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Tajèrre

Tajèrre s.m. = Tailleur

Abito completo da donna formato da una giacca di taglio piuttosto maschile e da una gonna dello stesso tessuto o di un tessuto coordinato.
In epoca più recente è andato di moda il tajèrre-a- pandalöne = tailleur-pantalone.

Termine intraducibile importato dal francese (pron. tajör) nella lingua italiana e quindi nel dialetto.

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Taleföne

Taleföne s.m. = Delfino.

Nome comune di varie specie di mammiferi marini, con pinna dorsale ben sviluppata, caratteristico muso a becco, cervello particolarmente voluminoso.
Il delfino era temuto dai pescatori per gli squarci che, se imbrigliato, arrecava alle reti nel tentativo di liberarsi.

Per noi Manfredoniani il delfino per antonomasia era Filippo (Tursiops truncatus) che viveva nello specchio di mare antistante la nostra città, e misteriosamente ucciso nel 2004.

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Talepunére

Talepunére s.f. = Talpa

La Talpa (Talpa Europea) è un mammifero simile a un grosso topo, con muso appuntito e lungo; ricoperto di una morbida pelliccia bruna, ha le zampe anteriori provviste di unghie robuste, con cui scava gallerie alla ricerca di lombrichi e altri insetti di cui si nutre.

Credenze antiche: coloro che si strofinavano le mani con il sangue di questo animale acquistavano il potere di far passare i dolori e i gonfiori e le infiammazioni delle persone che ne erano affetti.

Io sono stato iniziato a questa pratica all’età di cinque o sei anni, in campagna, dove una povera bestola era finita sotto il vomere dell’aratro. Nonostante io fossi recalcitrante, ho dovuto sottopormi forzatamente all’unzione delle mie manine con il sangue della talpa.

Ne sono uscito piangente e atterrito.

Mia nonna invece era convinta che successivamente sarei diventato un taumaturgo, un  benefattore dell’umanità con l’imposizione delle mani sulle infermità dei bambini malati.

Curiosità:
Con lo stesso nome in edilizia viene designata una mostruosa trivella orizzontale che scava gallerie di grosso diametro nella montagna tanto grandi da consentire la posa della massicciata stradale o ferroviaria.

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Talié

Talié o anche Jì taliànne v.i. = bighellonare

Girovagare, vagabondare, perdendo tempo, senza una meta o uno scopo.

Ma add’jì ca jéte talianne pe stu frìdde? = Ma dove andate in giro con questo freddo?

Mattöje ne llu truve méje alla chése! Códde ce ne vé škìtte taljanne = Matteo? Non lo trovi mai in casa! Costui se ne va sempre a zonzo.

Si usano anche, ma con significato sempre scherzoso, i verbi scussjé  (←clicca) e  jattié.

Il famoso scrittore napoletano Luciano De Crescenzo, riferendosi al verbo greco αγοραζειν = agorazein (ossia “uscire in piazza”), per adattarlo allo spirito innato dei Napoletani,  usa il verbo “intalliarsi” da cui deriva il nostro talié, e gli dà questa simpatica spiegazione: «…uscire di casa senza un’idea precisa, gironzolare…in attesa che si faccia l’ora di pranzo»
(Luciano De Crescenzo “Storia della Filosofia greca – I Presocratici” 1980-Arnoldo Mondadori Editori).

E noi cosa abbiamo di diverso dai Napoletani?

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Tàmbe

Tàmbe s.f. = Tanfo, fetore

Puzzo stagnante e intenso, spec. di muffa, di marcio o di chiuso.

Ce sènde ‘na tàmbe de mecöne = Si sente un tanfo di muffa.

Tambe è usato anche per indicare un vago odore magari non specifico, ma sicuramente non convincente.

Ce sende ‘na tambe… Ma chè, ha’ pulezzéte i pìsce? = Si sente un tanfo… Ma per caso hai pulito i pesci?

Che tambe de pjite = Che tanfo di scarpe da ginnastica.

Sèmbe a fumé, sembe a fumé, ma nen sendüte che tambe ca sté qua jìnde? = State sempre a fumare, ma non avvertite il tanfo che c’è qua dentro?

Ce sende ‘na tambe de stàlle! = Si avverte un tanfo di stallatico.

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Tammaröne

Tammaröne s.m. = Monticello

Accumulo di terra e sassi naturale o artificiale, mucchio elevato di materiale vario (spazzatura, tufina, sabbione, frumento, ecc.)

Quann’ànne scarechéte a frascjüme ànne fatte ‘nu tammaröne qua ‘nnande (o ‘nnanze) 
= Quando hanno scaricato la tufina hanno creato un monticello qua davanti.

Per estensione significa anche una quantità notevole di materiale che può essere raccolto e trasportato fra le braccia in una sola volta.

L’ho sentita al mercatino da un fruttivendolo a suo fratello che doveva pesare due chili di cime di rapa:E mìtte l’ati ciüme de répe jind’a velànze! Quanne uà mètte ‘nu tammaröne e quanne uà mètte a jüne a jüne = Metti le altre cime di rapa nella bilancia! Quando ne mette una bracciata (in peso eccessivo) e quando ne mette ad una ad una (e non raggiungge mai il peso richiesto).

Ho chiesto che cos’è ‘u tammaröne? Quello che si porta con le braccia: una bracciata di erba.

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Tanne

Tanne avv. = Allora.

In quel preciso momento; in quel tempo determinato, passato o futuro.

L’avverbio tanne è usato in tutta l’Italia meridionale. Talvolta arricchita di sfumature, ma sempre riferito ad un periodo temporale già trascorso.

La locuzione tanne-tanne o anche tanne stèsse, o tanne-pe-tanne,  significa seduta stante, immediatamente, in quello stesso momento..

Si usa anche zìcche tanne = proprio in quel momento. Come dire che accade qualcosa di inaspettato mentre se ne sta compiendo un’altra.

Sono sorpreso di scoprire i legami fra il termine tanne  con il latino tandem, l’inglese then (nel senso di at that time=a quel tempo), il tedesco dann, il sardo tandə e il corso tandu.

Tanna-tanne (←clicca) significa in un tempo passato ormai troppo lontano.

Le nonne quando raccontavano delle favole ai loro nipotini, iniziavano – come si conviene – con il “c’era una volta” , ma spesso in un modo un po’ burlesco:
“Stöve ‘na vòlte, tanna-tanne, quanne ‘ ciócce stöve cacànne…” = C’era una volta, tantissimo tempo fa, quando il ciuco stava cacando,….

Una rima improvvisata niente affatto divertente per i frugoletti che si aspettavano una favola vera, che poi veniva raccontata ugualmente dopo un attimo di smarrimento!

Il Prof. Michele Ciliberti, c he ringrazio sentitamente, mi ha fornito l’etimo di “tanne”: Avverbio di tempo, dal tardo latino “tandem” con significato di “allora”, in contrapposizione a “mò”, da “modus” cioè “ora”, “adesso”.

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Tànne-tànne

Tànne-tànne loc.avv. = Immediatamente

Lì per lì,  immediatamente, senza indugiare, ecc.

Accettabile anche la forma tanne-pe-tanne

Quànne pàteme völe ‘na cöse ce l’à da dé tànne-tànne = Quando mio padre vuole una cosa, (un servizio, un oggetto) gliela devi dare/fare immediatamente.

C’jì mìsse a smanié, ca tànne per tànne avöva murì = si è messo a smaniare, come se stesse per morire in quell’istante.

Da non confondere con l’avverbio di tempo tanna tanne = Tanto tempo fa.

Stöve ‘va volte, tanna tanne… = C’era una volta, tanto tempo fa…

Era l’incipit delle favole raccontate dalle nonne attorno al braciere…

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Taragnöle

Taragnöle s.f. = Allodola

La taragnöle è un uccello migratore (Alauda arvensis) una volta molto ricercato dai cacciatori.
Il nome deriva dall’aggettivo latino terràneola,  “terràgnola”, per le sue abitudini di nidificare nei terreni e nei campi coltivati.
Sinonimi di cappellaccje, calandrèlle e (clicca→) cucciarde.

Questo passeraceo è ritenuto utile all’agricoltura perché si nutre anche delle larve di cavallette e di insetti nocivi.

Strutturato come il nome della città di di Cerignola (difatti non si pronuncia sdrucciola), l’accento tonico in dialetto è quello di una parola piana.

Mio padre mi raccontò che i cacciatori per catturarle non usavano il fucile,  ma un metodo altrettanto barbaro.
Camminavano a coppia di notte in fila indiana per i campi. Uno di essi era munito di una lanterna cieca, di quelle che hanno il vetro posteriore e quelli laterali oscurati. Quando scovavano il nido, il primo gli puntava la luce:  l’allodola metteva fuori il capo perché la natura le spinge a curiosare, e l’altro uomo  la pestava col il suo pesante scarpone, la raccoglieva e la intascava nel carniere.

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Taralle

Taralle s.m. = Ciambella 

Qualsiasi tipo di ciambella viene chiamato tarallo.

Intendiamo qui evidenziare i “Taralle pe l’öve” = taralli con le uova, tipico biscotto pasquale.

L’impasto è formato sempre di farina e uova, con meno zuchero delle scarielle. La pezzatura va fino a 10 cm. di diametro.

Le ciambelle vengono spalmate di giulebbe (impasto cremoso di chiare d’uovo montate a neve e abbondantissimo zucchero) e cosparsi di confettini colorati.

Si chiamano taralle ‘ngeleppéte (pieni di giulebbe) o anche alla maniera montanara chialètte s.m.

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