Trìc-trac

Trìc-trac s.m. = Tric-trac, Petardo

Il sostantivo tric-trac, dal suono onomatopeico, è accettato anche nel vocabolario italiano quale regionalismo.
Secondo me va bene anche scritto con grafia diversa, trick-track, o tricche-tracche.

È un pericoloso gioco pirotecnico che scoppiando produce botti ripetuti.   Si reggeva l’ordigno con una mano e con l’altra si accendeva una corta miccia prima di lanciarlo per strada.  Se si indugiava nel lancio si rischiava l’amputazione di qualche dito….

Usato diffusamente nel mese di dicembre e fino a Capodanno per “festeggiare” rumorosamente l’Avvento e l’entrata dell’anno nuovo.

C’era quello modesto, quattro o cinque scoppi ravvicinati seguiti dal botto finale: tà-ta-tà-ta-bùm.

Poi c’era il tric-trac a dieci colpi, nove piccoli e sempre col finale più sonoro.

Prima dell’avvento sul mercato dei “fuochi” cinesi, fatti di luce e di fragore, quasi professionali, quelli usati da noi erano di fattura artigianale, simili a quello raffigurato nella foto in alto.

Questa foto qui a lato mostra un tric-trac cinese da 50 colpi (senza botto finale) detto “gazza cantante”, di libera vendita a meno di due euro,  ma sempre pericoloso per la sua miccia corta a combustione rapida.

A mio parere bisogna comunque proibirli, o quanto meno consentirne l’uso solo ai professionisti dei fuochi pirotecnici.

Un modo simpatico di descrivere un soggetto frettoloso era racchiuso nella locuzione: assemègghje ca töne sèmpe ‘u tric-trac appezzechéte ‘ngüle!| = sembra che abbia sempre un petardo attaccato al culo!

Insomma il tizio sbrigativo sarebbe “costretto” ad agire in fretta perché altrimenti la corta miccia dell’ immaginario petardo appiccicato ai suoi pantaloni non gli darebbe tempo di mettersi in salvo e di conseguenza potrebbe riportare un danno irreparabile al suo culo. 😀

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3 Comments

  1. Quand’ero bambino, tra il Natale e il Capodanno, tutte le sere, stavo sempre vicino a mio padre per uscire insieme a lui, perché in quei giorni lui andava a porgere gli auguri a sua madre e poi alla sorella di sua madre, zia Mattiucce, moglie dello sparapjizze Ciro Gelsomino. Al momento dei saluti, immancabilmente ci veniva offerto un cartoccio di carta robusta pieno di tricchetracche e bombette che accoglievo tra le mie braccine insieme a tutta una sfilza di informazioni, istruzioni e raccomandazioni sul modo di accenderli.
    Solo una volta, insicuro sulla accensione della miccia, una bombetta mi è scoppiata a trenta centimetri dalla mano, facendomi restare con la mano nell’olio.

    • Lino, che vuol dire “facendomi restare con la mano nell’olio”?
      Ti ha bruciacchiato la mano e per rimedio anti-bruciore l’hai tenuta immersa nell’olio?

  2. Era finito lo spazio. Lo scoppio, più che bruciare la mano, l’ha addormentata e, per curare eventuali scottature, mia madre mi fece tenere la mano sul piatto pieno d’olio per tutta la serata. E per quella sera cessò la mia carriera di sparapizzo. Mi sono rifatto negli anni appresso!


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