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Faccetunìcchje

Faccetunìcchje s.m.= Scialle, indumento invernale femminile.

U faccetunicchje, è la versione ridotta del faccelettöne (fazzolettone) talora pronunciato facceltöne, faccettöne o faccertöne (←clicca).

Si poteva acquistare già confezionato, ma le nostre nonne preferivano farlo da sé con l’uncinetto, ai ferri, o anche ricavarlo da una copertina di lana o di flanella grossa.

Era indossato solo in casa, d’inverno, per quasi tutto il giorno, piegato a triangolo, poggiato sulle spalle, con un vertice in giù per la schiena e gli altri due annodati sul davanti

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Faccertöne

Faccertöne s.m. = Scialle di lana.

È un indumento invernale femminile a trama grossa e pesante, variamente colorato con tinte scure, piuttosto ampio (etimo fazzolettone).

Accettabile anche la versione faccelettöne o faccettöne.

Era indossato dalle nostre nonne, per coprirsi le spalle e per ripararsi dal freddo.

Se faceva molto freddo, si poteva indossare anche a copertura della testa.

Si usava per uscire e andare a comprare qualcosa dai venditori ambulanti.

Non tutte le nostre nonne potevano permettersi il cappotto, e questo “copri-miseria” era portato con dignità anche per assistere alle funzioni religiose.

Quello della foto, reperita in rete, è una versione moderna, in stile vintage,  ma vivacemente colorato.

In provincia di Potenza è detto facciulettone, o anche: faciltone.
A Ceglie Messapica è fazzəltónə, in altre parti del Salento faccirtone,  facciurtone, e faccəlittone.

Più o meno modificato il termine è diffuso in Puglia e Basilicata.

Mi piace riportare una poesia dell’indimenticato Franco Pinto nella quale è nominato il faccertöne.

«Certe söre de chiöve»

Certe söre de chiöve
dröte i lastre mbannéte
chiére vöte de möve
u faccertöne pâ stréte.

Marrò terra bruscéte
sfrengeliéte a quadrette
ferme, allonghe ’a pedéte
alla lóstre i sajette.

Chépa chïne ndé rette
allu cíle ca ndröne
sotte ’a chianghe l’aspette
applezzéte u uagnöne.

Certe sere di pioggia / dietro i vetri appannati / chiaro vedo muoversi / lo scialle per la strada. // Marrone terra bruciata / sfrangiato a quadretti / s’arresta, allunga il passo / alla luce dei lampi. // China la testa non dà retta / al cielo che tuona / sotto il balcone l’aspetta / infreddolito il bambino.

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Faccefrònde

Faccefrònde avv. = Dirimpetto

Persona, o edificio o qlcs situato di fronte, a qlcu.

Mattöje jàvete faccefrònde a mamme = Matteo abita di fronte a (casa di) mamma mia. Dirimpetto.

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Facce-canìgghje 

Facce-canìgghje s.inv. e agg. = Lentigginoso

Persona che ha la pelle cosparsa di lentiggini.

Le efelidi o lentiggini sono delle piccole macchie di colore giallo-bruno che si manifestano generalmente sulla pelle di persone di carnagione chiara e con capelli biondi o rossi.

Per similitudine vengono chiamate canìgghje perché le lentiggini sono simili nella forma e nel volume, proprio alla alla crusca.

Töne ‘a facce-canìgghje = Ha la faccia (e il corpo) lentigginoso.

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Fàcce-a-ppröve

Fàcce-a-ppröve loc.id.= Confronto diretto. chiarimento, controprova,.

Raffronto vis-à-vis tra due o più persone allo scopo di chiarire un equivoco,  un malinteso. Normalmente con intento pacifista.

Talvolta, più seriamente, per smascherare un bugiardo o individuare l’autore di qualche azione riprovevole. In questo caso raramente la cosa finiva lì. Una zuffa era già preventivata, faceva parte inevitabilmente del rituale combattivo del faccia-a-faccia.

Dopo gli anni ’60, non si avvertiva più la necessità di ricorrere a questo confronto  poiché il menefreghismo aveva cominciato a prevalere sulla suscettibilità personale, causa di dissidi e conflittualità insanabili.

Ora fortunatamente non si usa più contrapporsi con animo battagliero. Tizio ha detto su di te una cosa inesatta? E chi se ne frega!

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Fàcce de càzze

Fàcce de càzze loc.id. = Sfrontato

Scusate l’espressione colorita…

È usata correntemente in dialetto per definire qualcuno dalla faccia di bronzo, sfrontato, sfacciato, arrogante, insolente, impertinente, irriverente.

Le donzelle bene educate dicevano eufemisticamente: uhé, fàcce de cùrne! = ehi, faccia di corno!

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Fàcce 

Fàcce s.f. = Viso, volto, faccia.

Parte anteriore del volto umano, dalla fronte al mento.

I modi con cui è combinato il termine porta a numerosi significati, a varie sfaccettature (a proposito di faccia), perché si presta a una ricca polisemia.

Per esempio:

  • Pèrde ‘a facce! = Essere sfacciato, senza ritegno.
  • Nen tenì a facce ‘mbacce = Non vergognarsi.
  • Mètte ‘a facce ‘ind’u ruagne = Provare profonda vergogna.
  • Faccia möje! = Sentire profondo imbarazzo o disagio.
  • Che facce ca tjine! = Ma non hai ritegno a fare certe richieste?
  • Alla faccia töje = Detto a dispetto verso un invidioso.
  • Fàcce-a-pröve = Confronto diretto per verificare una divergenza
  • Tenì fàcce = Essere sfacciato
  • Nen tenì fàcce = Non agire per timidezza
  • Fé döj fàcce = Essere falso
  • Jèsse faccia storte = Mostrarsi ambiguo
  • Fé a faccia storte = Non nascondere un insuccesso, un’umiliazione.
  • ‘Mbàcce = In faccia, di fronte, a cospetto
  • Menarece ‘mbàcce = Inveire, reagire con improperi anche per una inezia.
  • Fé ‘mbacce ‘u nése = Eufemismo, per un sonoro vaffa..
  • Tenì ‘a facce de càzze = Essere privo di ritegno nelle richieste esose o reiterate.

Chissà quante “facce” mancano ancora all’appello!

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Fuscèlle

Fuscèlle s.f. = Fuscella

Contenitore di giunco intrecciato a forma cilindrica o tronco conica usato dai pastori per alcuni prodotti caseari freschi, formaggio e ricotta.  Esso permetteva alla ricotta di sgocciolare il siero in eccesso.

Da qualche decennio si usano solo quelli di plastica, forse da un punto di vista igienico, più pratici, a salvaguardia della salute dei consumatori, anche perché sono “vuoti a perd

Il nome originale deriva dal  latino fiscella .

Un sinonimo è camböse (←clicca).

 

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Frèchete

Frèchete inter. = Va’ in malora, va’ a farti benedire!

Imperativo del verbo frecàrece, nel senso di rovinarsi (non di strofinarsi).

Si dice a qualcuno che non ha saputo mettere a frutto una circostanza favorevole. Spesso si antepone l’interiezione “oh” per esprimere un rafforzativo al biasimo. Come l’avversativo italiano “ma” : Ma va a quel paese!

Ecco un esempio: Oh, frèchete! Tenjive bèlle carte ‘mméne e nen l’ha sapüte juchéje = Ma va’ a farti benedire! Avevi delle belle carte in mano e non le hai saputo giocare.

Per chiudere  definitivamente un discorso, quando l’interlocutore continua ad agire di testa sua, a dispetto dei buoni consigli, si antepone la congiunzione “e”.

Faccio un paio di esempi chiarificatori:
Pigghjiatìlle e frèchete = Prenditelo (nonostante il mio veto), e che buon pro ti faccia.
Nen ve süte appresentéte alla fèste ‘ncampagne? E frecàteve! = Non vi siete presentati alla festa (che ho dato) in campagna? Peggio per voi, non sapete che cosa vi siete persi.

C’è una variante frìcheteFrìchete a te e pàtete (o màmete). Va in malora, tu e tuo padre (o tua madre)

Se l’epiteto è rivolto a più persone, al plurale si accorda con: frecàteve!
Frecàteve, a vüje e a quanda mùrte ca tenüte..= Andate alla malora: lo dico a voi e ai morti che avete.

Scusate, questi improperi erano usati da noi monellacci che vivevamo allo stato brado per le strade di Manfredonia, durante i nostri  giochi. molto burrascosi.

Per i bambini c’era la versione “leggera”: oh, frìjete = friggiti, va a farti friggere.

Ora i ragazzini gridano ai loro compagni di giochi, a seguito di scontri fisici o di opinione, in perfetto italiano: “mongoloide!” Credo che questo epiteto sia molto più riprovevole di un bel “frèchete a te e pàtete!

Quando qualcosa va storto, sia rivolto a se stessi o anche al proprio gruppo (se si è in compagnia) ci si rammarica esclamando: frecàmece! = siamo fritti, non c’è rimedio, siamo spacciati, che figuraccia, hanno capito il nostro intento, tutto lavoro inutile, ci hanno sgamati, ecc.

Contrariamente a noi che la pronunciamo molto rapidamente, quasi frèkt, gli Abruzzesi dicono Fréeeechete!, con la è molto allungata, con significato di notevole ammirazione, per esempio, nel vedere una prosperosa donzella, e talvolta di invidia, quando vengono a conoscenza del successo di un amico.

Un po’ come “figo!” usato ora dai ragazzi per esprimere sorpresa, meraviglia, ammirazione, entusiasmo.

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