Caccamamöne 

Caccamamöne s.m. = Decalcomania

Caccamamöne era la deformazione dialettale di “decalcomania”, cioè un’immagine che si trasferiva per via umida dalla carta ad un’altra superficie.

Ricordo che tutti i negozietti avevano  sul vetro un’immagine gialla, ellittica verticale, che raffigurava un galletto nero; proprio sotto le zampe del galletto c’era scritto “Tana-la crema fine per calzature”.

Si vendevano anche delle piccole decalcomanie, ad uso dei bambini, che trasferivano le immagini a colori di personaggi dei fumetti.

Si immergeva per qualche secondo in acqua la figurina per attivare lo strato di colla (non esisteva la colla chimica) e si applicava su un libro, su un braccio, dove si voleva, e poi piano piano si staccava la carta esterna bagnata.

Lo strato interno con l’immagine, durante questa operazione di distacco, a volte si deformava, e così essa risultava alterata e distorta.  Ecco perché, per estensione, era definito caccamamöne qualcuno con un volto un po’ irregolare: insomma una persona che non aveva proprio una bella faccia.

Le decalcomanie per via secca, molto diffusi negli anni ’70, erano chiamati trasferelli. Ricordate le lettere e i numeri che ‘trasferivamo’ sui quaderni adoperando la bic?

Esistono anche, ad uso delle ricamatrici, delle decalcomanie per via calda che si applicano sulla stoffa usando il ferro da stiro.
Si trovano  tuttora in edicola nella prestigiosa rivista “Mani di Fata”.

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Cacàzze 

Cacàzze s.f. = Paura

Paura, spavento, panico, timore, terrore, tremarella, ecc.

Modi di dire:

“Ce sime pigghjéte ‘na cacàzze!…” = Abbiamo preso uno spavento!

Ce n’jì scappéte p’a cacàzza ‘ngüle. = Se n’è fuggito con la coda fra le gambe.

Da non confondere con il termine “scacàzze”

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Cacatüre

Cacatüre s.m. e sopr.. = Cacatoio

Vaso di ceramica smaltato usato anticamente in casa per la raccolta di feci, in mancanza della rete fognante.

Il termine è sinonimo di “ruagne” = Cantero.

Sènd ‘nu fjite de cacatüre = Sento una puzza di cantero.

Come soprannome: era un vasaio che li fabbricava, o colui che li svuotava?

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Cacasìcche 

Cacasìcche agg. s.m. = Taccagno, spilorcio, avaro.

Grettamente attaccato al denaro.

Non spende nulla. Nemmeno per mangiare, tanto che quando va al bagno è anche lì molto tirato.

Se non mangia abbondantemente, è chiaro che può cacare solo una “robina” striminzita!

Pòvere a j’sse! Fa una vita di stenti, e non si convince che i suoi soldi se li godranno gli altri.

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Cacaròzzele

Cacaròzzele s.f. = Sterco degli ovini

Accettabile anche la forma breve cacaròzze.

Le deiezioni delle pecore e delle capre, essendo ricche di azoto e con una bassa percentuale di potassio, dopo opportune misture con paglia e seguita da lunga “maturazione”, diventano un eccellente concime adatto alle coltivazioni orticole.

Quando, attraversando la città, le greggi di pecore venivano condotte all’ “Acqua di Cristo” per il lavaggio del vello prima della tosatura, disseminavano lungo tutto il loro percorso una lunga traccia di cacaròzze .

Sono di forma tondeggiante e, prima di disseccarsi,  mantengono la dimensione e la lucentezza delle olive.

Con queste “olive” dei farabutti hanno perpretato degli scherzi diabolici e feroci. Non voglio proseguire, altrimenti i deboli di stomaco cominciano a mettersi in subbuglio….

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Zellàrece

Zellàrece v.int. = Imbrattarsi

Accettabile anche la versione “soft”  zelàrece. Ma togliendo una “l” non si riduce il danno….

Specificamente il verbo si usa nel caso qualcuno, nel tentativo di liberarsi dei gas intestinali, malauguratamente emette un po’ di sostanza solida….

Per minimizzare il danno, eufemisticamente si dice:“c’jì zelléte ‘u mutànde” = si è insozzato la mutanda.

Nel caso la “zelléte” = la lordura, fosse più sostanziosa, esplicitamente si dice che “c’jì cachéte sòtte!”

Meh, te sì zeléte? = Ehi, ma per lo sforzo ti sei sporcato?

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Cacàrece sòtte 

Cacàrece sòtte loc.id. = Cacarsi addosso.

La locuzione, oltre al significato letterale di imbrattarsi, (zellàrece), vale anche sbigottire, e gongolare.

1) Imbrattarsi le braghe per un’errata valutazione di un’emissione intestinale.

2) Gongolare, gioire intimamente per sé o per gli altri.
Quànne ho sapüte ca me sò pegghjéte ‘a Patènde de “Fuchìste”, pàteme stöve cachéte sòtte = Quando ha appreso che io avevo conseguito la Patente di Conduttore di macchine a vapore, mio padre gongolava dalla gioia.

Jì néte ‘a nepöte e la nònne sté tutta cachéte = È nata la nipotina, e la nonna è tutta gioiosa e orgogliosa.

3) Sbigottire, temere eccessivamente un evento, paventare il peggio, abbattersi facilmente davanti a difficoltà.

Škìtte ca pènze all’éséme me chéche sòtte! = Solo che penso agli esami mi assalgono i borborigmi nella pancia.

Lu Tenènde: feccàmece sòtto! E jìsse jì ‘u prüme a cacàrece sotte = Il Tenete (ordina): all’assalto! E lui è il primo a farsela adosso dalla paura.

È questo un canto popolare dialettale della Prima Guerra Mondiale: una marcetta tramandata fino agli anni della mia fanciullezza 1950.

Per curiosità, riporto i versi che ricordo:
Sò venüte da Montepelüse,
e sope ‘a catarre tenöve ‘u pertuse.
Lu Tenènde: feccàmece sòtte!
E jìsse jì ‘u prüme a cacàrece sotte.
Lu Sottetenènde pe ‘nu segröte,
l’esercete ‘annande ‘u cumanne da dröte!
E màmete pe criàze
porte sembe ‘a panze annanze.
E pàtete jì troppe ricche,
e töne a panze de ‘Ndröje Scialippe”

Traduzione: Sono venuto da Montepeloso (Montebilioso e attualmente Irsina) e sopra la chitarra avevo la buca. Il Tenete (ordina): all’assalto! E lui è il primo a farsela adosso dalla paura. In Sottotenente con un segreto, l’esercito avanza e lui lo comanda da dietro! E tua madre, per educazione, è sempre incinta. E tuo padre ha la pancia di Andrea “Scialippo”. Evidentemente costui aveva un bel panzone, ritenuto all’epoca segno di floridezza economica. Scusate la divagazione.

 

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Majöse

Majöse s.f. = Maggese

Terreno tenuto a riposo, a rotazione, per evitarne l’impoverimento di sostanze minerali utili alle coltivazioni.

Sul terreno a maggese  (←clicca per leggere Wikipedia) si eseguono arature successive, a partire da maggio, da cui deriva il nome di questa tecnica agricola (derivato proprio dal latino Maius = maggio).

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Cabbarè

Cabbarè s.m. = Vassoio da cameriere.

Noi intendiamo la vaschetta di cartoncino per contenere i dolci di pasticceria.

Termine derivato dal francese Cabaret (pronuncia cabarè) proprio nel significato di vassoio, guantiera.

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Camöre ca

 Camöre ca loc.id. = Poiché, siccome, dal momento che,da quando

È un’espressione tipica del nostro dialetto, un po’ desueta, a causa della scuola dell’obbligo che ha elevato il grado culturale dei giovani a detrimento del dialetto.

Scusate il termine ‘detrimento’ ma mi è scappato, dovevo dire ‘a danno’.

Camöre ca andava pronunciata sempre all’inizio di una frase, che si concludeva con considerazioni generalmente di lamentela, di brontolamento, di rimostranza.

Camöre ca jì ‘u grùsse, jéve sèmbe ‘a mègghja parte! = Siccome è il primogenito, quando la mamma prepara i piatti, lui riceve sempre la porzione maggiore, e invece io debbo accontentarmi ogni volta di un quantitativo minore.

La traduzione non è proprio letterale: sapete che il dialetto ha una capacità di sintesi eccezionale che gli consente di dire molto con poche parole…

Sto lambiccandomi invano il cervello per cercare l’origine di questa espressione. Traducendo alla lettera non vengo a capo di nulla, perché “con amore che” non ha alcun significato plausibile.

Qualcuno può aiutarmi? Si potrebbe completare degnamente questo articolo.

P.S. Vi invito a leggere qui sotto l’interessante commento del prof. Michele Ciliberti, sempre pronto a dare il suo graditissimo contributo per migliorare e rendere godibile questo mio lavoro.
Grazie Prof. !

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