l’Aretino (1492-1556). Secondo un’ ipotesi del dizionario etimologico Cortelazzo-Zolli, «scalzare» significa anche «scalciare, tirar calci», quindi «scalzacane» sarebbe colui che tira calci ai cani e che sa fare solo quello.

Lo troviamo in tutti i dialetti d’Italia, ognuno con la sua pronuncia tipica.

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Scavetatjille

Scavetatjille s.m. = Scaldatello

È corretta anche la versione scavedatjille.

Biscotto salato al finocchietto, tipico della Puglia e della Basilicata.

In quest’ultima Regione, a Potenza,  sono conosciuti come “òssere de muórte” = ossa di morti, perché al tatto e al colore sembrano ossa… umane.
Per ottenerli croccanti bisogna impastare la farina con acqua, olio di oliva, semi di finocchio e sale.
Se ne ricava un cannello lungo che viene tagliato a circa 18 cm.
Ognuno di questi segmenti viene acciambellato.
Quando tutti le ciambelle sono confezionate vengono prima sbollentate, poi scolate e messe ad asciugare su un canovaccio.
Dopo di che vengono disposte in una teglia larga (detta ‘a ramöre = la lamiera) per la successiva cottura in forno.
Il nome dei biscotti, usato generalmente al plurale (i scavedatjille = gli scaldatelli), deriva dal fatto che sono stati scavedéte = bolliti.Ottimi quelli del tarallificio “Nella” Scusate la pubblicità, ma sono proprio uguali a quelli che faceva mamma mia jìndrechése.

Nel resto della Puglia, oltre a quelli classici ai semi di finocchio, si producono anche  quelli al pepe, al peperoncino, alla salvia, al timo o alla maggiorana, e di formato mignon, a nodini o treccine.
Insomma la fantasia non manca ed il loro successo è indiscusso.

(foto tratta dal sito: www.destinazionegargano.it/)

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Scavedé

Scavedé v.t. = Bollire, cuocere, lessare

Far cuocere del cibo in liquido bollente.

I fabbri usano questo verbo, o il similare cavedjé, per indicare l’azione di porre un ferro nella brace della forgia per renderlo incandescente e poterlo battere fino alla forma desiderata.

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Scasé

Scasé v.i. = Traslocare

Portar via i mobili e le masserizie da una casa per andare ad abitarne un’altra.
Attualmente per traslocare possiamo avvalerci di Aziende specializzate che usano autocarri imbottiti e che dispongono di imballatori e stivatori  espertissimi.
Una volta, per i traslochi nella stessa città,  si noleggiava dal carradore un carrettino spinto a braccia e si impegnavano tutti i membri della famiglia per smontare-caricare-trasportare-scaricare-rimontare le poche masserizie delle modeste abitazioni di una o due stanze ubicate quasi tutte a piano terra (i cosiddetti “sottani”).

Esiste il sost. ‘Nghése e schése= alloggia-trasloca, per definire qlcn che cambia spesso casa perché sfrattato per morosità. Un poveraccio insomma.

Códde jì ‘nu nghése e chése = costui non ha fissa dimora, è uno sventurato, sfrattato per morosità.

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Scarpiöne

Scarpiöne s.m. = Geco

Il geco (Tarentola mauritanica) è un piccolo rettile simile a una lucertola, appartenente alla fam. dei Geconidi di color grigiastro o bruno, innocuo e insettivoro.

Ha abitudini notturne. Ha caratteristiche dita a spatola munite di lamelle adesive che gli permettono di arrampicarsi sulle pareti e muoversi velocemente.

Tipico delle zone temperate mediterranee. Era erroneamente ritenuto velenoso per il suo aspetto orripilante, molto diverso dalle fattezze aggraziate e guizzanti della mamàngele =  lucertola.
Difatti di qlcu che non aveva una sembianza aggraziata, si diceva: Jì ‘nu scarpiöne = È brutto come un geco dei muri.

In Campania è detta lacerta ‘mbracedata (lucertola guastata, corrosa).

Il geco comune si trova nelle abitazioni situate in ambienti caldi e umidi. Visto che è un rettile innocuo, è bene non allontanarlo poiché si nutre di insetti fastidiosi per l’uomo come falene, mosche, moscerini e zanzare.

Nulla a che vedere con lo scorpione velenoso cui assomiglia solo nel nome.

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Scarpasciùlte

 Scarpasciùlte sopr. = Scarpe sciolte

Persona che procede a piedi con le scarpe slacciate.

O non sapeva fare il nodo alle stringhe, o era distratto, e camminava sempre con le scarpe slacciate, forse a causa del collo del piede troppo alto: a rischio di sbattere il naso per terra in una inevitabile caduta.

Nota linguistica: in dialetto vero si dovrebbe dire scarpe assugghjüte. C’è influenza del dialetto foggiano. Forse per le origine del nostro amico.

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Scarièlle

Scarièlle s.f. = Tarallo pasquale

Le scarièlle sono confezionate con farina, zucchero e uova. L’impasto viene tirato a ciambella, cotta al forno nella solita ramöre larga imburrata.

In Terra di Bari e nel Salento le chiamano scarcelle o anche scarcedde.

Le ciambelle, larghe anche 20 cm, vengono spalmate di giulebbe (impasto cremoso di chiare d’uovo montate a neve e abbondantissimo zucchero) e cosparsi di confettini colorati.

In tal modo diconsi ‘ngeleppéte = glassate

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Scarfògghje

Scarfògghje s.f. = Tegumento

[da Wikipedia: In biologia e anatomia, viene genericamente definito tegumento qualsiasi membrana o tessuto di varia natura che svolga una funzione di rivestimento e protezione di un organo o di un intero organismo].

Specificamente in dialetto si definisce scarfògghje quella pellicola vegetale che ricopre ogni strato dei bulbi in genere: di cipolla, di muscari (lambasciüne). Al plurale la “o” si pronuncia stretta: ‘i scarfógghje.

La pellicina interna è piuttosto morbida, quasi diafana.

Quella esterna quando la cipolla viene appena sterrata è ancora umida. Dopo un po’ si asciuga, protegge gli strati inferiori, ma è ugualmente sottile e fragile.

Gli anziani spesso ci dicevano che la nostra vita va riguardata perché essa è fragile e delicata come ‘na scarfògghje di cipolla. Era l’immancabile invito alla prudenza, che partiva da persone considerate sempre maestri di vita, un’importente fonte di insegnamento per noi ragazzi della nostra epoca.

Questo monito sarebbe quanto mai necessario adesso, verso la gioventù moderna che non riconosce alcun punto di riferimento morale, e si lascia andare, cedendo alle lusinghe dell’alcol, della spericolata velocità, dai rave-party, dalla droga… La cultura della morte, non della preziosa e irripetibile vita.

Mi voglio fermare qui: io mi devo occupare solo della parte letteraria di questa rubrica, senza sconfinare (troppo) in altri campi! Sono partito dalla foglia di cipolla e sono aapprodato nell’etica.

Ringrazio Tonino Starace per il suggerimento di scarfògghje.

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Scardapèlle

Scardapèlle s.f. = Pesce salato o essiccato

Generalmente i nostri nonni si riferivano a sardine e alici sotto sale.

Questo procedimento di conservazione – strati di acciughe e strati di sale tenuti sotto un peso per favorirna la fuoriuscita di liquido – disidratava i pesci li rendeva quasi solo pelle e lisca.

Credo che ìi scardapèlle siano le sardine e le alici che hanno superato il punto giusto di frittura, e quindi involontariamente diventate croccanti, a causa della riduzione dello spessore del filetto attaccato alla lisca centrale.

Figuratamente in forma aggettivata scardapèlle designa una persona molto magra. Come dire: pelle e ossa.

Ringrazio il lettore Amilcare Renato per il suggerimento.

Invito i lettori a replicare  qualora avessero una definizione più azzeccata.

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