Salüte a nüje e ‘mbaradüse a jìsse

Salüte a nüje e ‘mbaradüse a jìsse

Diciamo: salute a noi, e (che lui si trovi) in paradiso.

È chiaramente un invito a guardare avanti, a non lasciarsi abbattere nemmeno da un lutto. La vita va avanti, nonostante tutto.

Come dicono gli Americani? The show must go on = Lo spettacolo deve continuare.

Perciò: lui è morto? Salute a noi e che riposi in pace nel Paradiso.

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Rumanì de cüle a chiapparüne

Rumanì de cüle a chiapparüne

Rumanì de cüle a chiapparüne = Restare di culo ai capperi. Praticamente la traduzione letterale non chiarisce nulla.

Nel nostro detto significa : Rimanere senza risorse economiche in situazione di estrema precarietà.

I capperi si raccolgono su balze scoscese, in luoghi impervi e pericolosi da raggiungere.

Se succede un inconveniente mentre si è intenti nella loro raccolta, si rimane in bilico ed è difficilissimo che qlcn venga in soccorso sull’orlo del precipizio.

Insomma significa rimanere senza alcun aiuto, attraversare un momentaccio.
Quelli che parlano bene dicono, descrivendo situazioni difficoltose, di restare col culo per terra.

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Rumanì “Ánema tènde e còsce abbagnéte”

Rumanì “Ánema tènde e còsce abbagnéte”

Sentirsi in uno stato di frustrazione per il mancato soddisfacimento o appagamento dei propri desideri, delle proprie speranze e simili, dopo aver commesso, magari controvoglia, un’atto, un’azione contro i propri principi morali.

Questo Detto raccoglie la delusione di una innammorata che ha assecondato il focoso partner ma che dall’amplesso non ha tratto ciò che si aspettava.

Infatti alla lettera esso significa: ritrovarsi con l’anima tinta e le cosce bagnate. riassume il fatto che la poveretta si è ritrovata al termine del “petting”, con la coscienza sporca per aver commesso la trasgressione, e con le sua parti intime impregnate, ma senza aver provato soverchia eccitazione.

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Rósse e cavalle sfaccéte: spàrele ‘mbrònde appene néte

Rósse e cavalle sfaccéte: spàrele ‘mbrònde appene néte

Rossi di capelli e cavalli vivaci, sparagli in fronte appena nati.

Le persone di pelo rosso e i cavalli vivaci, erano ritenuti indomabili.

Una lettrice mi fa notare che c’è anche una variante che dice:

Rósse de püle e cavalle stelléte: spàrele ‘nghépe appene so’ néte = Rossi di pelo e cavalli stellati: sparagli in testa appena son nati.

Sono detti ‘stellati’ (dotati di stella) quei cavalli dal pelo scuro che mostrano una macchia di pelame bianco abbastanza regolare, da sembrare una stella, tra i due occhi. Evidentemente anche questi cavalli avrebbero rappresentato una fonte di preoccupazioni per il loro padrone. Sarebbe stato meglio eliminarli presto, come anche i simpaticissimi umani dal pelo fulvo…

Ovviamente sono tutte sciocchezze.

Aggiungo questa versione. suggeritami da m.pia75, al precedente mio articolo pubblicato nel 2007, datandolo 2009 Questo è il bello del nostro sito. Per le rettifiche non si deve aspettare una “ristampa”: si fa tutto on line.

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Ròbbe te pòzze dé, ma sorta no.

Ròbbe te pòzze dé, ma sorta no.

Posso donarti dei beni materiali (la roba), ma non una buona fortuna (la sorte), perché darti quelli rientra nelle mie possibilità e capacità, ma darti l’altra no.

Ossia: posso mettere tutta la mia buona volontà per aiutarti, ma oltre un certo limite non posso andare.

Un po’ come ironicamente si dice che “per i miracoli ci stamo attrezzando”.

Ringrazio Enzo Renato per aver fornito questo antico Detto.

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Ròbbe de pröta pòmece e fjirre de cavezètte

Ròbbe de pröta pòmece e fjirre de cavezètte Loc.id. = Roba di scarso pregio, fasulla,

Alla lettera: roba di pietra pomice e ferri da calza.

Materiale di scarso pregio, o inadatto.

Credo che si riferisca anche ad un lavoro fatto male.

Invece di usare pietrisco di varie pezzature (gli ingegneri parlano di Curva granulometrica di Fuller) per l’impasto del calcestruzzo si è adoperata la pietra pomice, porosa e friabile.

Così pure, al posto del tondino di ferro nervato dal diametro di mm 8 o maggiore, nel pilastro si sono inseriti ferri lisci e sottili come quelli usati per i lavori a maglia.

Insomma con i materiali scadenti non si possono ottenere buoni risultati.

La locuzione vale per cose, azioni ma anche persone, approssimative e scadenti e perciostesso inaffidabili.

Figuratamente indica la valutazione di un fatto insignificante o di un’opera, magari tanto decantata, ma rivelatasi di scarso pregio.

Grazie a Enzo Renato per il suggerimento.

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Quìnece ajóste, màneche e bóste

Quìnece ajóste, màneche e bóste

Ferragosto, (è tempo di usare) le maniche (lunghe) e il corpetto.

Il Ferragosto era chiamato con il nome dlla data, ossia quìnece ajóste = quindici agosto.

Il termine Ferragosto, seppur molto antico di feriae Augusti, non è entrato nel nostro dialetto se non in epoca recente con un improbabile Ferrajóste o un improponibile simil-italiano Ferragòste.

Add’jì ca jéte ‘u quìnece ajóste? = Dove andate a Ferragosto?

Auànne ‘u quìnece ajóste jéme a Sammarchicchje = Quest’anno a Ferragosto andiamo al Borgo Celano (frz. di S.Marco in Lamis)

Torniamo al nostro antico Detto manfredoniano. esso vuol sottolineare che da metà agosto ormai non si verificherà più il gran caldo sofferto col solleone, e che pertanto bisogna modificare l’abbigliamento estivo. Meglio usare indumenti a maniche lunghe e giacchine.

A Potenza, trattandosi di località montana, c’è un Detto ancora più perentorio: “Ferraùste è capo de viérno” = Ferragosto, inizio dell’inverno. Regolatevi!

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Quest’jì la Palme…

 

 

Quèst’jì la Palme...
Ecco il Detto completo:

Quèst’ jì la Palme e faciüme la péce,
nen jì tjimbe di stéje ‘nguèrre.
So’ li Tórche e fanne la péce,
quèst’ jì la Palme e damme ‘nu béce.

Questa è la Palma e facciamo la pace/non è tempo di stare in guerra/ sono i Turchi e fanno la pace,/ questa è la Palma e dammi un bacio.

Una formula che i bimbi recitavano, nello scambiarsi in segno di pace con i parenti e con gli amichetti,  il ramoscello benedetto di ulivo nella Domenica antecedente la Pasqua Cristiana.

Nei Paesi caldi, i Cristiani usano i rami della palma da datteri, da cui il nome della ricorrenza, come fecero gli abitanti di Gerusalemme, innalzando i ramoscelli al grido di “Osanna!” quando Gesù entrò in città (Marco 12,12-13): «12  Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13 prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!”»

Nei Pesi mediterranei usiamo i ramoscelli di ulivo, quale simbolo di pace, in memoria della colomba mandata da Noè e che ritornò con uno di questi nel becco.

Nei Paesi nordici di rito cattolico o luterano, ove non crescono né palme, né ulivi,  usano scambiarsi piantine varie o rametti intrecciati di salice, bosso comune, ginepro.

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Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle a rïse.

Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle a rïse.

Quando viene il monaco a casa tua, prenditela a ridere.

Il monaco in questione è il “frate cercatore”, il questuante, generalmente un francescano, che una volta girava per le campagne o anche per le case di Manfredonia con un calesse (‘u sciarabbàlle) trainato dal cavallo, chiedendo per il convento delle derrate alimentari o anche offerte in denaro.

Il significato del proverbio è un consiglio: bisogna fare buon viso a cattivo gioco.

Se ti trovi coinvolto in un episodio spiacevole, invece di reagire sbraitando o prendertela con qlcn, conta fino a tre e sorridi. (funziona 80 volte su 100).

È ammessa una seconda versione: Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle ‘mbaciènze, = quando viente il frate a casa tua prenditela in pazienza.
Nascondere la contrarietà con un bel sorriso.

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