Categoria: Z

Zerèlle

Zerèlle s.f. = testicoli.

Ciascuna delle due ghiandole genitali maschili contenute nello scroto e destinate alla produzione degli spermatozoi.

I vari dialetti usano sempre espressioni colorite, a cominciare da coglioni, ormai di uso comune, a cabbasisi, zerèlle, chegghiòune, cuion, balusun, ecc.,

Nei litigi dei ragazzotti si usava minacciare l’avversario prospettandogli la estirpazione non chirurgica dei testicoli: sciuppé ‘i zerèlle!

Quelli dei bambini e degli adolescenti, non maturi per l’attività sessuale, erano chiamati ‘i pallotte.

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Zequigne

Zequigne s.m. = uccellino implume

Si tratta di cardellino o altro uccellino da canto nato in cattività, implume, appena all’inizio della sua vita, che viene imbeccato dalla madre.

Accettabile anche la grafia zecuigne o zucuigne.
Quest’ultimo caso la pronuncia, per la nota regola fonetica della metatesi, risente del trasferimento fonetico della vocale ‘u’ dall’articolo qnche al sostantivo.

Faccio il solito esempio:
Tre zequigne e ‘u zuquigne.

Ringrazio il lettore Enzo Renato per il suo suggerimento.

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Zeppetèlle

Zeppetèlle s.f. = Semenza da calzolaio

Si tratta di chiodini a testa piatta usati dai ciabattini per riparare scarpe e pianelle di cuoio.
Ora non si usano più perché, in questa nostra epoca consumistica, quando si rompono, le scarpe vengono semplicemente buttate, o al massimo riparate con un po’ di collaprene, il Bostik.

Le zeppetèlle erano chiamate anche pundenèlle = puntine o anche – adeguandosi al termine tecnico italiano semenza – semenzèlle, perché così piccole da sembrare semini di una pianta.

Non so se sono ancora usate. Quelle che ricordo io avevano sezione quadrata e testa piatta, di varie misure, fino alla lunghezza massima di 15 mm.

Il ciabattino teneva le zeppetèlle in una scatoletta di latta o di cartone, sul suo deschetto, sempre a portata di mano.

Tutti quelli non addetti ai lavori li chiamavano ‘i chjuètte = chiodini, chiodetti, ma l’artigiano riparatore usava i termini “tecnici” di zeppetèllepundüne, pundenèlle o di sumenzèlle.

Anche perché altre categorie di artigiani (il fabbro, il lattoniere, il sellaio, ecc.) con chjuètte intendevano indicare i rivetti, i ribattini.

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Zènne

Zènne s.f. = Pezzetto; luogo appartato

Probabilmente deriva da “accenno”, nel senso di lieve segno, piccola indicazione, poca roba insomma.

Il Prof.Ciliberti ha fugato ogni dubbio: «”zénne” deriva dall’antico germanico “zinna” con significato di : parte, lato, luogo.»
Così è riportato pure in un dizionario dialettale di Cerignola.

1) Porzione di dimensioni piccole di una qualsiasi sostanza.

Damme ‘na zènne de péne = Dammi un pezzetto di pane.

Pegghjéme ‘na zènne d’arje! = Prendiano una boccata d’aria!

A Potenza dicono ‘na nzénghe, a Napoli ‘na sènghe, in Abruzzo ‘na nzègna. cioè un cenno, una linea.

2) Luogo tranquillo, isolato, angolo, a lato, a parte.

Chiuvöve forte, e pe’ nen bagnàreme me so’ mìsse a ‘na zènne e agghje aspettéte ca scamböve. = Pioveva forte e per non bagnarmi mi sono messo in un angolo e ho aspettato che cessasse.

Quanne passe ‘a preggessjöne,  mìttete de zènne = Quando passala processione, mettiti di lato.

Locuzione camené zènna-zènne  indica lambire, costeggiare, rasentare.

Per esempio rasentare una parete (clicca→ resa-rese) oppure percorrere uno spazio che costeggia una superficie, in contrapposizione alla locuzione ammjizze-ammjizze, ossia attraversarla nel bel mezzo.

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Zengöne

Zengöne s.m. sop. = Aculeo

Aculeo, pungiglione, tipico delle pale dei fichi d’india.

E’ anche un soprannome locale. Uno dei Zengöne ha una rinomata pescheria in via Tribuna.

Al plurale fa zengüne. Con questo termine si intendono anche i peli delle gambe maschili (rarissime volte anche delle gambe femminili, ma proprio raramente) irti, lunghi, orribili.

Madò, ‘mbacce ‘i jàmme tenghe i zengüne tànde! = Madonna, sulle gambe ho dei peli superflui esageratamente lunghi (quanto l’indice della mano sinistra, indicato dall’indice della mano destra, dall’unghia alla base della falange)

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Zellüse

Zellüse agg. = Cavilloso, puntiglioso

Al femminile fa zellöse.

E’ zellüse una persona che si comporta da guastafeste, che non trova mai nulla fatto bene, che le regola vengono rispettate solo da lui, che gli altri non sono mai corretti, che trova sempre il pelo nell’uovo, ecc…

Insomma un personaggio autenticamente pesante, insopportabile, antipatico.

Deriva indubbiamente dal verbo (clicca→) zellàrece = sporcarsi.  Forse perché si è cacato la mutanda e perciò puzza!

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Zegrüne

Zegrüne s.m. = Tela di petto.

Si tratta di un tessuto piuttosto grossolano, a trama larga, usato in sartoria per dare rigidità e sostegno al colletto, alle spalline e ai due “petti” della giacca o del cappotto.

Infatti ‘u zegrüne viene chiamata anche “töle de pjitte” = tela di petto.

Quando qualche giovanotto camminava tutto impettito, ritto come un militare, si diceva ironicamente che si era fatto “‘nu vestüte de zegrüne” = un vestito confezionato interamente con tela di petto, talmente rigido da impedirgli qls movimento.

È composta da fibre vegetali e da crini di cavallo (forse proprio da crine viene il nome zegrüne). Ricordate la canzone di Vianello “Non è un capello, ma un crine di cavallo uscito dal paltò”? Ecco, era un filo dell’ordito della tela di petto

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Zechìcchje

Zechìcchje top. = Zio Checco

Località a levante di Manfredonia delimitata da Via Pulsano, Via Gargano e Via Dante Alighieri sul versante della montagna.

Parlo degli anni ’50, quando vi hanno costruito le palazzine delle Case Popolari e Via Pulsano era il “tratturo” conosciuto solo dai pecorai e Via Dante Alighieri non esisteva perché c’erano piante di fichi d’india fino all’Acqua di Cristo.

Andare a Zechìcchje era come dire andare fuori le mura. Il terreno di Zechìcchje era anch’esso tutto coperto di fichidindia.

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Zecchenètte

Zecchenètte s.m. = Zecchinetta

Gioco d’azzardo con le carte italiane. Questo nome deriva dalla corruzione della parola lanzichenecco dal tedesco Landsknecht, cioè servo della gleba (Land = terra, patria + Knecht = servitore)

Il gioco giunse in Italia nel XVI secolo portato dai mercenari tedeschi, chiamati appunto lanzichenecchi.

Nei decenni passati, la Zecchinetta era probabilmente il gioco d’azzardo più diffuso in molte bische dell’Italia centro-meridionale. In alcuni ambienti esiste ancora oggi. Non si può giocare nei locali pubblici.

Mi ricordo che in ogni cantina c’era sempre un cartello ben visibile dove il Commissario di Pubblica Sicurezza elencava i giochi di carte proibiti perché considerato d’azzardo. Fra essi c’era anche la misteriosa zecchinetta.

Vé juché au zecchenètte = È un giocatore incallito.
Indipendentemente dal gioco svolto. Era considerato uno sciagurato. Con un neologismo dicesi ludopatico.

Per coloro che volessero malauguratamente intraprendere la carriera dei giocatori incalliti, riporto le regole del gioco (reperite in rete):

Regolamento della Zecchinetta: giocatori da due in sù, mazzo da 40 carte italiano.
Si sorteggia chi deve essere il banchiere per la prima mano. Il prescelto stabilisce le puntate minime e massime. Quindi mescola, fa tagliare il mazzo e, colloca due carte scoperte verso il centro del tavolo e una scoperta davanti a sè.
Quest’ultima è la carta del banchiere, mentre le prime due sono quelle dove i giocatori possono puntare.
Quando le puntate sono state fatte il banchiere scopre una quarta carta dal mazzo.

– Se essa è uguale a una delle carte dei giocatori, egli vince tutte le puntate messe sulla carta omologa e le incassa.
– Se invece è uguale alla sua carta, egli paga alla pari tutte le puntate messe sulle due carte dei giocatori e il turno di banchiere passa al giocatore seduto alla sua destra.
– Se infine la quarta carta è diversa dalle tre carte scoperte, egli la colloca a fianco delle prime due e anche su di essa i giocatori possono piazzare nuove puntate.

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Zeccheneddére

Zeccheneddére s.m. = Giocatore (di carte)

Se volessi creare un neologismo, direi “zecchinettaio”, definizione che non esiste in italiano.

Personaggio un po’ losco, che dedicava il suo tempo al gioco di carte, dal quale ricavava da vivere spennando gli allocchi, e dotato di indubbia abilità, derivatagli dal continuo esercizio.

Il nome deriva dal gioco d’azzardo zecchenètte= zecchinetta. Ma costui sapeva maneggiare le carte in tutti i giochi che comportavano puntate di denaro (poker, mazzetti, tressette e scopa).

Generalmente questi ultimi due (tressette e scopa) servono solo a stabilire chi debba pagare la bevuta di birra, e si fanno tuttora anche nei bar, non considerati d’azzardo, perché non sono legati alla sorte, ma richiedono anche un po’ di abilità.

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