Vìzzje de natüre fin’alla morte düre

Vìzzje de natüre fin’alla morte düre prov.

Altri usano una variante che non muta il significato del Proverbio:
vìzzje de natüre pòrtene a sebbletüre = Vizi di natura portano alla sepoltura..

Il significato è estremamente chiaro, e come ogni Proverbio invita alla prudenza, alla moderazione, a evitare il male.

I vizi dell’umanità sono molti e uno peggiore dell’altro: il gioco, il fumo, l’alcol, le droghe, l’avarizia, la dissipazione, la menzogna, gli eccessi di cibo, le perversioni sessuale (pedofilia, sadismo, masochismo, ecc.), ed altre “graziose amenità”.

L’uomo nasce puro ma durante il percorso della sua vita potrebbe acquisire devianze riprovevoli e dannose: dal tabagismo all’alcolismo, e agli eccessi di ogni genere, tutti difficilissimi da estirpare.

Perciò se non si interviene drasticamente (magari con aiuto di terzi) si rischia la premorienza.
Esistono Comunità cui ricorrere per disintossicarsi dai vizi più pericolosi, cioè specificamente per i dipendenti da ludopatia, da droghe, da alcol.

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Campanjille

Campanjille s.m. = Campanello

Va bene anche scritto cambanjille, assecondando la pronuncia meridionale con addolcimento della “t” in “d” (sò cundènde).

La traduzione è semplice perché indica il campanello, sia quello metallico, di varie misure, munito di manico e battaglio ad uso liturgico, sia quello elettrico a pulsante, usato per bussare.

È nota la locuzione sapì a campanjille = a campanello, cioè sapere a memoria; imparare e ripetere a menadito una lezione o un brano di poesia o di musica.
Alle elementari ci veniva chiesto di imparare a memoria le “tabelline” (la tavola pitagorica).
L’insegnante faceva domande improvvise, tipo “9 x 7?” e pretendeva risposta immediata!
Un ottimo esercizio mentale.

Da non confondere con il campanile, che da noi si dice campanére o cambanére che designa anche la persona addetta a suonare le campane.

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Mettìrece

Mettìrece v.i.= 1 – mettersi, porsi, affacciarsi, collocarsi, indossare, ecc.// 2 – cognominarsi

Oltre ai significati più familiari (mettìrece a chjange = mettersi a piangere; mettìrece alla fenèstre =affacciarsi alla finestra; mettìrece ‘na cravatte = indossare una cravatta), in italiano esiste raro un verbo transitivo, cioè “cognominare” (dare un cognome), tale e quale al latino cognominare, qui usato in forma riflessiva.

Un modo curioso di nominare il proprio cognome, nel nostro dialetto, è sempre stato quello di usare il verbo mettìrece.
Giuanne ce mètte Valènte = Giovanni fa di cognome Valente (forma antiquata: si cognomina)

Con una circonlocuzione si può anche dire, forse in modo più comprensibile ai non avvezzi:
Giuanne jì ‘nu fìgghje de quìddi Valènte. = Giovanni è un figlio di quei Valente. O anche:
Giuanne appartine a quiddi Valènte = Giovanni appartiene a quei Valente.

Ecco un altro esempio colloquiale:
Cüme te chjéme? = Come ti chiami?
Giuanne = Giovanni
-E cüme te mìtte? = E di cognome?
-Me mètte Valènte.= Valente.

Con riferimento al linguaggio militaresco o anagrafico, nella richiesta di dati personali, è usato un modo burocratico che scavalca l’antico mettìrece con un’unica domanda:
damme nöme e chegnöme = dammi nome e cognome.

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Vi-vì

Vi-vì avv. = mantenere gelosamente qualcosa, custodire, reggere, aver cura di

Un’espressione simpatica che va sparendo.

Ha viste che bella giacchètte ca t’hanne rjaléte? Mò tinatìlle vi-vì! = Ha visto che bella giacchetta che ti hanno regalato? Adesso tienila con cura!

Ca ‘stu cacciunìlle lu tènghe vi-vì! = Perché questo cagnolino lo copro di attenzioni.

Töne quèdda màchene vi-vì = Ha molta cura per quell’auto.

Potrebbe significare “in bella vista” se si tratta di un oggetto, o “vivo-vivo” o “attivo” se si tratta di una animale da compagnia. cioè amato, accudito. Ma queste sono solo mie ipotesi, senza alcun riscontro etimologico.
Anche a Cerignola usano la locuzione “teneje vi-vì” definendola “tenere da conto come un tesoro da vedere e non toccare”.” (voce tratta dal «Dizionario dialettale cerignolano etimologico e fraseologico»-Cerignola 1994-Centro Regionale di Servizi Educativi e Culturali)

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Pezzelé

Pezzelé v.t. = Beccare,

È l’azione dei volatili quando col becco raccolgono il loro cibo, generalmente costituito da granaglie.
Ho visto galline pezzelé avidamente la parte interna della scorza del melone bucherellandola vistosamente.

Il verbo pezzelé indica anche l’atto dei pennuti di colpire col becco, per difesa o per offesa, come fanno le oche, gli struzzi e i tacchini. Questi sono abili anche ad uccidere i serpenti con il loro formidabile becco.

Pensate ai grossi volatili (aquile, condor, avvoltoi) che uccidono col becco le loro prede!

Era chiamato faccia pezzeléte il volto butterato, ossia il viso con gli esiti del vaiolo. Appariva deturpato, coperto da innumerevoli forellini, come se vi avesse beccato un uccello.

Fortunatamente questa malattia nel mondo occidentale è stata eradicata per merito della vaccinazione di massa antivaiolosa. Tuttavia ricordo di aver visto negli anni ’50 alcuni soggetti anziani che l’avevano contratta in gioventù, probabilmente agli inizi del ‘900.


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Sprevelé

Sprevelé v.t. = Sbriciolare, sgretolare, sminuzzare

Si può usare indifferentemente anche sfrevelé .

Ridurre qualsiasi cosa in briciole, dette frevógghje, sfrevógghje, sprevelìcchje.

Alcuni esempi calzanti:
-sbriciolare con le mani l’infiorescenza secca dell’origano per condire una pietanza,
-frantumare cob le mani un biscotto da intingere nel latte,
-sminuzzare una mollica di pane per preparare il ripieno di un intingolo.

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Paprecchjöne

Paprecchjöne agg., s.m. = Sciocco, fessacchiotto

Generalmente è riferito a persona insulsa, facilmente raggirabile, un po’ ingenua, tarda nell’agire.

‘Stu paprecchjöne pe ‘nzacché ‘nu chjuve ce mètte mezza jurnéte! = Questo sciocco per piantare un chiodo impiega mezza giornata.

Probabilmente derivato da papero.
Per il femminile l’italiano similmente usa “oca” per dire sciocca.

Credo che per definire in dialetto le stesse “qualità” al femminile basti un semnplice “pàpre” = papera, oca.

Angöre mò ce arretüre ‘sta pàpre = Solo adesso rientra, questa sciocca.

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Sèggia Manzegnöre

Sèggia manzegnöre loc.id = Seggio episcopale, cattedra vescovile, faldistorio

In questo caso non si fa riferimento alla vera e propria sedia usata dal Vescovo, il monsignore durante la liturgia cui partecipa.

Si intende invece quell’antico gioco fanciullesco che in italiano era detto “gioco del predellino”.
Due bambini si pongono di fronte. Ognuno afferra con la propria destra il polso sinistro e con la mano sinistra il polso destro dell’altro.
Come si vede nella foto, si forma una specie di quadrato sul quale si siede un terzo bambino che viene così trasportato, come su una sedia gestatoria, per un tratto prestabilito, cantilenando:

‘A sèggia manzegnöre e ce assètte lu segnöre…= La sedia gestatoria su cui si siede signore…

Salvo poi a mollarlo a sorpresa, ad un cenno di uno dei “portantini”.
I bambini hanno le ossa di “gomma”, e fortunatamente non riportano conseguenze nel cadere sul pavimento.

Tutti quelli di età prescolare, in mancanza di giocattoli, si sono trastullati con questo giochetto.
Ora si sollazzano con le play-stationiPad o altre diavolerie: tutti giochi individuali. Puah!

Questo sistema “a sedia gestatoria” viene usato dagli adulti (Pompieri, Soccorritori della Protezione Civile, Medici del 118 ecc.)  nei casi di soccorso immediato a feriti da accostare all’autoambulanza, ove non si possa accedere la lettiga.
Ovviamente senza cascata finale!

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Scrüme

Scrüme s.f. = Scriminatura, riga

Linea di spartizione dei capelli.
È la linea che divide le ciocche dei capelli orientandole in due direzioni diverse.

Pòrte sèmbe a scrüme a dritte = Mi pettino sempre con la scriminatura a destra.

Gli uomini del ‘900 usavano pettinarsi con la scriminatura rigorosamente al sommo del capo (‘a scüme a mìzze). I capelli impiastricciati di brillantina (a olio o a pomata) e apparivano rigorosamente lucidi e attaccati ai due lati del cranio, a prova di vento.

I ragazzi dagli anni ’80 nostra epoca hanno usato la gommina, un gel per capelli, con lo stesso effetto “bagnato” ma col vantaggio di non ungere, salvaguardando dall’unto i colletti, le sciarpe e  i guanciali.

Anche questo sostantivo ha diretta derivazione dal latino discrimen = separare, dividere.

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