Ciócce 

Ciócce s.inv. = Asino

Termine invariabile per genere e numero.

Asino, somaro, ciuco. Mammifero erbivoro della famiglia degli Equidi (Equus asinus).

Utilizzato generalmente come bestia da soma. Simile al cavallo ma più piccolo, con testa grossa, orecchie allungate e mantello di colore grigio uniforme o anche scuro.

  • Dim., Ciucciarjille s.m. ciucciarèlle s.f.
  • Femm., ‘A ciócce; scherzosamente ‘a ciócce indica la fidanzata (chiedo scusa alle donzelle)
  • Fig., persona testarda, cocciuta, ignorante e stupida.

Per estensione si intende per ciócce il cavalletto, o braccetto da sarto, usato per stirare agevolmente le maniche delle giacche.

Curiosità:

1)‘U ciócce Lallüne = Il somaro di Raffielino, veniva chiamato in causa quando non si sapeva attribuire la responsabilità di una marachella.

-Chi ca ho rotte ‘u piatte? (silenzio…) -‘U ciócce Lallüne! = Chi ha rotto il piatto?…l’asinello di Raffielino.

2) ‘U ciócce Maradòsse si nomina come termine di paragone per indicare qlcu che compie un’azione inopportuna.

Riporto quello che ha scritto Mambredònje (Umberto Capurso) su questo asino

«In ricordo a un Manfredoniano ad un’icona di Manfredonia, un personaggio conosciuto da diverse generazioni per il suo umore e semplicità!

Un piccolo racconto di un fatto realmente accaduto, dove si può capire che persona era: nonostante la gravità del caso, sapeva mantenere il suo buon umore.

Un giorno Maradòsse si trovava con il suo carretto all’incrocio Via Tribuna / Via Seminario, e venne fermato da un giovane che gli chiese se poteva dire una cosa all’orecchio del suo asinello; lui standoci allo scherzo accennò di sì.
Il ragazzo però non aveva buone intenzioni: facendo finta di parlare sotto voce con l’asino gli infilò nell’orecchio la cicca della sigaretta che stava fumando, e la povera bestia come impazzita corse giù per la strada, facendo volare a destra e sinistra la merce del carretto, per poi infilarsi nell’entrata del barbiere che si trovava alla fine della strada tra Via Seminario / Corso Roma.
Il barbiere vedendo spuntare la testa dell’asino tra le tendine dell’ingresso, gridò:
-“E chè, mò püre lù ciócce de Maradòsse ce völe fèje la varve?”
Mentre Maradòsse ancora scioccato da ciò che era successo, chiese al ragazzo:
– “Ma dìmme ‘nu pöche, tóje mò, chè cazze l’à ditte allu ciocce müje, pe farle scappé acchessì?”
– “Cumbé, l’è ditte škìtte cà jöve morte la mamma söve”, rispose il furfantello.
– “Ghjà-chì-t’è-murte!”. gridò Maradòsse imbestialito, “e tóje proprie mò ce l’aviva düce cà l’jì morte la mamme?!”

Questa storia ancor oggi ha il suo effetto, e se qualcuno racconta qualcosa in un momento inopportuno può darsi che si sente dire: “A’ fatte accüme ‘u ciócce de Maradòsse…”

Stàtte bùne Maradosse!»

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