Rumanì a pendöne

Rumanì a pendöne loc.id. = Rimanere nubile/celibe

La locuzione Rumanì a pendöne (probabilmente) va tradotta con “restare all’angolo della strada o di un edificio”, ossia non avere una casa, un nucleo familiare.
Forse anche “rimanere penzoloni”, come dire restare in sospeso, ma con scarse possibilità di ottenere una sorte migliore.
Difatti (clicca) pendöne indica l’estremità di un muro, il bordo di un baratro, il margine di un precipizio.

Parlo di quando l’avvento della emancipazione femminile – che le avrebbe rese economicamente indipendenti – non era ancora nemmeno immaginabile. All’epoca il matrimonio era visto dalle ragazze come l’unica e indispensabile via per il loro futuro sostentamento.

È un ‘espressione un po’ amara che si riferiva specificamente ad una ragazza che non era riuscita a convolare a nozze, a crearsi una famiglia, per le ragioni più disparate.
Per esempio per i suoi trascorsi sentimentali molto burrascosi, o per difficoltà caratteriali, o per l’aspetto fisico non invogliante, ecc.

Era rivolta anche ai maschietti, ma qui il celibato è visto come una conseguenza di vari tentativi falliti, o come forma mentis ostile ad assumersi responsabilità familiari, o come innata misogina. Salvo poi, in età avanzata, a pentirsi della loro scelta della cosiddetta “libertà” che li ha infossati in una incolmabile solitudine.

Per contro esiste anche una incoraggiante locuzione (clicca qui) Nescjüna carne ruméne alla vucciarüje

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