Caröte

Caröte s.f. = Barbabietola

Pianta erbacea che presenta due varietà, una a radice carnosa e tondeggiante di colore rosso scuro e di sapore dolciastro, commestibile, (Bieta vulgaris esculenta) e una a radice bianca, dalla quale si estrae lo zucchero (Beta vulgaris crassa)

Non tragga in inganno la somiglianza di caröte con il sostantivo italiano carota.

Quest’ultima, gialla, in dialetto è chiamata pastunéche.

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Carnevéle chjüne de pàgghje

Carnevéle chjüne de pàgghje loc.id. = Carnevale pieno di paglia.

Epiteto offensivo che descrive qlcn che non è affidabile, che può definirsi con espressione italiana come pallone gonfiato o fantoccio inanimato, senza spina dorsale, inetto e senza personalità.   Con espressione napoletana, forse più efficace e calzante ‘omme ‘e mèrda

Insomma un soggetto da evitare.

La locuzione deriva dalla consuetudine manfredoniana di preparare per il periodo di carnevale un fantoccio riempiendo di paglia un paio di calzoni e altri indumenti in modo da dargli una sembianza di persona.

Il principe dei pupazzi impagliati è il famoso Ze Pèppe. Fintantoché è un pupazzo pieno di paglia possiamo anche divertirci a presentarlo come vogliamo. Se la definizione si riferisce ad una persona, la squalifichiamo evidenziando il suo comportamento in seno alla società.

Lassàtelu pèrde: códde jì ‘nu Carnevéle chjüne de pàgghje. = Lasciatelo perdere, costui è un pagliaccio (non ha serietà).

Ringrazio Manfredonia Ricordi (Matteo Borgia) per la splendida foto di Carnevéle pieno di paglia.

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Carnevéle

Carnevéle s.m. = Carnevale

CarnevalePeriodo compreso tra l’Epifania e la Quaresima, caratterizzato da scherzi e divertimenti, balli, feste in maschera.

Il nome deriva dall’espressione latina carnem levare, togliere le carni dalla mensa, perché stava per iniziare il periodo penitenziale della Quaresima. Un ramadan, un digiuno molto più moderato di quello arabo.

E prima di ciò si approfittava per far piazza pulita delle scorte: obbligatorio mangiare, bere e divertirsi!.

Il soprannome Carnevéle, è attribuito alla Famiglia Principe. Tra i fratelli Prencipe vi era un bravo falegname, un dotto Canonico, e un valente Violinista, attivo nell’orchestra Alessandro Scarlatti di Napoli.

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Carmillotte

Carmillotte  sop. = Carmine, Carmela

Diminutivo di Carmine o Carmela: Carmenùcce, Carmenjille, ecc.

Diminuendo ancora è diventato poi un soprannome.

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Cariöle 

Cariöle s.f. = Carriola

Generalmente con questo sostantivo si intende quel carrettino a mano con una ruota e due stanghe, usato dai muratori e dai contadini per spostare piccoli carichi entro piccoli spazi. Una volta erano di legno, ruota compresa. Ora sono di acciaio con il ruotino pneumatico, come appare nella foto di Wikipedia.

Fino agli anni ’50, dicendo cariöle invece si intendeva tutta un’altra cosa: il frutto del nostro fervido ingegno!

Noi ragazzini compravamo dal rigattiere, o da qualche officina, tre cuscinetti a sfera “sballati”, ossia logori e non più adatti ai congegni meccanici.  Possibilmente uno più grande per lo “sterzo”, e due più piccoli e di egual diametro, per l’asse posteriore. Poi delle assi di legno e chiodi.

Si smanicava, magari facendoci aiutare dagli adulti per ottenere il prodotto finito che potete ammirare nella foto di Matteo Borgia. Notate la parte anteriore snodata che opportunamente manovrata dava la direzione voluta al “veicolo”.

La usavamo per andare a caricare un paio di secchi d’acqua al fontanino pubblico, o a portare 30 kg di grano al mulino per la macinazione. In questo caso era un vero e proprio mezzo di lavoro.

Più spesso era un gioco. Ai due bracci del “manubrio” si legava una funicella per trainarla e scarrozzare i fratelli più piccoli. Ossia noi settenni portavamo a spasso i bambinelli di quattro-cinque anni.

Quando fummo più grandicelli, verso i 10 o 11 anni, facevamo un gioco decisamente pericoloso giù per la discesa del Seminario. Ci ponevamo tre o quattro “piloti”, ognuno con la sua carriola, ritti sul pianale, reggendoci alla funicella che fungeva questa volta come un paio di redini.

Al “via!” ci lanciavamo nel nostro “Gran Premio” spingendo all’indietro con un piede il manto stradale  – tipo monopattino – per dare più accelerazione alle ruote.

Da allora mi sono fermamente convinto dell’esistenza dell’Angelo Custode, posto dal Signore a fianco di ciascuno di noi per proteggerci dai pericoli.

Difatti, nonostante gli inevitabili ruzzoloni, siamo usciti illesi da questa follia, anche perché, all’epoca dei fatti raccontati, il traffico automobilistico era pressoché inesistente.

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Carevöne

Carevöne s.m. = Carbone

Generalmente si intende il carbone vegetale.

Serviva per riscaldare gli ambienti in appositi bracieri (‘u vrascjire) e anche per arrostire le vivande sulla brace.

I pezzi più grossi erano richiesti per la maggiore loro durata.

Erano noti come carevüne a ciocche perché ricavati da ciocchi di legna e non dai rami delle piante.

Il carbone minerale era usato dai fabbri per i lavori di di forgia e dalla Ferrovia per le locomotive a vapore.

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Carevógne

Carevógne s.m. = Foruncolo.

Foruncolo, pustola, brufolo.

Il  foruncolo è un’infezione superficiale della pelle, molto dolorosa,  in genere causata dal batterio Staphylococcus aureus. Si presenta con un vistoso arrossamento che successivamente diventa gonfiore e poi in una sacca di pus.

Il termine carevógne deriva da “carbonchio”, infezione che colpisce i bovini (e talvolta anche l’uomo), anch’essa caratterizzata da pustole emorragiche molto dolorose.

Talora le pustole comparivano sotto le ascelle. Queste non erano singole, ma multiple, a grappolo, veramente dolorosissime e venivano chiamate al maschile i “rìzzetjille”.

Compare in diverse parti del corpo: dietro il collo, sugli arti, ai lati della bocca, ecc. Forse dovuto alla carenza di igiene o a disordini alimentari.

Per guarire dai foruncoli bisogna attendere pazientemente la loro “maturazione”, ossia che la parte dolente e tumefatta si trasformi in pus.

Bisognerebbe evitare di creare artificialmente una via d’uscita. Una volta era usuale bucare la pelle con un ago disinfettato (spungeché) e schiacciare  la bolla per svuotarla dal suo contenuto purulento (’a matèrje).

Mia nonna, per accelerare la maturazione del foruncolo, lo ungeva con il grasso delle macchine e lo copriva con la carta oleata.
Altri, meno rustici di mia nonna,  usavano un unguento, suggerito dal farmacista, a base di ittiolo.

Ai nostri giorni – ammesso che si manifesti  ancora sulla cute dei divoratori di Nutella – i medici suggeriscono di usare l’olio di Melaleuca (*)  che è un potente anti-batterico e anti-infiammatorio. Presumo che associandolo con un paio di pasticche di antibiotico si possa accelerare l’eliminazione del fastidio!

(*)notizie attinte dal web,

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Caremöle

Caremöle n.p. = Carmela

Deriva dall’ebraico Charmel e significa “giardino divino”, oppure “orto di Dio”. E’ un nome molto diffuso per via della sua matrice religiosa.

L’onomastico si festeggia il 16 luglio in onore della Beata Vergine del Carmelo, per via dell’apparizione della Madonna sul Monte Carmelo in Palestina nel 1251.

In questa data la Chiesa commemora anche le suore Carmelitane di Compiègne, martiri nel 1794, durante la Rivoluzione francese.

La variante Carmelo al maschile è diffusa solo in Sicilia. Da noi si fa ricorso a Carmine, con tutte le sue varianti:
Càrmene, Carmenjille, Carmenèlle, Carmenócce, Menjille, e in tempi più recenti Carmen e Carmenio, francamente un po’ forzati.

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Carècchje 

Carècchje s.f. = Capesanta, Canestrello, Pettine.

Mollusco bivalve (Pecten jacobeus), con valva destra convessa e sinistra piatta. Ha due ali anteriori poste marginalmente alla cerniera e numerose coste radiali sulle valve. Vive sulla costa atlantica.

I pellegrini di ritorno dal Santuario di S.Giacomo (Santiago di Compostela), in Galizia (ecco l’origine del nome pècten jacobèus = Pettine giacomeo) ne portavano alcune cucite sul copricapo e sul mantello, e una più grande, quella convessa, appesa in vita. La usavano per raccogliere cibo dagli abitanti dei villaggi attraversati nel far ritorno a casa.

Quelle rosa (Aequipecten opercularis) ha dimensioni minori e le valve entrambe convesse, come la carècchja comune (Chlamis varia o flexuosa) hanno la stessa forma, cambia solo il colore, e la parte edule più tenera.

Vivono nei fondali bassi e sabbiosi del Mediterraneo.

A Manfredonia le capesante, o meglio le carècchje sono consumate crude o ammollicate, ossia con mollica di pane, olio, aglio prezzemolo e pepe e cotte al forno.

Quando si vuol smentire qualcuno, come per dire che le sue sono affermazioni senza contenuto, come i gusci vuoti delle canestrelle, si usa la locuzione: Sì, ‘i carècchje = Sì, tu racconti balle! Parole vuote, chiàcchjere mòrte.

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Cardungille 

Cardungille s.m. = Cardogna comune, cardo campestre, cardoncello

 

 Il Cardo campestre (Scolymus grandiflorus della fam. Asteraceae) è una pianta selvatica commestibile, di cui si usa  la costa carnosa della rosetta basale e la propaggine più tenera privata da spine e filamenti. 

cardungjille sono usati per preparare minestre nel periodo pasquale, cotti in spezzatino con carne di agnello, uova, formaggio. Questa pietanza chissà perché in alcune famiglie veniva chiamata ‘U Benedìtte = Il Benedetto.

Vi suggerisco la ricetta nostrana:
https://ricettemanfredonia.altervista.org/cardoncelli-con-agnello-e-uova/

Nella Puglia piana vengono detti cardungille anche i funghi cardarelli (Pleurotus eryngii)

 

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