Categoria: G

Gravante

Gravante agg. = greve, pesante

L’aggettivo deriva direttamente dal latino gravis = grave, pesante.

In lingua italiana è estensivo, cioè vale sia per le persone, sia per gli oggetti, sia nel linguaggio figurato, nel senso di opprimente, penoso, angoscioso, soffocante.

In dialetto è riferito solo a persone sofferenti a causa o per effetto del loro sovrappeso.

Giuanne jì gravante assé! Se chéde ‘ntèrre, va lu jàveze, va! = Giovanni è molto pesante! Se dovesse cadere occorrerà molta fatica per sollevarlo.

L’obesità è sempre una patologia con conseguenze serie sul cuore, sul sistema circolatorio e respiratorio.
Infatti le persone obese presentano affanno, anche compiendo la minima attività fisica, sudano in abbondanza, ed hanno difficoltà respiratorie. 


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Guandjire

Guandjire s.f. = vassoio, cabarè

Generalmente la “g” iniziale nel nostro dialetto tende a cadere davanti al dittongo ua/ue, (uèrre, uande, uardé, uadagné, uasté..). Perciò è accettabile anche la versione uandjire.

Su di una guantiera più grande, durante il rinfresco di nozze, venivano allineati i bicchierini di liquori o le porzioni di cassata che i camerieri in sala porgevano agli invitati nei vari “giri” di portate .
Ovviamente c’è il derivato ‘a uanderèlle per designare il vassoietto di dolci che molti di noi acquistiamo per onorare degnamente il rito del pranzo domenicale in famiglia..

Origine del nome “guantiera”. Anticamente, nei pranzi eleganti, gli invitati deponevano i guanti su un vassoio posto all’ingresso della sala, detto proprio guantiera. Lo stesso termine era usato per indicare la scatola che conteneva i guanti lunghi delle signore.

Quale strascico della dominazione francese degli Angioini, è rimasta in italiano la voce cabarè (da cabaret).
In dialetto è pronunciato cabbarè=vassoio, ma ormai va scomparendo, e viene usata solo dagli anziani: ‘nu cabbarè de paste = un vassoio di dolci.

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Giagalasse

Giangalasse n.p. = Gian Galeazzo

Il nome non è diffuso al Sud, ma viene ugualmente evocato (per far rima) in un Detto proverbiale dedicato ai fannulloni:

Fé la vüte de Giangalasse: mange, böve e sté alla spasse = fa la vita di Gian Galeazze: mangia, beve e sta (volontariamente) disoccupato.

Una variante conclude con vé alla spasse = va bighellonando.
Oppure ce la spasse = se la spassa, se la gode

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Giógge

Giógge s.f. = Caramelle balsamiche

Pastiglia gommosa zuccherata, di forma emisferica, aromatica o medicinale.
Sono caramelline gommose, al sapore di menta, ricoperte di zucchero semolato.
Le più note sono prodotte da oltre 100 anni dalla Valda e vendute nelle inconfondibili scatolette rotonde di latta.

Sono balsamiche e vengono usate, specie da parte dei fumatori, per il trattamento delle irritazioni delle vie respiratorie.

Il nome giógge dato dai nostri antenati è una storpiatura di “giuggiola”, con la quale non ha nulla da spartire…

Ricordo che nel negozio di Viscardo erano in bella mostra sul bancone, dentro un contenitore di vetro a bocca larga. Evidentemente erano vendute sfuse, a peso.

A noi bambini queste caramelle non facevano gola perché erano di sapore penetrante e poco dolce. Preferivamo quelle lunghe di Pasqualino, tipo grissino, a base di zucchero in pasta bicolore, di fattura domestica.

A Cerignola sono dette sciusciù.


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Galiöte

Galiöte agg. = Galeotto, degno di galera

Epiteto, ormai in disuso (come bböje = boia o ‘mbüse = appeso, impiccato) che si rivolgeva per iperbole ai ragazzi scavezzacollo, irrequieti, scatenati.

Ah, ‘stu galiöte nen sté ‘nu mumènte fèrme! = Ah, questo discolo, non si sta fermo un momento!

Nel napoletano usano l’aggettivo/sostantivo galioto o calioto con lo stesso significato.

A volte veniva usato in antifrasi, come quando, con una specie di ammirazione, si designava un furbo con appellativo di desgrazzjéte.

Etimologicamente deriva dal tardo latino “galiotus” per indicare il condannato a remare sulle galee, le famose navi da guerra romane dotate di rostro per assalire le imbarcazioni nemiche.

Molti lo pronunciavano jaliöte. È scomparsa anche questa forma, rimasta solo nella memoria di noi anziani!

Nota fonetica:
Una delle “regole” del nostro dialetto riguarda specificamente la consonante “g” dura (in fonologia detta ‘occlusiva velare sonora’), che spesso diventa “j”, o addirittura cade quando è seguita da due vocali:

  • Gamba = jamme
  • Gatto = jatte
  • Gallina = jallüne
  • Galantuomo = jalandöme
  • Guanto = uande
  • Guastare = uasté
  • Guerra = uèrre
  • Guarnizione  = uarnezzjöne
  • Guardiano = uardiéne
  • Gallinaio = jaddenére




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Guverné

Guverné v.t. = accudire (gli equini)

Il verbo deriva direttamente dal latino gubernare.
Curare cavalli e simili col pulirli, abbeverarli, abbiadarli, spazzolarli, ecc.

Una volta questi animali, da soma o da tiro, erano utilissimi sia nei lavori campestri, sia per il trasporto di derrate o di persone.

Rappresentavano un vero capitale, una grande risorsa per i campagnoli e per questo erano accuratamente e quotidianamente ben trattati, specie quelli da tiro.

I cavalli da carrozza per il trasporto di persone erano particolarmente ben governati, tanto che avevano la bardatura luccicante e gli zoccoli lustri e spazzolati come le scarpe dell’impeccabile cocchiere.

Il trattamento migliore era riservato ai cavalli adibiti ai carri funebri.

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Giannètte

Giannètte sf = smorfiosa, vezzosa

Dicesi di ragazzotta vivace, che vuole sempre mettersi in mostra, e al centro delle attenzioni.
In età fanciullesca è una bambina piena di moine e smancerie o anche propensa a fare dispettucci ai coetanei.

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Gràvede

Gràvede agg. = Pregna, gravida. Donna che è in stato di gravidanza.

In italiano corrisponde a gravida, aggettivo riferito a femmina dei mammiferi, che è in gravidanza.

Anche la femmina umana è, scientificamente parlando, un mammifero. Le nostre nonne usavano gràvede. pröne, prègne, non altra definizione. Retaggio della civiltà pastorale e contadina.

Insomma la donna in attesa era definita con lo stesso termine usate per le coniglie, le gatte, le scrofe, le giumente, le pecore, e tutti gli altri animali femmine.  Troppo riduttivo, anzi per me, è un po’ spregiativo. Le generazioni successive dicevano che la gestante si doveva accatté ‘u uagnöne = comprare il bambino.

Quelle attuali.usano ngìndeaspette ‘nu uagnöne.

Sepònde sté gràveda gròsse = La signora Siponta è incinta ed è all’ultimo stadio di gravidanza, è ormai prossima al parto.

Noi monellacci di strada, sulle note della marcia di “Garibaldi fu ferito….”, l’inno dei garibaldini, cantavamo una canzonaccia oscena in dialetto che mi astengo di trascrivere per intero. L’amore per il lessico dovrebbe farmi superare ogni titubanza, ma io sono un timidone….

Ecco il riassunto della storiella: una figliola confida alla madre il suo stato di gravidanza. E la madre chiede lumi.
Alla poveretta fanno pronunciare le parole con una accento un po’ diverso, come per mascherare la sua origine manfredoniana.

Scrivo solo la prima parte:

– Màmma mamme me sènde gràvede..
– Figghja fìgghje chi t’à mundate?
– M’à mundate ‘u Guardiane, sòtt’u pònde de Regnàne… 
ecc. ecc.

Mamma, mamma. mi sento incinta.
Figlia, figlia, chi ti ha fecondata?
Mi ha ingravidato il Guardiano sotto il Ponte di Rignano…

Anche qui si usano i verbi montare, ingravidare. Lo stesso linguaggio usato per le bestie.

Potrei anche trascrivere il seguito, ma non vorrei che i benpensati diano l’ostracismo a questo mio faticoso lavoro a causa di una sciocchezza….

Se qualche “mascalzone” della mia età conosce il resto della canzonaccia, lo faccia lui nella replica a questo articolo!

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Gemendé

Gemendé v.t. = molestare

Corrette anche le altre versioni gemendéje, ggemendé, aggemendé e aggemendéje

Un verbo niente affatto simpatico,  perché infastidire, importunare, tormentare qlcn può sfociare nel reato di “bullismo” o, peggio, di mobbing (molestie e minacce) purtroppo diffusisi in questi anni.

Nen gemendànne ‘u chéne, ca dorme, ca códde te mòzzeche = Non molestare il cane che dorme, perché quello ti morsica!

Maèstra, Giuànne m’aggeménde! = Maestra, Giovanni mi disturba.

Ne stanne a ggemendé i crestiéne! = Non infastidire (continuamente) le persone!

In questo caso anche “le persone” è un modo generalizzato per indicare se stesso, come vittima paziente  del rompiscatole.

Non riuscivo a trovare l’etimologia di questo termine. Una cosa è certa: gemendé non deriva dal sostantivo cemento!

Ecco che arriva la risposta del prof. Michele Ciliberti al quale rivolgo il mio vivo ringraziamento:
«Deriva dal latino “cimentare” col significato di provocare, sfidare. Oppure da “gemere” transitivo, cioè “far piangere qualcuno”, quindi, infastidire.»

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Gelèppe

Gelèppe s.m. = Glassa

La glassa è una preparazione di cucina, soprattutto di pasticceria, con cui si rivestono, in tutto o in parte, alcuni dolci con lo scopo di abbellirli o di esaltarne il gusto.

Generalmente si prepara adoperando zucchero e albumi montati a neve. Altre preparazioni richiedono solo zucchero e poca acqua.

Questo termine, come molti prodotti dolciari, proviene dall’arabo gulab. I dolci ricoperti di glassa, cioè glassati. diconsi ‘ngeleppéte, 

Da noi serve per ricoprire scarielle  e tarallini alle uova (vedi foto), tipici dolci pasquali fatti in casa, detti anche simpaticamente ‘cchjalètte = occhialini.

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