Tag: sostantivo femminile

Cègghje

Cègghje s.f. = Ciglio, palpebra

Ciascuno dei peli ricurvi disposti sul bordo della palpebra a protezione dell’occhio.

Anche la linea di tali peli.

Deriva dal latino cilium = palpebra

Da non confondere con cìgghje (←clicca) che viene dal latino aculeus = aculeo, punta e pungere

Poiché i peli sono numerosi, generalmente si citano al plurale ‘i cègghje = le ciglia.

Vüte a quà, me sènde pungeché, angöre jì trasüte ‘na cègghje jìnd’a l’ùcchje = Guardami qui, mi sento pungere, putacaso fosse entrato un ciglio nell'(orbita dell’)occhio.

Con un termine più antico, ormai in disuso, di diceva ‘i papèlle de l’ucchje, forse derivato da palpebra.

Stéche sèmbre a lagremé, vüte angöre tènghe ‘na cègghje jind’a l’ùcchje = Sto sempre a lagrimare, vedi se ho un ciglio nell’occhio.

Per estensione in dialetto si usa chiamare cègghje anche le sopracciglia.

Mariètte ce spüle ‘ i cègghje = Mariella si depila le sopracciglia.

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Cecòrje

Cecòrje s.f. = Cicoria comune

In dialetto è conosciuta anche con il diminutivo cecurjèlle.

È una pianta erbacea, perenne con vivaci fiori di colore celeste, appartenente alla famiglia delle Asteraceae. (Cichorium intybus), da non confondere con quella orticola. È presente in Italia, nei campi, nei prati, in terreni incolti.

Viene riconosciuta anche dai meno esperti perché il fusto della pianta è di forma zigzagante.

In cucina si possono utilizzare le foglie per preparare insalate sia crude che cotte, saporite, ma decisamente amare.
In Puglia “fave e cicorie” è diventato un piatto tipico: foglie di cicoria campestre lessate e condite con abbondante purè di fave e olio extravergine di oliva.

In passato,soprattutto nel periodo bellico, le radici tostate, venivano usate come succedaneo del caffè. La coltivazione di cicoria a questo scopo, ebbe un grande impulso in seguito al blocco continentale, quando Napoleone si oppose all’importazione della canna da zucchero e anche del caffè.

Era conosciuta fin dai tempi antichi, prima come pianta medicinale, e poi come alimento.

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Cecèrchje

Cecèrchje s.f. = Cicerchia

La cicerchia è una pianta leguminosa annuale (Lathyrus sativus) appartenente alla fam. delle Fabacee, che assomiglia alla veccia e contiene nei suoi bacelli dei semi poco più grandi dei piselli ma più schiacciati.

Le cicerchie si trovano solo secche, e vanno sottoposte a un lungo ammollo prima di cuocerle. L’acqua di ammollo va eliminata poiché contiene una sostanza che può dare problemi al sistema nervoso.

La cicerchia è un legume ormai quasi dimenticato, è coltivato solamente in alcune zone dell’Italia centrale in quantità ridotta. Il motivo di abbandono della loro coltivazione va ricercato nel miglioramento delle condizioni di vita.

C’è in questi ultimi anni un’inversione di tendenza per la loro importanza nella dieta vegetariana mediterranea e nell’agricoltura biologica.

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Cavezètte

Cavezètte s.f. = Calza

1) Indumento aderente che copre il piede e parte della gamba.

2) Stoppino dei lumi a petrolio. C’era ‘a cavezètta chjàtte = La calza piatta, e ‘a cavezètta tonne = la calza tubolare, cilindrica, dalla fiamma molto più luminosa, ma dai consumi di petrolio illuminante (ora si chiama kerosene) più veloci.

Cavezètte l’aneme ‘i mùrte = Calza dell’Anima dei defunti. Usanza locale. Invece che alla Befana, la calza piena di doni e dolcetti a Manfredonia ricorre il 2 novembre. Un po’ l’antesignana di Halloween e della formula “dolcetto o scherzetto?”

Cavezètte de bomméce = Calza fatta con i ferri da maglieria con filo di cotone ritorto. Le nostre nonne dedicavalo la vita intera a sferruzzare per confezionare calze per tutta la famiglia.

Cavezètte veléte = Calze velate, a velo, sottilissime.(chiamate anche cavezètte setéte=calze setate).
Indumento esclusivamente femminile. Prima dell’avvento delle fibre sintetiche poliammide (spec. il nylon), le calze velate erano pregiatissime perché erano solo di seta, con la cucitura sulla parte posteriore che, una volta indossate, rendeva sexy la parte visibile delle gambe delle donne, almeno agli occhi bramosi dei maschietti.

Veramente io, all’epoca in cui si usavano le calze di vera seta, ero piccino e non avevo ancora gli ormoni maturi e sviluppati. Perciò la cucitura sexy mi lasciava completamente indifferente…

Cavezètte a còllant = Invenzione moderna, il termine collànt è importato dalla Francia tale e quale tranne l’accento. Indumento femminile di tessuto sintetico, sottile e trasparente, formato da due calze tenute insieme da una mutandina dello stesso tessuto.

Teràrece a cavezètte (←clicca) = Atteggiamento di sussiego, di altezzosità.

Tó va fé ‘a cavezètte! = Va a fare la calza tu!

Ordine inderogabile dato dal marito alla moglie quando questa usciva dal suo consueto atteggiamento di sudditanza e diceva la sua, anche solo nell’ambito delle mura domestiche. Fuori delle mura domestiche era inconcepibile che la donna avesse e manifestasse le sue idee.

Roba da medioevo. Il mondo era solo maschilista. Almeno all’apparenza…

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Cavedére

Cavedére s.f. = Pentola.

Grossa pentola per cuocere la pasta ( ‘i maccarüne).

Una volta le facevano di rame. Per evitare avvelenamenti da ossido la parte interna veniva coperta da un bagno di stagno fuso. Passava un ambulante per le vie di Manfredonia, con la sua brava forgia portatile, e stagnava, le pentole di rame. A volte anche gli zingari girovaghi facevano questa operazione.

Quando è proprio grande di chiama cavedaröne = marmitta, pentolone.

Se la massaia abbonda un po’ nel fare le porzioni della minestra si dice:
avàste! ne’mmettènne cchjó! Ha’ fatte ‘nu cavedaröne de pàste! Chi ca ce lu’ ha mangé? = Basta! Non metterne più! Hai fatto un calderone di pasta! Chi se la deve mangiare?

Per preparare il ragù si usa “ ‘a tièlle” o “a tjillózze

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Càvece

Càvece s.m. e s.f. = Calcio, Calce

1) Càvece s.m. = Calcio, pedata, colpo sferrato con un piede (al pallone o contro un avversario in lotta).

2) Càvece s.f. = Calce, prodotto per l’edilizia o anche la calcina, la malta per attaccare i tufi o pavimenti e rivestimenti.

La calce viene prodotta per cottura della pietra calcarea in apposite fornaci dette calechére (si ottiene la “calce viva in zolle”), la quale posta poi a contatto con l’acqua, sprigiona calore e comincia a ribollire.

Questo processo, che è molto pericoloso, si chiama “spegnimento” (o più correttamente “idratazione”) e viene realizzato in apposite vasche. La la calce così ottenuta mista all’acqua ha consistenza pastosa, e viene detta “grassello di calce” o più correttamente “calce idrata”.

La calce oggi è utilizzata è la calce idrata in polvere, un prodotto industriale venduto in sacchetti da 33 kg.. Esiste in commercio anche il grassello di calce in pasta, in sacchetti di plastica, prodotto ad Apricena.
La calce in grassello era usata per imbiancare le pareti (vedi:bianghjatöre)
Usata soprattutto per preparare intonaci e malte bastarde (mischiandola al cemento e alla sabbia o alla tufina) per murature e rinzaffi.

Ai tempi di Roma antica, si usava mischiarla alla pozzolana per legare i conci di tufo o di pietra. Vedi il Colosseo o i muri a “reticolato romano”, tuttora in piedi, dopo venti secoli.

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Catréme

Catréme s.f. = Catrame

In italiano il termine è maschile e in dialetto è femminile. La differenza non è solo questa.

Per i non addetti ai lavori si fa grande confusione fra i termini catrame, bitume, asfalto.

In pratica sono materiali bituminosi di varia provenienza, generalmente impiegati nell’edilizia stradale.

Il catrame si ricava dalla distillazione del carbon fossile, il litantrace; il bitume dalla distillazione petrolio; l’asfalto si trova in natura come miscela di pietrisco e bitume.

‘A catrème copriva il MacAdam (manto stradale di pietrisco rullato) di Via Tribuna, ed era l’unica strada “asfaltata” che attraversava Manfredonia, detta vianöve = via nuova.

Il sole torrido di agosto rendeva la superficie stradale molto molle, e noi monelli staccavamo dei pezzi di “catrame” per farne palline. La leggenda metropolitana imponeva di gettare queste palline nel fuoco della cucina (fino all’avvento del gas in bombole, nel 1950, le nostre mamme cucinavano a legna o con il carbone vegetale) per ritrovarle trasformate in biglie d’acciaio!

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Catòbbe

Catòbbe s.f. = Bombetta

Cappello rigido da uomo, di forma tondeggiante con piccola tesa leggermente rialzata.

La bombetta è riconoscibilissima, perché usata dal grande Totò, da Charlie Chaplin, da Oliver Hardy e Stan Laurel nei loro innumerevoli film.

Era usata dai professionisti. Ricordo la figura del medico Don Camillo Grasso associata all’immancabile bombetta.

Il popolino adoperava la classica coppola con visiera o il pratico basco.

Qlcu confonde la catòbbe con il “celìndre“, chiamandoli allo stesso modo. Ora che sono rarissimi, nessuno ci fa caso.

Il cappello a cilindro era conosciuto dal popolino negli anni ’30 solo perché indossato nelle grandi occasioni dai conducenti di carrozze a servizio dei signori abbienti, o dai cocchieri dei carri funebri.

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Catenìgghje 

Catenìgghje o Catenìglje s.f. = Cordoncino

rocchetto8È un lavoretto con il filo di lana multicolore, opportunamente intrecciato, che facevano anche i maschietti per ricavarne lunghi cordoncini.
Per ottenere il cordoncino si piantavano tre chiodini equidistanti intorno al foro centrale di un rocchetto vuoto, quello di legno tornito che acquistavano i sarti e che portava il filo della macchina per cucire. Ottenuto il “telaio” Si passava attraverso il foro il capo del filo di lana. lo si avvolgeva più volte intorno ai tre chiodini e poi con l’aiuto di uno spillone si accavallavano le maglie (quelle di sotto passava di sopra). Difficile da dire ma facile da fare.

Aveva un unico utilizzo. Il lungo cordoncino veniva piegato in due. Il vertice veniva poggato sulla parte posteriore del collo di un bambino (destinato a fare il cavallo) e i due segmenti passati sotto le sue ascelle. In questo modo, con molta fantasia i due capi, che rappresentavano le redini, venivano prese dal secondo bambino (destinato a fare il cavaliere).

Dopo la “bardatura” i due bimbi, cavallo e cavaliere, trotterellavano con lo stesso passo, all’interno della villa, o intorno al proprio isolato.

Il gioco era solo questo. Vi assicuro che ci divertivamo moltissimo.

Ma il lunedì di Pasqua la ‘galoppata’, si estendeva, andata e ritorno, fino a Siponto per la tradizionale gita di pasquetta!

Cateniglje è un suono spagnolesco (catenilla) che significa proprio catenella.

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Catalògne

Catalogne s.f., sopr. = Cicoria Catalogna

1) Ortaggio coltivato (Cichorium intybus, var. foliosum), detta Cicoria Catalogna o Cicoria asparago di Gaeta, più dolce e più grossa dell’amara cicoria campestre (Cichorium intybus).

Proprio per distinguere l’una dall’altra, quella dell’orto viene comunemente chiamata Catalogna, dalla regione Catalana da cui proviene.

Ci sono comunque almeno due tipi: uno più alto ed eretto, il quale essendo più amaro si presta meglio alla cottura; l’altro più basso, a costa larga, i cui germogli (turioni) si nascondono all’interno del cespo, sono buonissimi da mangiare crudi e sono noti come puntarelle, diffusi anche nella cucina campana e cucina romana.

2) Nomignolo affibbiato a un certo Catalano, sarto e suonatore nella banda cittadina, il cui cognome significa proprio originario della Cataluña = Catalogna, una bella Regione spagnola.

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