Tag: sostantivo femminile

Tursèlle

Tursèlle s.f. = Cavolo rapa

È una varietà dei cavolo (Brassica oleracea gongylodes). Poco diffuso da noi.
Può essere mangiato cotto come una una qualsiasi verdura, ma anche crudo  in insalata, a fettine sottili o à la julienne. Ha un sapore simile a quello dei ravanelli, e possiede molte proprietà ed elementi nobili, tra cui il fosforo, oltre che un quantitativo elevato di vitamina C e poche calorie.

Il termine dialettale (può anche pronunciarsi turzèlle) trae la sua origine da (clicca→) tórse = torsolo, inteso specificamente come il torsolo delle cime di rape, di cui ricorda il gusto e l’odore quando lo si assapora crudo.

Riporto testualmente quanto pubblicato da “Valfrutta-Coop.Agricola” su questo ortaggio.

«Altra interessante varietà di Brassica oleracea [tra le sue numerose varietà troviamo il comune cavolfiore il cavolo cappuccio e la verza ndr], il nome scientifico del cavolo rapa è Brassica oleracea gongylodes.
Anch’esso originario del bacino del Mediterraneo e dell’Asia centrale, il cavolo rapa forma un apparato radicale a fittone ma, a differenza degli altri cavoli, meno sviluppato; il fusto sviluppa una parte ingrossata detta torso (impropriamente chiamata rapa) dalla consistenza carnosa e dal colore che può essere bianco, verdastro o violaceo e che è la parte commestibile della pianta, capace di raggiungere anche 1 kg di peso. Dal torso si formano foglie lungamente picciolate (anche oltre i 15 cm), lobate, di colore verde più o meno vivo o violacee e ricoperte da sostanze cerose tipiche delle varietà di B. oleracea.»

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Pàbbele

Pàbbele s.f. = Favola  raccontino

Una storiella interminabile, che si arricchisce di particolari man mano che si racconta, inventata al momento, magari a commento di un episodio di cronaca realmente accaduto in ambito politico, sociale, sportivo, lavorativo, ecc.

Talvolta l’espressione pàbbele e frecàbbele si usa per indicare un allegra serata trascorsa tra amici a raccontare storie, vere e inventate, all’insegna dell’allegria, del cibo e del buon vino.

A parte l’assonanza fra questi due termini (si usa spesso in dialetto come in storje e patòrje…,  mamùrce p’i ndurce,… nannùrche abbasce a l’urte… spìrte e demìrte,… sturte e malurte,… ecc.), il sostantivo pàbbele, che è usato sempre al pluralesignifica proprio favole.

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Vusjire

Vusjire s.f. = Visiera

Breve falda del berretto sporgente solo davanti, usata come riparo dal sole e anche dalla pioggia, in cappelli e berretti, soprattutto sportivi e militari. Molto usata per i copricapi invernali dette “coppole” usate dagli uomini del Sud,
Le visiere sono ben sporgenti nei berrettini estivi.

 

Tesa di celluloide o di plastica trasparente ma fortemente colorata che, applicata alla testa mediante un elastico, serve a difendere il viso da luce troppo viva (portata soprattutto da saldatori, da sportivi, da registi e operatori cinematografici e televisivi, ecc.)

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Ardüche

Ardüche s.f. = ortica

L’ortica (Urtica dioica) è un’erba infestante diffusa in tutto il mondo. “Si trova frequentemente nei terreni azotati, ad esempio tra le macerie e i luoghi incolti, vicino ai centri abitati, o nei lati più umidi e ombrosi dei boschi, dal mare alla montagna” (Wikipedia)

È un pianta erbacea della famiglia delle Urticacee con numerose specie diffuse n tutto il mondo, dalle zone tropicali a quelle temperate. Quasi tutte sono dotate di temibili peli urticanti sul fusto e sulle foglie.

Trova largo uso in erboristeria per le sue qualità antinfiammatorie e diuretiche.

Ho scoperto con raccapriccio che l’ortica è usata anche in gastronomia perché – udite udite! – alcuni la mangiano (dopo averla lessata) nei ripieni dei ravioli, nei risotti, o nel pesto con pinoli e pecorino, al posto del tradizionale basilico.

Ce la mangiàssere löre!

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Pöte

Pötes.m. s.f. v. intr.= Piede, potatura, può

1 – Pöte – al maschile significa semplicemente piede, riferito sia  a quello umano, sia a vari oggetti (pöte ‘u ljitte = piede del letto, pöte-u-vrascjire = piede del braciere, ecc.)

2 – Pöte – al femminile (‘a pöte o anche ‘a putatüre) indica l’operazione di sfrondatura delle piante coltivate (olivi o da frutta) allo scopo di accrescerne la resa.

3 – Pöte – Con lo stesso suono si indica la terza persona singolare del verbo putì, potere.  Ad esempio:
Giuanne nen pöte venì jògge= Giovanni non può venire oggi.
Mamme nen pöte mangé ‘a frettüre = mia madre non può mangiare la frittura (peccato!)

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Requèste

Requèste s.f. = Riserva, scorta

L’accantonamento si riferisce specificamente ad alimenti acquistati in sovrabbondanza per futuri utilizzi.
Ovviamente si tratta di derrate non deperibili, come legumi secchi, riso, pasta, scatolame, biscotti, farina, caffè ed altro.

La brava massaia ne tiene sempre in casa a requèste, per ogni evenienza.

A requèste un cubetto di lievito o una busta di affettati in frigo si trova sempre!

Come in italiano il sostantivo si fa precedere da una preposizione semplice ( di riserva, per scorta, in accantonamento, a deposito, in aggiunta), così in dialetto si usa la preposizione “a”: a requèste.

Ricevo dal prof.Michele Ciliberti, che qui ringrazio pubblicamente, un prezioso suggerimento sull’origine del vocabolo:
«Etimologia: dal latino re-quæro da cui anche quæstus e quæstua, con il significato di ricerca, richiesta, affare, guadagno e commercio. Mettere da parte ciò di cui si ha bisogno».

 

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Accònge

Accònge s.f. = Velo nuziale

Potrebbe somigliare al termine italiano ‘acconciatura’, ma questo indica solo pettinatura, messa in piega, taglio dei capelli.

L’accònge è il velo bianco che, opportunamente elaborato, arricchito da diademi vari, la sposa si pone sul capo per la cerimonia nuziale.

Spessissimo il velo ha una coda lunghissima, sorretta da due paggetti per non farla sporcare sul pavimento quando si avvicina all’officiante.

Più l’acconge era lunga e più destava ammirazione, specie tra le donzelle che miravano anch’esse al loro momento magico.

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Accesàgghje

Accesàgghje s.f. = Strage, uccisione, sterminio, sfacelo

Questo sostantivo è usato per lo più in forma metaforica. Insomma più che massacro, sterminio, eccidio, è usato in modo estensivo per indicare un disastro, una rovina, un grave danno.

U vjinde a Sepònde ò fatte n’accesàgghje d’àreve = Il vento, ha Siponto ha causato un’ecatombe di alberi (nella pineta).

Deriva da acciüde e acciüse = uccidere, ucciso.

Voglio scherzare riesumando – vista la somiglianza – un termine dell’italiano parlato nel 1400: uccisaglia!

L’Accademia della Crusca dice che a quell’epoca si usavano anche:

ucciderìa s.f.
uccidigione s.f.
uccidimento s.m.
uccisaglia s.f.
aucisaglia s.f.
occisaglia s.f.
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Abbunàneme

Abbunàneme s.f. = Buonanima

Allorquando, nel corso di una conversazione, si nominava una persona deceduta, si diceva abbunàneme de … = la buon’anima di… , in segno di rispetto verso l’anima del defunto.

Me so’ sunnéte abbunaneme di pàteme….
Oppure: Me so’ sunnéte a pàteme, bbunàneme invece di abbunàneme.

Perché si è usata o si usa ancora tanta riverenza verso il defunto, era obbligatorio? Al Nord dicono “il povero Tizio”, “la povera Tizia”

Questa la mia opinione (opinabile): ritenendo che l’anima della persona si trovasse alla presenza del Creatore, la nostra chiamata in causa lo avrebbe sicuramente distolto per farlo avvicinare alla vacuità delle nostre povere chiacchiere.

Ovviamente la nostra intromissione sarebbe stata inopportuna perché è irriverente verso Dio.

Al femminile suona abbonàneme o bbonàneme

Quando si nominava una persona deceduta in giovanissima età, si usava al maschile benedìtte  o al femminile  benedètte.

Döpe tand’anne, mamme pènze sèmbe alla benedetta Luciüje = Dopo tanti anni (dal decesso), mamma pensa sempre alla povera Lucia.

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Rìnje

Rìnje oppure arìnje s.f. = Origano

L’origano comune (nome scientifico Origanum vulgare, è una pianta perenne aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae (da Wikipedia).

È una pianta infestante, che attecchisce facilmente nei terreni collinari o sassosi.

Si utilizza come pianta aromatica, spiluccandone le foglioline e la cima essiccate, nella cucina mediterranea.

Immancabile sulla pizza, e in intingoli con pesce o carne

Se occorre l’articolo scrive in due modi diversi per l’omofonia (la rìnje o l’arìnje).  Nella frase che non richiede articolo prevale rìnje.

Per esempio: 

Accattéme l’arìnje (o la rìnje o ‘a rìnje)
Mìtte ‘nu pöche de rìnje.

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