Tag: Locuzione idiomatica

Faccia storte

Faccia storte loc.id. = Dissentire, discordare

Alla lettera è come in italiano, ossia faccia storta.

Assume due significati diversi a seconda del verbo che precede la locuzione:
1 –  Con il verbo fare:
Se uno fé ‘a faccia storte, significa semplicemente che prova o mostra contrarietà, perché non condivide quello che vede o ascolta.

Quànne agghje dìtte ca jöve a juché ai càrte ànne fàtte ‘a fàccja stòrte = Quando ho detto che sarei andato a giocare a carte hanno dissentito.

Pecché quanne me vöte pe ‘Angiolétte màmete fé ‘a fàccja storte? = Perché quando mi vede con Angela tua madre mostra contrarietà?

2 – Con il verbo essere:
Se qualcuno jì faccia storte,  significa che è bugiardo, falso e menzognero. Non è affidabile. Questa locuzione si può declinare anche al maschile, non riferendosi più alla faccia, ma alla persona: jì facce-stùrte = costui è un ipocrita, ingannatore

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Faccia möje!

Faccia möje! loc.id. Ahimè

Letteralmente: Faccia mia!

È un’esclamazione che sfugge allorquando si apprende di un’azione riprovevole compiuta da qlcu.

Vuol significare: nascondo io la faccia al posto suo, per lo scandalo che desta il suo modo di parlare sguaiato, e/o le accuse che rivolge arbitrariamente verso altre persone, e/o la gravità del suo comportamento.

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Facchjullà 

Facchjullà  loc.id. = Scosta, allontana, distacca.

È un invito a spostare un oggetto, o una mano, o qls cosa dal campo di lavoro di qlcu.

Facchjullà ‘u becchjire = Sposta il bicchiere.

Se rivolto a persona come comando è fattecchiullà = spostati, fatti più in là.

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Fàcce-a-ppröve

Fàcce-a-ppröve loc.id.= Confronto diretto. chiarimento, controprova,.

Raffronto vis-à-vis tra due o più persone allo scopo di chiarire un equivoco,  un malinteso. Normalmente con intento pacifista.

Talvolta, più seriamente, per smascherare un bugiardo o individuare l’autore di qualche azione riprovevole. In questo caso raramente la cosa finiva lì. Una zuffa era già preventivata, faceva parte inevitabilmente del rituale combattivo del faccia-a-faccia.

Dopo gli anni ’60, non si avvertiva più la necessità di ricorrere a questo confronto  poiché il menefreghismo aveva cominciato a prevalere sulla suscettibilità personale, causa di dissidi e conflittualità insanabili.

Ora fortunatamente non si usa più contrapporsi con animo battagliero. Tizio ha detto su di te una cosa inesatta? E chi se ne frega!

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Fàcce de càzze

Fàcce de càzze loc.id. = Sfrontato

Scusate l’espressione colorita…

È usata correntemente in dialetto per definire qualcuno dalla faccia di bronzo, sfrontato, sfacciato, arrogante, insolente, impertinente, irriverente.

Le donzelle bene educate dicevano eufemisticamente: uhé, fàcce de cùrne! = ehi, faccia di corno!

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E dìlle candànne!

E dìlle candànne! loc.id. = Sii esplicito

E dillo cantando (il fatto)!

Non c’è bisogno di avere una bella voce: qui non si tratta di cantare…

La locuzione suggerisce di non far ricorso a sotterfugi o a perifrasi.

Quello che devi dichiarare o chiedere, esponilo chiaramente!

Sènza ca féje tanta giüre: e dìlle candanne! = Senza che fai tanti giri (di parole): ma parla chiaro!

Tjine ‘stu sorte de ruspe: e dille candanne! = Hai questo grande cruccio: confidati, esponi le tue reali intenzioni!

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E che jà jèsse, de fjirre? 

E che jà jèsse, de fjirre? loc.id. = E che, debbo essere di ferro?
Ammessa anche la versione: e che, àgghja jèsse de fjirre?

Questa esclamazione è ricorrente quando si esprime il limite della condizione umana di fronte ad eventi ritenuti insormontabili.

Un esempio: quando ci si trova davanti ad un lavoro immane: E che jà jèsse, de fjirre? = E che sono fatto di ferro? Come potrò mai affrontare questa fatica?

Un modo divertente è capitato di recente.
Una persona si è imbattuta assieme ai suoi amici in una vistosissima ragazza procace, con le curve al punto giusto e tutto il resto ben evidente: e che jà jèsse, de fjirre? = io sono fatto di carne, in questa stagione con gli ormoni galoppanti: come faccio a resistere di fronte a tale prorompente sex-appeal? La cosa potrebbe riuscire solamente se io fossi fatto di ferro, cioè di materia inanimata e resistente e temprata…Ma io sono fatto di carne, e la carne è debole!

Mirabile sintesi del dialetto: poche parole hanno espresso magistralmente tutto il pensiero che voi pazientemente avete letto dopo il segno =!

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Döpe-mangéte

Döpe-mangéte locuz.id. = Dopo pranzo, pomeriggio

Parte pomeridiana della giornata fino alla sera.

Alla lettera significa dopo (aver) mangiato.

I Latini dicevano post-prandium = dopo il pranzo o post-meridies= dopo il mezzogiorno.

Qualcuno dice döpe-mangéte (o anche döpe-mangéje = dopo il mangiare) per non confonderlo con il termine locale jògge.

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Dellìrje de la Luciüje

Dellìrje de la Luciüje loc.id. = Isteria, isterisrmo, furore

Alla lettera: Delirio della Lucia.

Quando si verificavano delle furiose litigate in mezzo alla strada tra due donne, si rispettava un rituale prima dello scontro fisico vero e proprio (con veementi tirate di capelli, sputi, morsi e graffi): urla e accuse reciproche fino a quando una delle due strillava delle invettive contro l’altra in tono di sovracuto, così elevate da risultare incomprensibili. Era il segnale: l’altra le si scagliava contro e succedeva il pandemonio.

Ma che c’entra Lucia?

È derivata dal mondo della musica lirica. C’era gente fino agli anni ’60 che sapeva a memoria le arie e le parole di tutti i protagonisti di tutte le opere di Verdi, Bellini, Puccini, Mascagni, Rossini, ecc.

Non tutti i giovani di oggi sanno che esiste una bellissima Opera lirica intitolata “Lucia di Lamermoor” di Gaetano Donizetti scritta nel 1836 e tuttora rappresentata nei teatri di tutto il mondo.

Ad un certo punto c’è un’aria deliziosa per soprano (Lucia appunto) che nella frase musicale va sempre su di tono, con la oh oh oh oooh : il delirio della follia appunto.

Quando la prima delle litiganti sbraitava più forte dell’altra, gli immancabili spettatori divertiti commentavano: Uì, mo li vöne ‘u dellìrje de la Luciüje = Ecco, ore le viene un attacco isterico.

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