Calandröne

Calandröne s.m., soprannome = Calandrella

La Calandrella (Calandrella brachydactyla), è un uccello passeriforme della famiglia degli Alaudidae, diffuso in Europa.

Al Nurd Europa è migratore, da noi è stanziale.I  suoi habitat preferenziali sono gli spazi aperti, come pascoli, campi coltivati, praterie e spiagge.

Il soprannome probabilmente è stato dato a qlcu che andava sempre a caccia di questi passeracei.

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Calamére 

Calamére s.m. = Calamaio, calamaro

1) Calamére = Calamaio, contenitore di inchiostro. Serviva per intingervi il pennino per scrivere elegantemente, o la penna stilografica (non a cartucce) per aspirarne l’inchiostro.

2) Calamére = Calamaro (Loligo vulgaris): è un mollusco cefalopode dal corpo allungato a forma di cono, sul dorso in posizione laterale si trovano due grandi pinne che nell’insieme formano un rombo, la testa sporge dal mantello con gli occhi in posizione laterale e attorno alla bocca si trovano quattro paia di braccia ed un paio di tentacoli che si allargano all’estremità a formare la cosiddetta clava, ricca di ventose poste in quattro serie. La conchiglia è interna a forma di spadino. Il colore è rosa-violaceo, con punti più scuri bruno rossicci. Può raggiungere una misura di 30-40 cm è più comune attorno ai 15 cm.

Spesso il calamaro, molto più pregiato, viene confuso con il totano. Si può facilmente riconoscere osservando le pinne, nel calamaro coprono metà della lunghezza totale del mantello, nel totano si trovano inserite solo all’estremità inferiore

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Cajatte 

Cajatte n.p., sop. = Forse significa “Con la gatta”

Ho una perplessità, in dialetto in “con” si traduce pe’

Vogghje parlé pe’ tè = Voglio parlare con te.

Quindi “con la gatta” si dovrebbe dire p’a jatte

Mi viene a mente André Cayatte il grande giornalista e regista francese.

 

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Cainéte

Cainéte s.inv..

1) ‘U cainéte s.m. = Il cognato = Il fratello della moglie;
o il marito della sorella della moglie;
o il marito della propria sorella.

2) ‘A cainéte s.f. = La cognata = La sorella della moglie;
o la moglie del fratello della moglie;
o la moglie del proprio fratello.

Se si riferisce al proprio cognata o alla propria cognata di dice cainàteme = mio o mia cognato/a; se al/alla cognata di chi ascolta di dice cainàtete = tuo/a cognato/a.

Mi viene in mente uno sfottò verso la parlata dei Foggiani, che per questo sostantivo usano una pronuncia per noi strana, ossia cainüte.

È un dialogo captato a volo per strada a Foggia chissà quanti decenni fa, e ripetuto fino a miei giorni.

-Ce stüce o nun ce stüce?
-Nun ce stüce!
-E addò stüce?
-Stüce ‘a cüse ‘a cainüte.

Traduzione per i non avvezzi al dialetto foggiano: C’è (ci sta) o non c’è? Non c’è! E dov’è? È a casa della cognata.

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Cagnùle

Cagnùle s.m. = Cannello

Notoriamente quando per scrivere si usava il calamaio e la penna, questa si suddivideva il tre parti: ‘U pennüne, l’asteccjùle, e ‘u cagnùle = Il pennino, l’asticciola e il cannellino.

Quest’ultimo era fatto di latta come un piccolo tubicino. In uno dei due fori si inseriva la bacchettina di legno e dall’altro lato del tubicino, che era un po’ sagomato ad hoc, il peduncolo del pennino d’acciaio.

Con l’invenzione della penna a sfera è passato tutto all’antiquariato

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Caggéne 

Caggéne s.m. = Gabbiano

Uccello acquatico, con ali bianche bordate di nero, becco affusolato e zampe palmate, comunissimo in tutte le località di mare.

Il dim. è caggianjille = gabbianello

Dalla riva i bambini gridavano ai gabbiani, modulando due note (sol-sol, mi-mi): Alì, caggéne, ‘u pèsce a mére! = Attenzione, gabbiano, c’è un pesce a mare, proprio sotto di te!

Insomma indicavano ai volatili che nei paraggi c’era una preda, come se quelli fossero distratti.

Lo scopo dell’invito era di vederli in azione mentre si tuffavano. Erano convinti che, se loro non avessero gridato, i poveri animali sarebbero rimasti a pancia vuota…

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Sciacquapecciöne

Sciacquapecciöne s.m. = Brodaglia, sbobba

Brodo troppo acquoso, insipido, per niente invitante.

Quando qlcu si imbatte malauguratamente davanti a un piatto non troppo appetitoso, specie se brodoso, e senza formaggio, come accade quando si è ricoverati in uno di quegli ospedali di terza categoria, si confida con il/la suo/a vicino/a di letto: e che jì ‘stu sciacquapecciöne? = ma che è questo liquido? È buono, solo perché tiepido, a fare le abluzioni nelle parti intime.

Ringrazio Sator per il suo prezoso suggerimento (del termine, non di fare le abluzioni…).

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Sciòttele

Sciòttele s.f. = Acqua di cottura

È l’acqua di bollitura che si raccoglieva dopo aver lessato la pasta o le vedure in genere.

Era usata ancora calda, in secondo uso, per lavare le stoviglie.

Si riciclava per il terzo uso come brodaglia per ammollare il pane duro da dare alle galline allevate in casa, e infine come sciacquone per il W.C. quando finalmente quasi tutti avevano in casa l’allacciamento alla fognatura (dopo gli anni ’40) ma non l’acqua corrente.

Prima dell’avvento della fogna semplicemente si buttava per strada per la delizia delle mosche…

Il termine sciòttele era ritenuto a torto troppo rozzo, e fu “ingentilito” in jòttele come quasi tutti quelli che iniziano con “sci” o contengono questo suono all’interno della parola (sciucarjille, desciüne, sciüte, scenócchje, ecc.= giochino, digiuno, andato, ginocchio, ecc.).

I Montanari, ammirevolmente più tradizionalisti, non sono caduti in questa moda e tuttoggi pronunciano questo suono marcatamente (me ne vògghje scì a Mónde =me ne voglio andare a Monte).

L’unica differenza con il manfredoniano è la “o” di Monte, da noi pronunciata larga e dai Montanari stretta.

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Sciuscjille

Sciuscjille s.m. = Pastone.

Impasto poco sodo di crusca e brodaglia, o pane vecchio ammollato nell’acqua di bollitura della pasta (sciòttele), dato come mangime alle galline allevate in casa.

Talvolta capitava che il capo famiglia, vedendo che la cena si presentava tutta brodosa e per niente di sostanza, dicesse:
e che ‘mma fé quà, u sciuscjille ‘i jallüne ? (E che dobbiamo fare qui, il pastone delle galline?).

Qualcuno più ruspante avrebbe detto: e che jì ‘stu sciacquapecciöne= E che cosa è questa sbobba?

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Caggiöle 

Caggiöle s.f. = Uccelliera

Gabbietta metallica per uso domestico, generalmente usata per porvi canarini o cardellini. I Napoletani la chiamano cajòla.
Questa della foto (clicca sull’immagine per ingrandirla) è detta caggiujèlle = gabbiettina, ed è usata solo per trasferire un volatile da un luogo all’altro. Un po’ come il furgone cellulare usato dalla Polizia penitenziaria per trasferire un detenuto da un carcere all’altro.

Quella più grande, costruita con asticelle di legno, era chiamatra caggellöne = stia.

I ragazzini più abili che catturavano i volatili si costruivano da sé la gabbietta con fil di ferro e assicelle di legno, con tanto di portellina per introdurvi il volatile e i semi di scagliètte per nutrirli.

Nell’immediato dopoguerra, quando le truppe americane ci deliziavano con i loro dischi e i loro film, fin ad allora proibiti dal fascismo perché avrebbero potuto imbarbarire con musiche “negroidi” la razza italiana, divenne famosissimo un gradevole motivo credo di Lecuona, dal titolo “Amapola”, cantato anche ai giorni nostri.

Che c’entra? Beh, Amapòla faceva una rima invitante con caggióla, il dialetto tradotto in un italiano improbabile.

Noi adolescenti arrossivamo nel sentire i più grandicelli che, in maniera disinibita, cantavano: “Amapooolaaa, fìcche-fìcche ‘ind’a caggjólaaaa…”

Al giorno d’oggi sembrerebbe roba da educande…..

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