Categoria: Proverbi e Detti

A cècere a cècere ce jègne ‘a pegnéte

A cècere a cècere ce jègne ‘a pegnéte = un cece per volta riempie la pignatta.

L’amico Sandro Mondelli mi fa notare che – derivando dal verbo anghjì = riempire – si deve dire ce jènghje e non  ce jègne.   Giustissimo!
Tuttavia ho usato la seconda versione solo perché la velocità dell’enunciato rende più facile la pronuncia.

Sempre per rispettare la corretta dizione si dovrebbe scrivere col raddoppiamento della consonante iniziale, ma mi sembra troppo macchinoso: A ccècere a ccècere ce jènghje ‘a pegnéte. Ma vanno bene tutti e due i modi di scriverli.

Come tutti i proverbi è un invito alla prudenza, alla moderazione, alla previdenza:
Se quello che possediamo ci pare scarso, serbiamolo ugualmente, perché in seguito ci potrà sempre servire. Insomma un po’ per volta si riuscirà a realizzare qualcosa.

In Terra di Bari dicono: Péte péte se fasce ‘u parété = Pietra su pietra sei fa (si erige) la parete.

I Montanari dicono: ogni pìcche aggióve = Ogni “poco” giova, è utile.

Una botta di previdenza e di ottimismo.
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A chése de puverjille nen mànghe mé ‘nu stuzzarjille

A chése de puverjille nen mànghe mé ‘nu stuzzarjille

A casa del poverello non manca mai un tozzo di pane (per l’ospite inatteso).

La persona misera si mostra generosa verso un suo simile più di quanto faccia quella ricca..

Entra pure, l’ospite è sempre ben accetto. Quello che abbiamo verrà diviso. Aggiungi un posto a tavola!

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A chése de sunatüre nen ce pòrtene serenéte

A chése de sunatüre nen ce pòrtene serenéte

A casa di suonatori non si portano serenate.

Il proverbio ammonisce i vari opinionisti a non propinarci i loro consigli, di non venire a dare il loro parere proprio a noi che di un certo argomento abbiamo avuto lunga esperienza e sappiamo come agire al meglio.

Come dire: ma lo vieni a dire proprio a me?

Più sinteticamente ho letto da qualche parte:
«Meglio evitare di avventurarci in consigli su un determinato argomento a qualcuno che proprio su quell’argomento è molto preparato.»

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A chi dé, a chi combromètte

A chi dé, a chi combromètte

Alla lettera significa: a chi dà (percosse) e a chi coinvolge, compromette.

È la definizione di un tipo gradasso, borioso, smargiasso, presuntuoso, spaccone e rissoso (per oggi basta).

Insomma meglio tenerlo lontano perché facilmente coinvolge gli astanti nelle sua fanfaronate. Vuole essere sempre al centro dell’attenzione, nel bene, ma sopratutto nel male. Vuole sempre avere prepotentemente l’ultima parola perché si ritiene infallibile, il migliore.

In Abruzzo dicono, in versione leggermente diversa accettata anche da noi, che il tizio a chi mena (percosse) e a chi promette (ossia minaccia di bastonare).

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A chi nen töne fìgghje, nen dumannànne fùche e cunzìglje

A chi nen töne fìgghje, nen dumannànne fùche e cunzìglje

A chi non ha figli non chiedere né fuoco, né consigli.

Il proverbio vuole evidenziare l’amore dei genitori pronti a sopportare qualsiasi sacrificio per i propri figli.

Purtroppo, loro malgrado, coloro che non hanno avuto figli, non sanno elargire consigli appropriati né tantomeno solidarietà o generosità perché non riescono a concepire la spinta sublime dell’amore che causa solidarietà protezione verso le creature altrui.

Quando non erano diffusi i termosifoni, si andava a chiedere alla vicina anche un carbone acceso per innescare il fuoco al proprio braciere.

Esiste una variante di questo proverbio (clicca qui)

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A chi ruméne zïte nen cercànne cunzìglje e sòlde ‘mbrjiste

A chi ruméne zïte nen cercànne cunzìglje e sòlde ‘mbrjiste

A chi rimane celibe/nubile non chiedere consigli e soldi in prestito.

Si ritiene, forse erroneamente, che una persona rimasta single (per scelta o per sorte), non avendo avuto una propria famiglia, non sia capace di cogliere le necessità, morali e materiali, di un genitore che si rivolga ad essa per chiedere un consiglio o un prestito in denaro.

Perciò il Proverbio ordina – in caso di necessità – di non rivolgersi a costoro perché la risposta sarebbe inesorabilmente negativa o inadatta ai propri bisogni; meglio rivolgersi ad una madre di famiglia, più comprensiva e generosa.

Esiste un altro proverbio molto simile (clicca qui)

Nota linguistica.
Il termine züte , (si può scrivere correttamente anche zïte perché omofono), inteso come aggettivo indica lo stato si celibato /nubilato.
Per esempio: Giuànne jì zïte = Giovanni è scapolo; Cungètte jì zïte = Concetta è nubile.

Inteso invece come sostantivo invariabile, indica la persona promessa o prossima alle nozze (‘u zïte e la zìte = i fidanzati, gli sposi).

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A chi völe dé prïme de la morte, pìgghje ‘na mazze e dàlle forte

A chi völe dé prïme de la morte, pìgghje ‘na mazze e dàlle forte 

A colui vuole dare (donare i suoi beni) prima della morte, prendi un bastone e menagli forte.

Un consiglio disinteressato affinché il donatore, nella sua vecchiezza (vi piace questa parola leopardesca?), potrebbe trovarsi in uno stato di bisogno.  Raramente potrà contare sulla disponibilità dei suoi beneficiati.  La riconoscenza è una merce molto rara in questo mondo.

Occorre prudenza, come suggerito da quasi tutti i proverbi tramandati dai nostri avi.

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A chiómme jéme a chiómme, a levjille jéme a levjille e ‘u palazze ce ne vé stùrte!

A chiómme jéme a chiómme, a levjille jéme a levjille e ‘u palazze ce ne vé stùrte!

Abbiamo lavorato giusto con il filo a piombo, e anche con la livella: tuttavia la costruzione non riesce tanto bene perché il palazzo è un po’ pendente.

Hanno usato gli attrezzi giusti, ma non sono in grado, evidentemente, di usarli nel modo appropriato.

Un simpaticissimo proverbio che evidenza la scarsa abilità degli improvvisatori. In questo caso il muratore nonostante abbia usato il filo a piombo e la livella, strumenti che avrebbero dovuto indicargli la via giusta per edificare, riesce solo ad alzare pareti storte.

Siu usa quando tutti affermano di aver agito correttamente ma il risultato non è quello desiderato.

Grazie a Enzo Renato per il suggeriment

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A cöse ammuccéte, nen chéche la mòsche

Traduzione: (sul)la cosa nascosta, non caca la mosca.
È un invito alla discrezione, ad agire senza dare nell’occhio, a non mostrare il fianco a critiche, a nascondere le proprie debolezze.
Diventa facile per gli altri scoccare frecciate, o pugnalate (metaforiche) perché si diventa bersagli viventi (sempre come metafora).

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A jallüna muffarde jéve a’ mègghja sorte

A jallüna muffarde jéve a’ mègghja sorte

La gallina sciattona ha la sorte migliore.

Ossia: ad una ragazza trascurata il destino stranamente riserba l’uomo ideale  (ricco, bello, premuroso, fedele, ecc.).

Anticamente le mamme facevano di tutto per insegnare alle loro figlie a diventare delle ottime donne di casa addestrandole ad essere linde, servizievoli,  (‘a pulezzüje de’la chése ) a saper cucinare, stirare, rammendare, ecc., per essere di gradimento per il loro uomo, che di solito , nella fantasia delle mamme doveva essere ricco nobile e bello.

Si mormorava questo detto quando capitava che siffatto uomo si innamorava di una ragazza che non ne voleva sapere di fare la vita di casa.

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