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Cambanére

Cambanére s.m. = Campanile

Torre che affianca o sovrasta una chiesa e che contiene nella parte più alta le campane. Nella foto d’epoca, il “nostro” speciale amato campanile dell’Orsini, uno dei pochi staccato dal corpo dell’edificio della chiesa.

Con questo termine una volta si designava anche la corata, a curatèlle di agnello o di capretto (trachea, cuore, polmoni, fegato), appesa con gancio all’interno delle macellerie in esposizione.

Era la carne dei poveri, con cui le nostre brave nonne preparavano un gustoso soffritto o dei piccoli deliziosi turcenjille.

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Caccé ‘i pjite 

Caccé ‘i pjite loc.id. = Mostrare i piedi

La locuzione si riferiva specificamente ad un momento della vita del neonato, diciamo verso i sei mesi, allorquando si cambiavano le abitudini tenute fin dalla nascita, quelle cioè di fasciarli dalle ascelle in giù.

Per secoli si sono imprigionate le povere creature, almeno fino al compimento del sesto mese (imbottiti con le culöre

= pannolini filtranti), avvolgendole come un turcenjille con una lunga fascia di cotone. Un paio di volte al giorno si doveva sfassé e ‘mbassé= sbendare e rifasciare al il pupo per la necessaria pulizia delle loro abbondanti deiezioni.

Finalmente dopo il periodo citato, si abbandonava questa usanza e si faceva indossare al marmocchio una vestina, anche nel caso dei maschietti. Ecco che si mostravano, comparivano i piedini fino a quel momento sempre coperti dall’orribile “sacco” composto dai pannetti e dalla fascia avvolgente.

Quindi quando una mamma diceva che “cacciava i piedi” del bambino, manifestava semplicemente il fatto che la sua creatura aveva già superato i sei mesi di vita.

Fortunatamente le fasce costrittive non si usano più. Credo che sia un bene. Ora si adoperano i costosi pannolini di cellulosa ‘usa e getta’ ed il neonato sgambetta senza alcuna costrizione fin dal primo momento di vita.

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Cazzemarre

Cazzemarre (o Marres.m. = Marro, cazzomarro, marretto

Non esiste un termine appropriato in italiano, e si ricorre a forme dialettali..
Il nostro marro usa esclusivamente le interiora di agnello o di capretto condite con aglio, prezzemolo, formaggio pecorino e pepe..  

È della stessa natura del più diffuso (clicca→) turcenjille, ma di dimensioni ben più grandi e dalla forma grossa e allungata che ricorda un mostruoso fallo, da cui il nome cazzemarre, un po’ triviale ma che suscita sorrisini.  Il nome deriva dal verbo “cazzare” usato nelle zone murgiane col significato di schiacciare. e dal latino “marra” che vuol dire mucchio. Si ricorre spesso alla forma breve: ‘ Màrre per evitare qualsiasi imbarazzo.

Il Cazzomarro è stato catalogato nei “prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipici della Basilicata”(PAT),  ma è  diffuso anche in tutta la Puglia, nell’Alto Sannio, in Irpinia, in Abruzzo e nel Molise,  regioni dedite prevalentemente all’agricoltura ed alla pastorizia, molto simili alle nostre in fatto di abitudini alimentari a causa della secolare transumanza.
Ovviamente nelle varie zone assume nomi differenti: marretto, abbuoto, torcinello, mazzette, treccetelle  mugliatiello, cazzimarro,  ecc.

Viene cotto generalmente al forno contornato dalle patate e/o lampascioni. Ottimo anche alla brace.

Un piatto simile è in uso in Sicilia col nome di “stigghiola” e in Grecia  “kokoretsi” (κοκορέτσι) e similmente “kokores” (kokoreç) in Turchia   [da Wikipedia].

I nostri  pescatori chiamano cazzemarre  – forse per la forma allungata – quel groviglio di alghe che, per effetto dello strascico, si ritrovano nelle reti.
Può essere che sia avvenuto il contrario, cioè dal nome dell’ammasso di erbe si è passati al nostro  saporito Cazzemàrre.

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Bèlle-e-fàtte 

Bèlle-e-fàtte loc.id. = Approntato, preparato, allestito.

Si intende designare un prodotto posto in vendita già ultimato.

Ora in italiano si usa per gli abiti l’espressione francese prêt-à-porter = pronto da indossare. È un barbarismo, o se vogliamo essere indulgenti, un prestito, come würstel, speck, weekend, ecc….Non voglio fare il purista.

Talora si usano, come sinonimo, le locuzione fàtte-e-tótte e bèlle-e-prònde= fatto in tutto, completato, ultimato, pronto all’uso.

Ha’fatte tó ‘sti scavetatjille? No, l’agghje accattéte fatte-e-tótte = Li hai preparati tu questi biscotti al finocchietto? No, li ho comprati già fatti.

Stasöre ce mangéme ‘nu polle bèlle-e-fatte = Stasera ceneremo con un pollo rosolato comprato in rosticceria.

Nella nostra epoca frenetica, si consumano pietanze già precotte. Ma tu vuoi mettere una domestica spaghettata con le cozze? Le nostre donne passano mezza mattinata a prepararla, ma il risultato è cento volte superiore a quello ottenuto usando cozze sgusciate e surgelate…(blah!)

Posso accettare i turcenjille fatte-e-tótte ma crudi, fidandomi del macellaio sotto casa.

Quelli in vendita arrostiti alla brace (bèlle-e-prònde) nei chioschi vicino al Santuario di San Matteo, quantunque profumatamente invitanti, mi danno un senso di sporcizia (Ozz’ózze)

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