Categoria: J

Jàcce-e-jöve

Jàcce-e-jöve  loc.id  = Malridotto, malconcio

Significato letterale: sedano e uova….sembra una ricetta di cucina.

Si tratta invece di una minaccia: Se venghe allà, te fazze a jàcce e jöve. Cioè ti riduco a mal partito, ti riempio di botte.

Si dovrebbe dire àcce e öve….ma c’è una regola fonetica che richiede la “j” iniziale (Jacce – jöve) perché il termine è preceduto da vocale.

La locuzione trae origine dalla narrazione del Vangelo (Giov. 19,5), quando Pilato mostrò Gesù flagellato alla folla, disse: “Ecce homo”, ossia “Ecco come ho ridotto l’uomo che voi volete che io condanni”.

Significa in pratica malridotto, ferito, pieno di sangue e di piaghe.

Le nostre nonnine, che non capivano il latino, hanno ripetuto ad orecchio, italianizzando ECCE per “accio” e HOMO per “uova”.

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Jaddenére

Jaddenére (o jallenéres.m. = Pollaio

Piccolo fabbricato o recinto nel quale si tengono polli, galline, ed eventualmente altri animali da cortile.

Chiaramente come il termine pollaio deriva da pollo, così jaddenére deriva da jaddüne = gallina.

Rammento che molti termini del dialetto terminanti in -dde in questi ultimi decenni si sono trasformati per l’uso in -lle, come ad esempio:

cepodde, cavadde, martjidde, ora diconsi cepolle, cavalle, martjille.

Forse erano ritenuti troppo zotici e si è voluto ingentilirli.

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Jaddüne

Jaddüne (o jallünes.f. = Gallina

Femmina del gallo.

Modo di dire:
‘A jallüne fé l’öve, e au jàlle li dóske ‘u cüle = la gallina fa le uova e al gallo gli duole il culo.

C’è chi sa lamentarsi e sa prendersi i meriti.

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Jagnéle

Jagnéle s.m. = Molare

MolareCiascuno dei denti masticatori dell’uomo o dei mammiferi; nell’uomo, sono i tre denti inferiori e superiori in fondo e ai due lati alla bocca.

Me so’ teréte ‘nu jagnéle = Mi sono cavato un molare.

Vale sia in senso materiale, con un intervento del dentista, sia in senso figurato per indicare che si è sostenuta una grossa spesa.

Qlcu sull’esempio del napoletano “te sciacque ‘na mòla”, di fronte au preventivo esoso di spesa, dice l’antìfrasi: mo te sciàcque ‘nu jagnéle = ora ti lavi un molare, spendi poco (invece…)

In italiano un costo esorbitante (ex orbita, fuori dall’orbita oculare) viene definito un occhio della testa

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Jaiténe

Jaiténe n.p. = Gaetano

Riprende il soprannome etnico, e poi nome personale latino, di Caietanus, “abitante, oriundo di Gaeta” (in latino Caieta), che nel dialetto dei Laconi significava “luogo cavo” per la collocazione naturale della città.
L’onomastico è tradizionalmente festeggiato il 7 agosto in memoria di s. Gaetano di Thiene (Vicenza), morto nel 1547.

Come molti nomi e sostantivi che in italiano iniziano con la G, nel dialetto perdono la lettera iniziale o la mutano in J (ad es.: uande, Jennére, jatte, uadagné, jàmme= guanto, Gennaro, gatta, guadagnare, gamba). Vedi “Ortografia e fonologia” in home page e anche ‘U vasce Jaiténe

Come diminutivo generalmente si pronuncia Tanüne = Tanino. In tempi relativamente più recenti si è usato Gaitanüne, come il mio carissimo amico Gaetanino Novellese, scomparso pochi anni fa.

Al femminile di solito è Tanèlle.. Anche Gaitanèlle è accettabile, quantunqua sia una forzatura, perché è pronunciato con la G iniziale, contro le regole antiche del dialetto. Ritengo che i nomi moderni femminili come Tiziana, Cinzia, Monica, Veronica, Alessia abbiano soppiantato del tutto il tradizionale Gaetanella.

Ho sentito che ad una bimba è stato affibbiato il nome di Rocchina e ad un’altra di Briseide, la schiava di Achille…Ma non era più musicale il nome Gaitanèlle?

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Jalandöme

Jalandöme s.m. = Galantuomo

Uomo onesto, corretto, di parola.

Generalmente jalandöme è usato in antifrasi (enunciato usato ironicamente con un significato contrario a quello suo proprio) per indicare eufemisticamente un figlio un po’ scapestrato, malazzjunande, che probabilmente compie cattive azioni.

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Jalé

Jalé v.i.= sbadigliare

Atto respiratorio involontario che consiste in una lenta e profonda inspirazione a bocca aperta.

Si sbadiglia a causa del sonno o della noia o della fame.

Una delle prime regole di educazione che mi hanno inculcato: quando si sbadiglia bisogna portare la manina alla bocca!

E pecchè? Ca se no trèsene i mosche! = Perché? Altrimenti entrano le mosche (in bocca)

Originariamente dal latino halitus, poi halare [sbadigliare] dallo spagnolo alear

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Jalètte 

Jalètte s.f. = Mastello, bigoncio

Recipiente di legno a fondo piatto, composto da doghe, di cui due sporgono in alto e sono forate per permettere l’inserimento di un bastone o di una corda al fine di facilitarne il trasporto.

Era anticamente usato nelle campagne per attingere l’acqua dal pozzo, o per la mungitura o per la vendemmia. Fu usato anche in marineria.

Per uso “cittadino” esistevano dei secchi di ferro zincato, meno rozzi, per sollevare l’acqua piovana dalle cisterne di accumulo, le cosiddette pesciüne con suono simile a piscina.

Con l’avvento dell’acquedotto, negli anni ’30, si adoperavano per trasportare a braccia l’acqua attinta dai vicini fontanini pubblici fino in casa. Poche abitazioni avevano l’allacciamento idrico.

L’avvento della plastica (Moplen) ha fatto definitivamente scomparire dalla circolazione questo utilissimo oggetto. E anche il  simpatico nome.

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Jalle 

Jalle s.m. = Gallo, galletto

Dicesi anche  o jallócce o jaddócce.

Uccello domestico, maschio della gallina, con grande cresta e piumaggio vistoso specialmente nella coda.

Modo di dire, riferito ai Foggiani, che festeggiano il 15 agosto: Sanda Marüje ‘nu jallócce a tèste = Santa Maria, un galletto a testa. Non si bada a spese!

In tempo di ristrettezze, un pollo a testa era ritenuta una biasimevole enormità.

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Jallìcchje

Jallìcchje s.m. = Spicchio

Ciascuna delle parti staccabili, avvolte da una sottile pellicola, di cui è costituito il frutto degli agrumi.

In italiano il sostantivo “spicchio” indica anche ciascuna delle parti di cui, in numero variabile, è composta  la testa dell’aglio.

È detta “spicchio” anche una fettina di agrume tagliata  con il coltello a disco o a semicerchio, usata dai pasticcieri e dai barman  a scopo aromatico e decorativo.

In dialetto invece il termine è molto specifico, ossia indica lo spicchio naturale, avvolto nella propria pellicina, così come appare nella prima foto sotto il titolo.

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