Mócche

Mócche s.m. = Muco

In dialetto mócche è solo la secrezione nasale. In terminologia medica muco è qualsiasi sostanza liquida densa e vischiosa,secreta dalle ghiandole e dalle cellule mucipare, che ha la funzione di proteggere le mucose dai batteri patogeni.

Tjine ‘u mócche appüse! = Hai il muco pendente dal naso. Ossia: sei ancora un moccioso, perché vuoi impicciarti di argomenti che riguardano gli adulti?

Nel linguaggio fanciullesco veniva detto ciacciamócche. Poi le nostra mammine hanno ingentilito il termine, che di per sé evoca una massa grassa giallastra stomachevole (ózz!), chiamandolo “candelina”…

Tirare su col naso dicesi surchjé; l’azione contraria, ossia soffiare ilnasoper liberarlo dal muco, si traduce sciuscé ‘u nése.

Il fazzoletto da naso, proprio per la sua specifica funzione di raccogliere il muco, viene chiamato maccatüre (calabrese muccaturi)

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Móccappüse

Móccappüse agg. = Moccioso

Si riferisce ai bambini con il mocio al naso.

Diventa offensivo se l’epiteto è rivolto a un giovane adulto, per indicare che si comporta come un moccioso.

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Mocasarrà

Mocasarrà avv. = Quando sarà

I più raffinati che non volevano usare il solito mocajì, dicevano mocasarrà = letterale: ora che sarà = quando sarà il suo tempo.
Quindi il tutto viene proiettato in un futuro più o meno prossimo, e molto vago e incerto.

Luìgge, mò ca te spuse, m’ha da ‘nveté au spusalìzzje? Eh, mocasarrà… = Luigi, quando ti sposi mi inviterai alle nozze? Eh, quando sarà (se, come e quando….).

Mattöje, mocasarrà, l’ha da vènne ‘sta chése? = Matteo, quando sarà il tempo, la venderai questa casa?

Quel mocasarrà sottintende, ad esempio, quando morirà tua madre e avrai la completa disponibilità dell’immobile, o quando sposerà tuo figlio ed avrai bisogno di capitale, ecc.

Fattori di cui entrambi, il richiedente e l’interlocutore, sono a conoscenza. Più che altro chiarisce che il primo è interessato, come in questo esempio, all’acquisto della casa.

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Mocajì

Mocajì avv. = Poi

Si dovrebbe scrivere mo ca jì = Quando è l’ora, ossia non adesso, ma in un secondo momento.

Quann’jì ca te fé ‘u ljitte? Mocajì, chiù tarde! = Quando (è che) ti riassetti il letto? Poi, più tardi.

Quel mocajì è sempre molto indefinito, in un sempo successivo ma mai ben definito.

Vu venì ‘ngambagne a cògghje i pemedöre? Sì, mocajì = Vuoi venire in campagna a raccogliere i pomodori? Sì, ma non adesso, sarà alla prossima occasione.

Quando il “poi” è procrastinato a lungo si usa la formula per il futuro: mocasarrà.

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Mò la bòtte

Mò la bòtte o anche mò jì la bòtte loc.id. = È ora il caso, adesso cade a proposito,

La sintetica locuzione letteralmente significa: adesso (è opportuno citare) la battuta = ora viene a proposito una battuta.
Corrisponde anche a: decètte códde ‘na vòlte = Disse quel tale una volta…

Si usa anche, con lo stesso significato, la locuzione: ‎mò ‘u fàtte = adesso (si verifica) il fatto (già da tutti conosciuto) e anche quànne düce = quando dici (una cosa e poi accade veramente).

Significa che, mentre si parla, si indica una citazione, si richiama un proverbio, si nomina un riferimento, si menziona un modo di dire ben noto agli interlocutori, ecc., che avvalori in quel momento le proprie argomentazioni.

A chése de puverjille, mò la botte… = A casa di poverelli, come si dice…(nen mànghe ‘nu stuzzarjille = non manca un tozzo di pane). In questo esempio si evidenzia che a casa nostra, c’è sempre una tangibile accoglienza per chiunque venga a trovarci.

È un intercalare simpaticissimo.

Mio padre a volte riferiva: mò la bòtte, accüme decette ‘u caföne, Pulecenèlle, Màste Giüre, ‘u škattamùrte, ecc. = come disse il contadino, Pulcinella, Mastro Ciro, il becchino,ecc…… e giù una spiritosa battuta conclusiva.

Fazze tande e, mò la bòtte, me tröve senza njinde = Faccio di tutto e, come disse il poverello, mi trovo senza nulla.

Qualche buontempone pronunciava: Mò jéve la bòtte = Ora (tu) prendi una sberla, facendo scansare il suo vicino tutto allarmato dalla minaccia.

Sempre citando qualcosa di noto, la frase viene sintetizzata, senza collocazione del tempo: ‘a botte du ciócce, alla vecchjéje cacciàtte ‘u trótte = come l’asino, che alla vecchiaia (dopo una vita di flemma) iniziò ad eseguire il trotto.
(Citazione di Enzo Renato)

Sono esempi e paragoni uniti prevalentemente a voci proverbiali.

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Mo ce sfrjiche!

Mò ce sfrjiche loc.id. = Mi stai scocciando

Mo’ ce sfrjiche! = Espressione (volgare) di stizza che si indirizzava – dopo aver dapprima ostentato una certa indifferenza, e molto autocontrollo – verso qlcn che si comportava da inveterato, pedante, inopportuno, insopportabile, e reiterato rompiscatole (Giuà, mo’ ce sfrjìche!! Si’ pròpete ‘nu checa-cà’***! = Giovanni, mi stai importunando, sei proprio un seccatore!).

Il senso era di rinfacciare allo sfrontato interlocutore d’essere colui che viene a “rompere le scatole” proprio quando si è intenti – diciamo così – a compiere qualcosa di estremamente interessante…

Era così diffusa l’invettiva, che si lanciava anche sottintesa con un monosillabo accentato, ben chiaro e comprensibilissimo dalla controparte: “ …Sfrjì!…”

Immaginate quando qualcuno vuol fare un discorso serioso in un gruppo di amici. Minimo si sente dire, quale immediato commento, magari a mezza voce: “Sfrjì!”… In questo caso scoppia una risata (o una rissa, dipende dall’affiatamento del gruppo).

Ovviamente era prevista la risposta del soggetto preso di mira: “Ma pròprje!” (oppure: “ma pròpete!”), nonché la contro-risposta, articolata in una micidale alternativa. O si lanciava di nuovo lo: “Sfrjì!”, oppure si porgeva un grazioso e gentile invito, una speranzosa richiesta: “Pùrte a sòrete, ca stéche prònde!….”

Sulle note della marcetta di Stanlio e Ollio addirittura si cantava l’intero repertorio: “Mo’ ce sfrì/ma pro’/mo ce sfrì/ma pro’/purteme a sòrete/ca stéche prònde!”

Insomma il “dialogo” così codificato sovente andava sfociare in un’inevitabile colluttazione (vé a fenèsce a taccaréte), e perciò era consigliabile non lasciarsi andare troppo su questa china.

Fortunatamente questa “moda” è passata in disuso verso il 1960.

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Mò  avv. = Adesso

Dal latino “mox” (presto, adesso) oppure dall’avverbio/congiunzione latina “mŏdŏ” (col significato di adesso).Mox, sinonino di brevi tempore = in breve tempo.

Apprüme nen te lu vulöve düce, ma mò te lu düche: quande sì stóbbete! = Prima non te lo volevo dirlo, ma adesso te lo dico: quanto sei stupido!

E tóje mò te ne vjine? 
= E tu adessi te ne vieni?

Il simpatico monosillabo mò si presta benissimo a combinarsi con verbi, avverbi, preposizioni ecc. per dar vita a simpatici concetti sintetici:

Da mò = Non da ora, ma da tanto tempo che si è completato un evento o che è avvenuta un’azione attesa .

Mò jéve! = È passato molto tempo da quando….come il precedente.

Mò mò o anche momò = Appena un attimo fa, o anche, per rispondere a qlcu che chiama, un attimo, sarò là fra breve.

Prüme de mò = Immediatamente! (prima di adesso)

Pe mò o anche pemmò = Per ora.
Detto con cipiglio, significa anche: che questo ti serva da lezione!
Pronunciato alla fine di una “lezione” con relatived sberle o di un “cazziatöne” il bisillabo è quasi una minaccia: per ora basta così, ma sappi che ce n’è una scorta (di sberle o di rimproveri) per te per ulteriori necessità varie ed eventuali.

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Mmucché

Mmucché v.t. = Rovesciare, inclinare, piegare..

Rovesciare, far cadere qlco che era ritto, come una pila di libri, una bottiglia.

Si usa anche nella forma intransitiva di mmuccàrece = Inclinarsi, rovesciarsi.
Anche la Torre di Pisa sté ‘nu pöche mmucchéte = è un po’ inclinata.

Mantjine bùne ‘stu stepètte, ca se no ce mmòcche = Reggi bene questo armadietto, altrimenti si rovescia

C’jì mmucchète ‘u bucchjire e c’jì jettéte l’acque = Si è rovesciato il bicchiere e esi è versata l’acqua.

Nota al plurale si sarebbe pronunciato ‘i becchjire = i bicchieri. L’articolo ‘u = il influenza il nome seguente per un fenomeno linguistico chiamato metatesi.

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Mmìdje

Mmìdje s.f. = Invidia

Dolore per il bene altri. E’ uno dei vizi capitale. Sentimento di astio, ostilità e rammarico per la felicità, il benessere, la fortuna altrui

Ora i ragazzi che hanno frequentato le scuole dell’obbligo, magari dicono ‘nvìdje, ma non è vero dialetto.

Poiché sono due versioni omofone, si potrebbero usare due grafie diverse: la ‘mmìdje o l’ammìdje

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Mmè

Mmè pron.pers. = Me

Forma tonica del pronome di prima persona che sostituisce “io” con funzione di complemento.

A mmè me l’ha’ da düce! = A me lo vieni a dire? (proprio a me che so tutto).

Quann’jì ‘na cöse demmìlle a mmè ca jüje ‘u sàcce accüme agghj’a fé = Quando è (che accade o ti occorre) qualcosa, dimmelo (rafforzativo: a me), perché io so come agire.

M’ànne menéte ‘a bòtte a mmè = Mi hanno dato la colpa (rafforzativo: a me). Mi hanno incolpato.

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