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E che jà jèsse, de fjirre? 

E che jà jèsse, de fjirre? loc.id. = E che, debbo essere di ferro?
Ammessa anche la versione: e che, àgghja jèsse de fjirre?

Questa esclamazione è ricorrente quando si esprime il limite della condizione umana di fronte ad eventi ritenuti insormontabili.

Un esempio: quando ci si trova davanti ad un lavoro immane: E che jà jèsse, de fjirre? = E che sono fatto di ferro? Come potrò mai affrontare questa fatica?

Un modo divertente è capitato di recente.
Una persona si è imbattuta assieme ai suoi amici in una vistosissima ragazza procace, con le curve al punto giusto e tutto il resto ben evidente: e che jà jèsse, de fjirre? = io sono fatto di carne, in questa stagione con gli ormoni galoppanti: come faccio a resistere di fronte a tale prorompente sex-appeal? La cosa potrebbe riuscire solamente se io fossi fatto di ferro, cioè di materia inanimata e resistente e temprata…Ma io sono fatto di carne, e la carne è debole!

Mirabile sintesi del dialetto: poche parole hanno espresso magistralmente tutto il pensiero che voi pazientemente avete letto dopo il segno =!

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E dìlle candànne!

E dìlle candànne! loc.id. = Sii esplicito

E dillo cantando (il fatto)!

Non c’è bisogno di avere una bella voce: qui non si tratta di cantare…

La locuzione suggerisce di non far ricorso a sotterfugi o a perifrasi.

Quello che devi dichiarare o chiedere, esponilo chiaramente!

Sènza ca féje tanta giüre: e dìlle candanne! = Senza che fai tanti giri (di parole): ma parla chiaro!

Tjine ‘stu sorte de ruspe: e dille candanne! = Hai questo grande cruccio: confidati, esponi le tue reali intenzioni!

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Ebbröje

Ebbröje s.m. = Ebreo

Nativo dello Stato ebraico di Israele.

Senza essere tacciato di antisemitismo, riferisco che il termine da noi ha assunto una valenza negativa.

Per antica tradizione gli Israeliti praticavano il maneggio del denaro ed avevano molta dimestichezza con l’Economia della loro Nazione e di quella personale.

Per secoli erano dediti alla concessione di crediti a privati, e anche agli Stati europei impegnati in interminabili guerre.

Insomma si sono fatti la nomea, a volte giustificata, a volte no, di usurai senza scrupoli anche verso i propri familiari.

Quando qualcuno non ha compassione di nulla e di nessuno si dice ca töne ‘u cöre de l’Ebbröje = che ha il cuore dell’Ebreo, che è del tutto insensibile ai sentimenti, ma è decisamente indirizzato solo ai suoi affari economici.

Al plurale dovrebbe essere Ebbrüje…ma veramente non l’ho mai sentito pronunciare. Anche al plurale evidentemente si può dire allo stesso modo del singolare.

Comunque sono tutti luoghi comuni, perché sotto molti aspetti gli Ebrei sono da ammirare in quanto a solidarietà, intraprendenza, e laboriosità. Ovviamente gli stronzi stanno ovunque, anche fra gli Ebrei, i Pugliesi, i Tedeschi, i Giapponesi, ecc. ecc.

Sinonimo: Giudöje Giudeo.

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Éche 

Éche  s.m. = ago.
Ago in genere, da quello sottilissimo usato dalle ricamatrici a quello grossissimo detto saccuréle.

L’éche saccuréle = ago da materassaio usato principalmente per impuntare i materassi e le coperte di lana (Cupèrta ‘mbuttüte) o anche i pagliericci di fieno.

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Ecrù

Ecrù agg = Tessuto grezzo.

Crudo, greggio, specialmente riferito a stoffa non ancora colorata, che trova impiego tel-quel (altro francesismo di cui è infarcito il nostro dialetto) in lavori di sartoria.

Deriva dal francese écru (pronuncia ecrü)

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Éme 

Éme s.m. = Amo
Piccolo gancio d’acciaio, con punta ad ancora, usato per la pesca appeso alla lenza e con un esca per attrarre i pesci.

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Ènece

Ènece s.m. = Èndice, nidiandolo, guardanidio

Voce del latino indicem, da indicàre, nel senso generico di ‘cosa che indica’.

Uovo di marmo che le nostre contadine ponevano nel nido delle galline, con lo scopo di mostrare alle brave pennute dal minuscolo cervello, il luogo dove deporre le altre uova.

Era necessario fare questo perché, allevate in regime di semi-libertà, ruspanti per l’aia, le galline deponevano le uova dove capitava.

Bisognava poi cercare le uova sparse in giro, col rischio di non scovarle tutte, per la gioia dei cani, o dei topi di campagna, o dei serpenti a danno della propria dispensa.

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Enjinde 

Enjinde inter. = Non è cosa da niente!

Esclamazione di stupore, di incredulità, come per dire: “è niente al confronto”, “non hai idea di come sia”, “non c’è niente di simile”, ecc.

Agghje vìste ajire n’àrve de castagne. Enjinde quant’jöve jìrte = Ho visto ieri un albero di castagne. Non hai idea di com’era alto.

Con lo stesso significato si dice anche Éfèsse jì = non è cosa da nulla, è ben rilevante.

Efèsse jì, cüme böve Giuanne: jì proprjo ‘nu ‘mbriacöne! = Accidenti come beve Giovanni: è proprio un ubriacone.

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Énótele 

Énótele agg. = Inutile, è inutile.

Che non offre alcun vantaggio, che non è di alcuna utilità;
riferito ad un attrezzo: che è inservibile;
riferito a una persona: che è un fannullone, meschino, gretto, inadatto a vivere nella società.

Enótele ca parle. Jüje fazze a chépa möje = È inutile che parli. Io agisco di testa mia.

I ragazzi moderni pronunciano inótele, in forma simil-italiano. Lo accettiamo?

Tenghe jind’u garéce ‘na fatte de scerpetìgghje inótele = Ho nella rimessa una serie di oggetti inutili.

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Érre-ghjàh!

Érre-ghjàh! escl. = Arri indietro!

Incitamento rivolto agli animali da tiro o da soma per farli arretrare nelle manovre di accostamento al punto di scarico, o per posizionarli fra le stanghe del carretto.

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